Gli USA alle prove generali della guerra civile?

Gli Usa alle prove generali della guerra civile ?

Diversi studi segnalano la regressione e i rischi per la democrazia

 

Ne “La Lettura”, supplemento culturale del Corriere della Sera del 13 febbraio 2022, è pubblicato questo articolo di Costanza D’Orsogna. Lo scritto precede di undici giorni l’aggressione russa all’Ucraina. Non è possibile prevedere ora quanto la crudele e feroce decisione di Putin potrà mutare gli orientamenti e le sensibilità dell’Occidente.

                                                                  Gennaro Cucciniello

 

Siamo sull’orlo di una nuova guerra civile?”. Se lo chiedeva, in un editoriale, il direttore del “New Yorker”, David Remnick, sottolineando come, per la prima volta in 246 anni, l’America si trovi sospesa tra democrazia e autocrazia. L’anocracy, così si chiama questo stato di profonda incertezza, aumenta radicalmente, secondo gli esperti, le probabilità di episodi di sangue come il tentato colpo di Stato del 6 gennaio 2021, quando frange estremiste trumpiane invasero il Campidoglio per sovvertire il risultato elettorale, e perfino il rischio di una nuova guerra civile.

E’ la tesi del saggio “How Civil Wars Start. And How to Stop Them”, di Barbara F. Walter (Crown, 2022), studiosa di guerre civili e terrorismo dell’Università della california a San Diego, consulente delle Nazioni Unite e del Pentagono e già membro della task force della Cia che studia le radici della violenza politica in vari Paesi del mondo. Citando dati del Center for Systemic Peace della Virginia, Walter osserva che è la Svizzera, oggi, seguita dalla Nuova Zelanda, la democrazia più antica del mondo. “Gli Usa, attraversati da correnti illiberali e da instabilità crescente, non sono nenache nello stesso campionato del Canada, della Costa Rica e del Giappone”.

E certo una guerra civile, oggi, avrebbe poco in comune con i campi di battaglia dell’Ottocento. Walter prevede attentati terroristici continui, attacchi dinamitardi, assassinii politici. “Dal Ku Klux Klan al tentato rapimento, nel 2020, della governatrice del Michigan Gretchen Whitmer daparte di un gruppo armato di ultradestra: sono fatti che dimostrano come la democrazia in America –dice- non sia mai stata una condizione stabile. Ma se le istituzioni democratiche non verranno rafforzate, episodi come quello del 6 gennaio 2021 saranno sempre più probabili”. Un dato su tutti: solo 1/3 degli elettori repubblicani oggi si fiderebbe del risultato di un’elezione qualora il proprio candidato dovesse perdere.

Una situazione che non nasce con Donald Trump, ma arriva da lontano. Segnale precoce di quanto stiamo vedendo era stato, per esempio, l’attentato suprematista di Oklahoma City del 1995, con 168 morti. Ma è stata soprattutto l’elezione di Barack Obama, con la minaccia di una democrazia multirazziale, a scatenare i suprematisti bianchi. Quando Obama si insediò, nel 2009, gli Usa contavano circa 43 gruppi armati di ultradestra: tre anni dopo erano più di 300.

Vero, ogni anno, solo nel 4% dei Paesi in cui si verificano le condizioni per una guerra civile questa scoppia davvero, ma Walter e i colleghi hanno individuato certi fattori di rischio secondo cui gli Usa si trovano già in zona pericolo. Il primo, il polity score o indice dell’ordinamento politico, valuta su una scala da +10 a -10 se un Paese vada verso la democrazia o se ne allontani. “Qui, i Paesi di mezzo, cioè quelli con un punteggio tra +5 e -5, né piene democrazie né piene autocrazie ma appunto “anocracy”, tra cui gli Usa, scesi in pochi anni da +10 a +5, corrono due volte più delle autocrazie e tre volte più delle democrazie il rischio di instabilità politica o di guerra civile”. Un altro fattore è la faziosità (factionalism), che si verifica quando un partito si fonda non sull’ideologia politica ma su questioni come la religione e la razza. Per gli esperti, la coesistenza di anocracy e faziosità è l’indicatore più certo di una guerra civile.

Walter non è sola nelle sue conclusioni, tanto che dalla Svezia l’International Institute for Democracy and Electoral Assistance di Stoccolma classifica oggi gli Usa come una “democrazia in regressione”. Si spinge oltre il giornalista canadese Stephen Marche nel saggio “The Next Civil War. Dispatches from the American Future” (Simon & Schuster, 2022). Due libri che non potrebbero essere più diversi, quello di Walter, analitico, e di Marche, apocalittico, ma che delineano quadri simili. “La prossima guerra civile americana –scrive Marche- è già qui. Solo che ci rifiutiamo di vederla”. Due cose stanno accadendo, osserva. La destra americana non ha più fiducia nel governo, e la sua politica è sempre più spesso quella delle armi. La sinistra è più lenta a capire che il sistema sta collassando, e si perde nelle sue lotte intestine.

Marche traccia un parallelo con la vigilia della prima guerra civile americana, quando anche le menti più intelligenti e informate del Paese, scrive, non riuscirono a prevedere il conflitto. “Anche quando, nell’aprile 1861, i confederati bombardarono Fort Summer, nel Sud Carolina, bombardamento che si concluse con la resa dell’esercito americano e l’inizio della guerra civile, nessuno credeva ancora che la guerra fosse inevitabile. Il Nord era così impreparato a un conflitto che non aveva munizioni”. Ora come allora, gli Usa fingono di non accorgersi, dice il giornalista canadese. Tuttavia gli elementi ci sono tutti. Il sistema politico è così travolto dall’odio che anche le più semplici funzioni di governo diventano impossibili. La fiducia nel Congresso è ai minimi storici. Chi dovrebbe tutelare l’ordine a livello locale si ribella all’autorità federale. Intanto la polizia del Campidoglio registra un aumento del 107% nelle minacce a membri del Congresso, e minacce di morte sono all’ordine del giorno per chiunque sia coinvolto nella gestione delle elezioni. Dopo il voto del 2020, un terzo degli scrutatori dichiarava di non sentirsi al sicuro. Soprattutto, l’estrema destra si è infiltrata nelle forze dell’ordine, al punto che è in discussione la loro capacità di contrastare il terrorismo di matrice nazionale.

Certo, dice Marche, gli Usa hanno vissuto il Vietnam, gli assassinii di John Kennedy e di Martin Luther King, il Watergate. Ma non hanno mai avuto una crisi istituzionale come quella attuale. Inoltre, mentre il Paese diventa sempre più eterogeneo, la politica lo riflette sempre meno. Nel 2040 il 50% degli americani vivrà in soli otto Stati. Il 30% dei cittadini controllerà il 68% del Senato, e la cattiva ripartizione premierà in modo schiacciante elettori bianchi senza un’istruzione superiore. “Il sistema è rotto. Gli Usa devono reinventarsi o morire”.

 

                                               Costanza Rizzacasa D’Orsogna