I sogni sovranisti? Chiedete al dottor Freud.

I sogni sovranisti? Chiedete al dottor Freud.

Le neuroscienze vorrebbero mettere in soffitta lo scopritore dell’inconscio. Ma il mondo di oggi, tra muri che si alzano e società che si chiudono, ci mostra che le intuizioni freudiane sono più che valide: alla faccia di tutti i lapsus.

Figlio eretico del positivismo viennese di Brucke e Meynert, Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, ha commesso l’imperdonabile peccato di voler sovvertire i paradigmi della psicologia quantitativa, fondata su rigide premesse neurofisiologiche, il cui principio sembra oggi rimesso in auge con vigore dalle neuroscienze: l’inconscio è strutturato come un cervello. Nel campo della cura del disagio psichico, il trionfo contemporaneo dello scientismo a cui si ispira la psicologia cognitivo-comportamentale, ha assunto un ruolo egemone confinando la credenza nell’inconscio freudiano (che non è strutturato come un cervello, ma come un desiderio) nel catalogo delle superstizioni irrazionali destinate ad essere dissolte dall’avanzata inarrestabile delle scoperte neurofisiologiche relative al funzionamento della mente.

Una sorta di robotica post-umana sembra sostituire le vecchie e strampalate elucubrazioni freudiane. Il sogno? Il fantasma? Il lapsus? Niente di rilevante: semplici effetti di disturbi del sonno, della cognizione o della parola. L’inconscio? Un’idea romantica priva di fondamenti scientifici, un gargarismo barbaro del Novecento. Ma il cadavere di Freud non si è già raffreddato da tempo? Un’opera come quella del filosofo francese Michel Onfray di qualche anno fa, titolata significativamente “Il crepuscolo di un idolo. Smantellare le favole freudiane”, era stata salutata dalla cultura anti-psicoanalitica come il funerale (l’ennesimo) del dottore viennese. Eppure mai come oggi il pensiero di Freud rivela la sua presenza spettrale sul nostro destino.

Attualmente l’avanzata inarrestabile dello scientismo, di un pensiero della mente che vorrebbe escludere l’equivoco, la disidentità, il fattore perturbante del desiderio (di cui invece l’inconscio freudiano testimonia l’esistenza), si mescola in un cocktail micidiale con l’avanzata –altrettanto irresistibile- di un pensiero dell’uomo e della comunità che rivaluta il suolo, il muro, il sangue, la segregazione, le radici etniche, l’ipertrofia identitaria. Ma è proprio questo doppio movimento a mostrare la vitalità critica di alcune tesi freudiane.

Nei confronti dello scientismo che riduce il volto degli uomini al carattere anonimo del numero, al culto feticistico della cifra, al dominio delle cure protocollari, la lezione di Freud ricorda che il soggetto è una singolarità assoluta e che la sua cura è irriducibile ad ogni standard. In un’epoca dove la strumentazione tecnico-scientifica sembra aver occupato ogni spazio della cura, ci insegna a non dimenticare mai l’importanza della parola del soggetto, la centralità del suo ascolto.

La sua seconda tesi decisiva risuona oggi con la forza di un ammonimento politico. L’essere umano non è una creatura mansueta, predisposta all’altruismo. Soprattutto quando accade, come ci ricorda in “Psicologia delle masse”, che si ritrovi perduto e brancolante nel buio, senza orientamento. La paura, il panico, la vulnerabilità del corpo individuale, come di quello sociale, favoriscono l’identificazione verticale “a massa”, la ricerca di un padrone con il bastone che prometta un avvenire luminoso. L’apparato psichico, continua ad ammonirci oggi la voce scomoda di Freud, è tendenzialmente conservatore, la sua pulsione primaria è securitaria: rigetta il cambiamento, rifiuta il mondo in quanto straniero e apportatore di stimoli ingovernabili. La sua tendenza non è verso l’apertura, ma verso la chiusura. Per questo l’odio precede sempre l’amore, come il rifiuto precede sempre l’accoglienza. Nondimeno è proprio in questa difficile congiuntura che Freud pensa l’opera della Civiltà: non cedere alla seduzione dell’odio, non fare prevalere l’orientamento primitivo alla conservazione e al rifiuto dello straniero, non favorire la xenofobia della pulsione securitaria. Un’opera di Civiltà è un’opera dove l’inclusione prevale sull’esclusione e l’integrazione sull’evacuazione. E’ l’opera, individuale e collettiva, che sa contenere attraverso la forza di Eros la spinta distruttiva che anima la pulsione securitaria. E’ questo il carattere testamentario dell’illuminismo tragico di Freud: la ragione critica è dalla parte di Eros, è il solo rimedio umano alla forza cieca e apparentemente irresistibile di Thanatos.

Massimo Recalcati

Articolo pubblicato in “Robinson di Repubblica”, 30 dicembre 2018, p. 10