“Dersu Uzala” di Akira Kurosawa, 1975. “Il vecchio cinese”

“Il vecchio cinese”. Sequenza del film, “Dersu Uzala”, di Akira Kurosawa, 1975

 

Il testo è stato estrapolato da un fascicolo di 56 pagine, scritto dagli studenti di due classi prime del Liceo Sperimentale “L. Stefanini” di Venezia-Mestre, pubblicato in forma di quaderno nella primavera del 1994 e custodito nella biblioteca dell’istituto. Vi si dimostrano, accanto alle inevitabili incertezze del primo approccio di lettura di un testo visivo, originalità e lucidità di analisi, acutezza e sistematicità nell’organizzazione dei dati, una pazienza ammirevole nel ripetere più volte al video-registratore l’indagine sui più diversi aspetti della sequenza e nel fissarne sulla carta le coordinate più significative (associando le abilità legate alla cultura del libro a quelle derivate dalla cultura dello schermo).

Il cinema è l’arte che consente di integrare al meglio l’indagine bibliografica, iconica, musicale, tecnica. Le descrizioni d’ambiente, i paesaggi, i costumi, lo scavo psicologico dei personaggi e delle folle, i movimenti di massa, la stessa tecnica del montaggio offrono ai giovani studenti stimoli e suggestioni per entrare il più possibile nella dimensione quotidiana (fantastica e insieme materialmente elementare) di un fatto e di un’epoca. Questa esperienza di lettura, smontaggio e interpretazione di un testo audiovisivo ha fatto parte di un progetto più ampio di “Letture testuali e con-testuali” (poesia, novella, romanzo, cinema, saggistica, giornalismo, politica, pubblicità, canzoni), attuato in un arco di cinque anni, dal 1993 al 1998, che ha puntato semplicemente ad avvicinare gli studenti ad un uso più attento e critico anche della civiltà delle immagini. Li si è voluti  stimolare ad arricchire il loro lessico, con una quotidiana e paziente pratica di lettura, di ascolto, di visione, per contrastare un’espressività orale e scritta sempre più povera e banalizzata. Si è voluto suggerire un metodo di analisi, di concentrazione, di interrogazione di se stessi, di discussione e confidenza con gli altri (che dura da secoli e che oggi, forse, si sta perdendo). Di più, coltivando la fatica dell’interpretazione, lentamente costruiranno la pratica di un continuo approssimarsi alla verità, di una sua messa in discussione, di una necessaria dimensione sociale del pensiero, di una coltivazione di sé (già Leopardi e Gramsci dicevano che lo studio “è un abito acquisito con lo sforzo e il dolore e la noia”).

prof. Gennaro Cucciniello

 

Il vecchio cinese

 

Da quaranta anni vive nella taiga. Si sposta, si ferma, costantemente immerso nei suoi pensieri. Verso di lui Dersu ha una delicatezza particolarissima. Si tratta del vecchio cinese, uno dei personaggi più affascinanti del film. Dapprima la compagnia dei soldati lo conosce come una lieve traccia sul sentiero: Dersu riconosce le sue orme. Poi ecco che lo si conosce un po’ di più. Si arriva al posto dove aveva costruito il suo rifugio, una capanna semplice dalle fattezze alquanto ordinate. Forse che Dersu, quando chiede al capitano il riso e il sale per un nuovo eventuale viaggiatore che venisse a sostare in quella capanna, si stia in qualche modo preoccupando per lui? Non può essere che abbia lasciato il cibo nel caso il vecchio cinese fosse ritornato? Ciò non toglierebbe niente alla generosità di Dersu. Il vecchio non saprebbe comunque che è stato Dersu a preoccuparsi per lui.

Poi, riprendendo il cammino, ecco che la compagnia incontra di persona il vecchio della cui esistenza, finora, Dersu era l’unico (a parte, forse, il capitano, ad essere veramente convinto). Quando si accampano, il capitano sente il bisogno di andare ad offrire del cibo e una bevanda calda al vecchio che se ne sta seduto, silenzioso, sulla soglia di una casupola. Il vecchio è lusingato, un po’ maldestro (rovescia la tazza che il capitano gli porge) e le parole di ringraziamento e il tono con cui le pronuncia –rivolto all’ufficiale- denotano il suo animo gentile, non indurito dal tempo e dalla solitudine. La sera, il capitano vorrebbe far sedere il vecchio con loro, attorno al fuoco. Ma Dersu lo ferma. Il vecchio sta bene nella sua solitudine. Avvolto nella sua serena malinconia, pensa. Dersu “racconta” la sua storia. Il fratello, molto tempo addietro, gli aveva portato via la moglie (non si sa se consenziente o no). Oltre al dolore per la perdita dell’amata, un dolore ancora più profondo. Il tradimento di un legame sacro, fondamentale nella vita di un uomo, quale può essere quello che sussiste tra due fratelli. Ecco il perché del suo pellegrinaggio. “Ora lui pensa molto, molto…” dice Dersu. Il vecchio rievoca come in un sogno le immagini di un giardino in fiore, immagini calde e serene, di un tempo felice; un giardino fiorito, tra le montagne ricoperte di neve. Già, è una via bellissima per cercare un po’ di pace interiore (o per tormentarsi con un ricordo), lontana da vendette, da rivalse…

Quella del vecchio cinese è una storia molto triste. Ma anche molto bella. Nel suo voler star da solo, nel suo isolamento, nel suo appartarsi e immergersi in profondi e remoti pensieri, il vecchio cinese sente comunque l’esigenza di andare a salutare il capitano, quando parte per rimettersi in viaggio. Non vuole far “sfoggio” della sua tempra, ostentare la sua solitudine andandosene via silenziosamente, senza una parola di congedo. E questo trovo sia molto bello. Forse mi ha insegnato qualcosa.

Per ultima cosa voglio notare il rapporto che il vecchio ha con Dersu. Quest’ultimo lo conosce molto bene, anche se nel film non si vedono mai i due parlare insieme. Come Dersu “legge” la natura il vento gli alberi, così legge anche nell’animo del vecchio cinese. Anche quando egli se ne sta seduto, al freddo, poco distante da loro che stanno davanti al fuoco, Dersu sa che sta bene così. Sa cosa prova e a cosa sta pensando. In fondo condivide in parte la sua storia.

                                                                                  Ketty  B.