“Il sorpasso” di D. Risi

“IL SORPASSO”    di  Dino RISI,  1962

Sceneggiatura: Risi, Scola, Maccari. Interpreti: Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant.

Estratti dal fascicolo, di 77 pagine, pubblicato nella primavera del 1995 e custodito nella biblioteca dell’istituto “Stefanini” di Venezia-Mestre; gli studenti erano quindicenni.

L’INCONTRO

E’ il quindici agosto. Roma, nella sua immensità, sembra un deserto, torturata da un sole caldo e penetrante. Chi ci può essere in città in una giornata del genere? Si vedono cani che portano a spasso i padroni, vecchietti alla finestra ed una macchina che sfreccia velocissima per le strade vuote, clacsonando con insolenza, incurante dei segnali stradali. Ha qualche rattoppo sulla carrozzeria ma tutto sommato è una splendida spyder bianca decappottabile.

Al volante c’è Bruno, un aitante uomo sulla quarantina, impegnato nella ricerca di un telefono per avvisare le amiche di un suo ritardo. Ma i negozi sono chiusi, di cabine telefoniche nemmeno l’ombra, così Bruno si trova in una zona verso la periferia, seduto su di un marciapiede pensando ad una soluzione. Da questa posizione scorge uno che lo osserva dalla finestra di un palazzo di fronte. Lo chiama ma questo, intimidito, si nasconde. Al secondo richiamo si fa vedere. E’ un ragazzo, giovane, viso angelico, e si chiama Roberto. Quando Bruno gli chiede se può fare una telefonata per lui Roberto accetta quasi senza pensarci, come se fosse stato preso in contropiede dall’esuberanza di quell’uomo. Appena comincia a fare il numero, si rende conto che sarebbe più semplice lasciar salire lo sconosciuto e farlo telefonare; dopo tutto gli costerà solo qualche minuto di pausa durante il suo studio.

E’ così che Bruno entra nella sua vita, per caso, come un lampo, come probabilmente aveva già fatto con la vita di tante altre persone. La differenza sta nel fatto che da quella di Roberto non sarebbe mai uscito, dopo avergli regalato i due giorni più intensi ed emozionanti di tutta la sua breve esistenza.

Valeria F.

 

Sorpasso dopo sorpasso, generazione dopo generazione

“Senta un po’, ma lei che fa? Sta tutto il giorno a casa a studiare?”. Con questa frase di Bruno inizia l’avventura dei due personaggi a bordo della moderna e bella macchina.

Primo sorpasso. E’ ferragosto, sono le ore 13.00, tutto è deserto e Bruno (uomo estroverso, simpatico, intelligente ma infantile) propone a Roberto (giovane studente di legge) di andare a pranzare fuori città ma quest’ultimo è indeciso se accettare o no perché (nonostante sia ferragosto) deve studiare e, sinceramente, non si fida dello sconosciuto (monologo interiore). Roberto ha ragione a non fidarsi, in effetti Bruno alla guida è spericolato. Durante il tragitto la macchina da presa inquadra il volto di Roberto, preoccupato, e quello di Bruno, disinvolto. Fra i due si instaura un dialogo nel quale vengono alla luce i loro interessi: Roberto predilige la poesia e le tombe etrusche mentre a Bruno piace la musica (mette nel mangia-dischi “Il vecchio frac” di Modugno). Ad un certo punto vedono un’automobile guidata da due ragazze tedesche, decidono di inseguirle e per la prima volta si può vedere il sorriso di Roberto. Prima sosta. Le ragazze si sono fermate e sono entrate in un edificio che, all’apparenza, sembra un’abitazione ma poi si rivela un cimitero di guerra. Bruno (senza problemi) cerca di “rimorchiare” le ragazze mentre Roberto guarda Bruno con disprezzo e propone di andarsene; Bruno stranamente accetta ammettendo di aver esagerato.

Secondo sorpasso. Riprendono la corsa, ora sono quasi le 14.00. Roberto vuole tornare a casa, ha paura, è teso, non riesce a liberarsi dell’importuno, mentre Bruno è rilassato, per lui guidare è sinonimo di riposo. L’auto è per lui un prolungamento delle braccia. Seconda sosta. La loro corsa viene fermata da un incidente. Bruno va a curiosare e si interessa delle merci che sono state disperse, ma quando si accorge che c’è un morto, cambia… Ora si percepisce un Bruno diverso, sensibile, serio, ma è un attimo. Si avvicina un poliziotto e il nostro eroe (come se non fosse successo niente) tenta di corromperlo per evitare una multa.

