A scuola ci vorrebbe l’ora di etimologia

A scuola ci vorrebbe l’ora di etimologia

Nella prima lezione spiegherei che le parole hanno un’origine verticale e una orizzontale” dice il latinista Nicola Gardini.

Egregio ministro, lei sarà anche un tipo fuori dal gregge, ma è un servo tra i servi, e si guardi allo spettro, pardon, allo specchio…”. Così potrebbe scrivere un detrattore colto e dotato di humour a un leader politico di oggi, giocando con le parole e con le loro origini nascoste. L’etimologia è argomento affascinante, tanto che la Zanichelli ci ha imbastito la campagna per il suo vocabolario e, di recente, libri sul tema sono diventati veri bestseller, come “Alla fonte delle parole”di Andrea Marcolongo e “Le dieci parole latine che raccontano il nostro mondo” di Nicola Gardini.

Gardini, qualcuno dice che nelle scuole andrebbe introdotta l’ora di etimologia, ma forse si esagera.

Io invece sarei d’accordissimo. Alla prima lezione spiegherei che esiste un’etimologia verticale, per cui ricostruisci l’origine di un termine; ma insieme c’è un’analisi orizzontale, che mette in collegamento più parole. Poi parlerei di “egregio”, che viene da “egregius”, a sua volta proveniente da “gregge”: evoca la nostra antica cultura contadina e ci mostra quanta strada si sia fatta dal significato iniziale di “fuori dal gregge”. Illumina i salti di civiltà.

E lo specchio cosa c’entra con lo spettro?

Sono termini imparentati tra loro, ma anche con “cospicuo” e “spettacolo”. A collegarli è la radice “spec” del verbo latino “specio”. Da spec il latino tira fuori “spectaculum, species”, ma anche “conspicuus”. E “adspecto” vuol dire “guardo con attenzione”, da cui “apettare”. Ora pensi lei a una parola…

Donna. Però la sanno quasi tutti.

Non creda. Viene da “domina”, in latino “la padrona di casa”, ma nel Medioevo diventa “la padrona del mio cuore”. Etimologia viene da etimos, vero, e logos, scienza. Scienza della verità. O del cambiamento, direi io, perché ti porta a una prima attestazione, per quel che si può, ma poi te la mostra a un’ora più tarda, e scopriamo che nel frattempo sono avvenute tante cose.

Che cosa è successo nel frattempo al ministro?

In latino il “minister” era il servo, e infatti nella sua forma ha minus, cioè meno. Il contrario di “magister”, che ha la radice magis, di più. Di qui il maestro, che vale di più del ministro. Be’, valeva, diciamo.

Perché l’etimologia agli accademici –e anche agli insegnanti- oggi sembra interessare così poco?

Come scienza, è entrata in crisi nel ‘900, quando si è capito che i significati sono attribuiti arbitrariamente. Da Platone, per secoli, si è creduto che le parole già nella loro forma contenessero la ragione del loro significato. Una visione che potremmo definire paraetimologica, per la quale, ad esempio, la dea Era dovrebbe il suo nome all’assonanza con aria, mentre non c’entra niente.

Come l’etimologia di cadavere che si impara al liceo: ca(ro) da(ta) ver(mibus), dice Isidoro di Siviglia, “carne data ai vermi”.

Lui era certo della rispondenza nome-significato. L’etimologia popolare funziona con meccanismi simili anche oggi. Prendiamo “miniatura”. In tanti scatta il collegamento con minus, per cui sarebbe qualcosa di piccolo. Errore. La relazione è con il minio, un minerale usato per ricavare il colore rosso. Terremoto e terrore –cioè terrae motus e terror- non hanno niente in comune, ma per molti si sovrappongono.

Già che ci siamo, da dove viene “terra”?

Forse da tersa, ma è una forma ricostruita, non testimoniata, dove ter è una variante ter/tor che si ritrova in torreo, cuocio, abbrustolisco. Terra, allora, vorrebbe dire “la secca”.

Bizzarro.

Supposizioni. Per giunta si potrebbe pensare che da questo torreo venga torta, “cosa cotta”. Invece no, deriva da torqueo, torcere; del resto, cosa è la torta se non pasta rivoltata?

Leviamoci qualche sfizio. Virus?

Significava veleno, è uno dei tre sostantivi neutri in –us della seconda declinazione, insieme a vulgus e a pelagus, che ci ha dato impelagarci.

Come il governo. Impelagato con il contagio e le elezioni.

Qui l’etimologia svela una metafora: lo Stato immaginato come una nave. Governo, da guberno; gubernator è il pilota della nave. Contagio, poi, è un classico: da contagium, peste. Ha la radice del verbo tangere, toccare (da cui poi anche tango). Elezione: e + lego, scelgo. L’electio è una scelta, si sa.

Scelta non facile. Verrebbe voglia di tornare in vacanza.

Da vaco, e da vacuum, abbiamo vacanza, ma anche evacuazione e vacuità, veda lei.

Una parola di gran moda è distopia. Greco?

No, è una neoformazione, costruita su Utopia, il titolo del libro di Thomas More, che indicava un luogo ideale. Distopia è un’utopia al negativo. Teoricamente dovrebbe essere “disutopia”… Ma ora indovini: cos’hanno in comune la pastasciutta e un alunno?

Mah. La mensa?

Quasi. La radice è nel verbo alo, nutro, da cui alimento. L’alunno, da alumnus, è nutrito di sapere, almeno si spera.

Forse è un segno.

Signum! Sig- è la trasformazione di sec-, secare, tagliare. Il signum quindi è un intaglio, una traccia, un’incisione. Ma anche una statua: qualcosa di intagliato. Signa sono le stelle nel cielo, come tracce e incisioni nella volta. Bellissima parola, che avvicina ambiti semantici lontani tra loro. L’etimologia insegna l’attenzione alla metamorfosi, ed è una scuola di democrazia, perché scopre parentele, crea amicizia tra le parole, intrattiene scambi reciproci. Fossi un prof di etimologia, spiegherei che dietro c’è un istinto fondativo: noi esseri umani vogliamo rinominare il mondo, chiamiamo gli amori e gli amici con vezzeggiativi, e diamo nomi a oggetti inanimati. Poi, ogni etimologia è un viaggio nella storia. L’egregio signore si porterà sempre dietro qualcosa degli antichi pastori laziali. Il gregge è ancora lì, a ricordarci da dove veniamo.

Claudia Arletti                                          Nicola Gardini

Questo articolo-intervista è stato pubblicato nel “Venerdì di Repubblica” dell’11 settembre 2020, alle pp. 98-99.