Terzo sorpasso. Ricominciano a correre. Roberto comincia a sentirsi più a suo agio, scherzano, ridono ma Bruno resta sempre il più sfacciato. Terza sosta. Finalmente trovano un bar-ristorante, fanno benzina. Il bar è un ritrovo, di giovani soprattutto e, come musica di sottofondo, si possono ascoltare quelle famose canzoni degli anni ’60, che evocano la voglia di divertimento. Mentre Bruno è alle prese con un distributore di sigarette che non funziona, Roberto pensa alla sua vita: c’è qualcosa che non va, avverte sintomi di disorientamento, forse perché lo stare in compagnia di Bruno lo fa sentire diverso, strano rispetto agli altri. Forse comincia ad apprezzare o stimare o invidiare Bruno? Forse.

Quarto sorpasso. Parlano di donne. Ai margini della strada si trova un contadino che chiede un passaggio, Bruno gli si ferma accanto ma poi, di scatto, accelera. Roberto lo disapprova. Il villico fuma un sigaro (più economico) e chiede di andare più veloce: per lui è un’esperienza nuova. Tutti sono alle prese con nuove esperienze.

Ultimo sorpasso. Roberto ora vuole correre, non vuole fare programmi, vuole vivere. In un giorno è cambiato: Bruno, il maestro, è riuscito a trasformare il suo allievo. Si odono il suono del clacson e lo stridio delle ruote lungo una strada deserta e piena di curve. Passa un motocarro con un bambino che li saluta, gesto che può venire interpretato come un “addio” e non un semplice “ciao”. Bruno gareggia con una macchina in sorpassi azzardati, tocca un corno rosso, le due auto corrono alla pari, è inquadrato il volto di Bruno che vede arrivare un camion (si vede frontalmente) mentre Roberto è distratto. Bruno è sbalzato fuori dall’auto, Roberto cade (insieme alla macchina) nel burrone e va a finire vicino al mare. Bruno si alza e corre a guardare, viene inquadrata l’auto, poi l’uomo. Quali possono essere i suoi pensieri? E’ preoccupato per l’amico o è dispiaciuto per la macchina? In fondo si conoscevano solamente da un giorno. La macchina da presa allarga l’inquadratura verso il mare, lentamente, facendo in modo che l’auto venga inquadrata ai margini.

                                                                                  Alessia B.

 

 

Crescere in poche ore

La scena. L’intera famiglia (di stampo antico, patriarcale) è riunita nella stanza. Gli zii seduti l’uno accanto all’altra, i volti timidamente compiaciuti. Il figlio Alfredo seduto accanto alla moglie Luisita, lo sguardo di lei esprime ammirazione e sottomissione al marito. Il fattore, un po’ discosto, silenzioso ma quasi imponente. Roberto timido e insicuro anche tra le persone che conosce (o crede di conoscere). Bruno ben ambientato, fino a sembrare un componente autorevole della famiglia.

I dialoghi. E’ Alfredo a parlare. Voce grassa, erre moscia, rivela presunzione ed egocentrismo. Parla di impieghi sicuri, di buoni studi, di salari cospicui. Lui “è arrivato” e per questo è l’orgoglio della famiglia. Sta, perciò, dando preziosi consigli a Roberto perché segua le sue orme, dagli studi alla moglie. Roberto ascolta, limitandosi ad intervenire di quando in quando, con voce debole e malferma, suscitando qualche risata mentre lui abbozza un sorriso. Ma, giunti ad un certo punto, Roberto si estranea. E’ sempre Alfredo a parlare ma ad ascoltarlo sono i genitori. Roberto ora ascolta Bruno che, col suo abituale tono scherzoso ma sfacciatissimo, gli sbatte in faccia un’osservazione pungente nei riguardi di zia Enrica e del fattore. Roberto non osa quasi replicare; Bruno sembra così convinto e, poi, guardando meglio…

L’ottica mutata. Ha inizio il monologo interiore di Roberto, mentre i suoi occhi (attraverso la telecamera) si posano ora su zia Enrica, ora sul fattore, ora sul cugino Alfredo, infine su zio Michele. “Zia Enrica se la intendeva col fattore; Alfredo è figlio loro; e magari lo zio Michele lo sa!”. Roberto non si dà pace: con una sola frase, detta quasi inconsapevolmente e di sfuggita, Bruno è riuscito ad aprirgli gli occhi. Capisce di aver sbagliato fino ad ora; non è più bambino e non più permettersi di essere eternamente ingenuo. Ma la realtà gli si presenta troppo duramente. Tutte le sue immagini, i miti dell’infanzia crollano d’un tratto… e questo grazie ad uno sconosciuto.

Ed è quello stesso sconosciuto che accende una scintilla in zia Lidia. Nei ricordi di Roberto Lidia è quasi una visione, niente più che un amore platonico, irrealizzabile. Tuttora si sente il bimbo di un tempo che arrossisce in presenza di lei, così grande, così bella, così irraggiungibile. Ma Bruno no, per lui non può esistere questo tipo di donna. La donna è femminilità, è carne. La femminilità di Lidia è mortificata, rinchiusa in quelle vesti, impoverita, e lui intende farla emergere. “Così sono le donne di Roma!” esclama, dopo averla truccata e acconciata secondo quei modelli. Lidia oppone una timida resistenza ma quel mutamento la riempie di gioia, pur se per poco. Dopo la partenza di Bruno, infatti, viene inquadrata mentre indugia alla finestra e si raccoglie i capelli nella sua consueta acconciatura. Forse, di quel suo “essere donna” non resterà più che un ricordo, lontano, proibito…

 

                                                                                              Monica  M.

 

Gli zii e la casa di campagna

Dopo il pranzo in osteria i due amici, Roberto Mariani e Bruno Cortona, si trovano lungo la strada che porta dagli zii di Roberto, che racconta qualche fatto particolare della sua infanzia relativo alle estati trascorse nella loro casa di campagna. Parla dello zio Michele e della zia Enrica, molto innamorata del marito, e dell’abitudine che lui, Roberto, aveva di fare il giro delle stanze, appena arrivato. Sono inquadrati i due in primo piano nella macchina e si vedono, in secondo piano, la natura e le contadine che lavorano. Roberto continua a parlare dei suoi ricordi ma Bruno porta l’argomento sugli amori infantili: prima il giovane nega di averne avuti poi ammette di essere stato innamorato di zia Lidia. L’inquadratura cambia in campo medio: si vedono la strada, il paesaggio e una macchina che viene dall’altra carreggiata. Il discorso continua e Bruno chiede se la zia era a conoscenza del suo amore; Roberto racconta che un giorno, mentre la zia leggeva, lui si era avvicinato e… Bruno commenta facendo l’atto di saltare addosso a qualcuno. Roberto prosegue e dice che le aveva chiesto di sposarlo; questa volta Bruno lo accusa di aver avuto la mania di volersi impegnare anche da piccolo; l’altro continua raccontandogli che per la vergogna si era nascosto fino a sera in una cassapanca. L’automobile fa una curva, ora si vedono la strada e le colline alberate: dall’inizio della sequenza c’è sempre una musica dolce. “Gagliarda la campagna; io, per vivere qua tutta la vita, ci metterei la firma”: questa è la nota finale di Bruno, il cittadino sfrontato ed intraprendente, che gioca con i ricordi e i sentimenti dell’amico che, ingenuo e sognatore, si lascerà alla fine trascinare dalla spregiudicatezza del compagno.

Ad accoglierli c’è “Occhiofino”, che non passa di certo inosservato agli occhi smaliziati di Bruno che non esita, infatti, a dargli il nomignolo di “checca di campagna”, dopo averlo sentito parlare. Roberto è sorpreso ma il compagno, per controbattere e convincerlo, gli spiega che Occhiofino starebbe, ovviamente, al posto di “Finocchio”: ecco svelato il segreto! Ed è questo il preannuncio di altre verità che Bruno scoprirà nella casa degli zii e che lasceranno Roberto senza parole. Chiamati, arrivano subito gli zii che sono molto accoglienti. Nonostante Bruno tenga di continuo un atteggiamento da superficialone svogliato egli si rivela, in realtà, in questa occasione soprattutto, una persona molto attenta, perpicace e, perché no, anche sensibile, capace di cogliere aspetti e particolari minimi, quasi invisibili agli occhi degli altri. Infatti nota subito il colore corvino dei capelli della zia Enrica e le chiede se ha origini spagnole. Ovviamente Bruno ha indovinato un’altra volta! Nella sala in cui sono entrati ci sono un tavolo, un armadio, un orologio, una sedia a dondolo, un pianoforte, belle decorazioni anche se poche e invecchiate attorno al caminetto e alla porta. Gli zii rimproverano Roberto di non scrivere mai, lo lasciano poi andare a fare il suo giro delle stanze come quando era bambino. Cambia lo spazio: la telecamera segue Roberto mentre sale le scale e da una stanza esce la zia Lidia; è ancora molto bella, sobria, vestita semplicemente, coi capelli raccolti a crocchia e il viso pulito; i due si salutano e Roberto sembra un po’ intimidito, la zia dopo qualche battuta lo lascia al suo gironzolare. Arrivato in cima alle scale, comincia a parlare tra sé: entra nella “stanza dei lettini” in cui dormiva da bambino assieme a suo cugino, poi entra nella stanza della zia Lidia, si affaccia al balcone e scorge un panorama di campagna, tranquillo, silenzioso: un viottolo ripido e sterrato, qualche animale e una o due persone (campo lungo). Uscendo dalla camera si ferma a riflettere un attimo, da una cassapanca prende della naftalina e la lancia per aria, richiude il baule, forse ricorda lucidamente alcuni momenti del passato quando correva sorridente per quei corridoi. Improvvisamente si sentono le voci degli altri che vengono da sotto, dal salotto. Le risate ci ricollegano alle persone rimaste in sala: l’immagine è concentrata su Bruno che, spavaldo, sta raccontando di Roberto, della ragazza che gli piace, parla senza mai fermarsi catturando la curiosità di tutti. Rintocca l’orologio del pendolo e Bruno, senza chiedere nulla, lo ferma perché il suono sembra dargli fastidio; zio Michele, allora, gli dice “bravo” e Roberto non crede alle sue orecchie: si ricorda di quando era piccolo e lo zio gli diceva sempre di non toccarlo. Bruno offre una sigaretta allo zio, la moglie dice che non può certo cominciare quel giorno e che in vita sua non ha mai fumato; lo zio tira fuori un pacchetto di sigarette dicendo: “no grazie, preferisco le mie”; Bruno è riuscito a scoprire un altro altarino ignoto a tutti. Nella stanza sono tutti seduti e continuano a sghignazzare per le battute del simpatico e brioso Bruno che non la smette più di parlare. Roberto è l’unico in piedi con le braccia incrociate, distaccato dagli altri che non sembrano nemmeno vederlo: egli non ride, non parla, probabilmente non segue neanche i discorsi che si stanno facendo. Sembra che Bruno sia il nipote e lui l’estraneo. Ma ecco che nella stanza entra Occhiofino e subito Bruno lo punzecchia dandogli della “brava donnina di casa”; lo zio annuisce e Roberto è sempre più sconvolto dall’atteggiamento di tutti e dalla piega che stanno prendendo gli avvenimenti. Questo non era quello che si aspettava facendo loro visita.

Nel frattempo è arrivato anche il cugino più grande, Alfredo. Nella sala, però, non c’è più Bruno e, ora, quello che ha preso il suo posto e parla a raffica senza lasciar spazio agli altri è proprio Alfredo. Parla della sua buona condizione sociale, del suo studio in pieno centro in città e dà consigli a Roberto. L’inquadratura, d’un tratto, cambia per mostrarci Bruno che, al piano di sopra, è in compagnia di zia Lidia e la sta truccando per esaltare i suoi occhi e i suoi capelli, le fa un segno di matita sulle palpebre ; la donna sulle prime è contraria, si ribella in modo molto blando, poi accetta divertita; Bruno le scioglie i capelli, le fa dei complimenti adulandola e illudendola, facendola sentire diversa dal solito. Si ritorna in salotto alla noiosa conversazione: il nuovo argomento sono i contadini, le loro rivendicazioni e le aspre critiche di Alfredo sull’atteggiamento troppo remissivo del padre. Entra Bruno che sbocconcella una mela. Ora la macchina da presa gioca: sono inquadrati (primissimi piani) Alfredo, che continua a parlare, poi Bruno e Roberto, poi lo zio Michele, che ha un’aria poco interessata, di nuovo Roberto, Bruno che osserva, il fattore che annuisce, molto concentrato, ancora Alfredo. Con questi movimenti il regista ha voluto rappresentare gli occhi di Bruno che scoprono una verità: rinquadrati Bruno e Roberto, il primo fa notare all’amico che Alfredo non è figlio di zio Michele ma del fattore; le prove sono evidenti: comuni sono la corporatura, le sopracciglia, il tic alla mano, “sono sputati”. Bruno con sarcasmo fa una constatazione sulla ritrosa zia Enrica: “mentre si mangiava con gli occhi zio Michele (riprende una frase che Roberto aveva detto all’inizio) annava a letto col fattore”. Un’inquadratura di zia Enrica che porge un bicchierino al fattore: Roberto li guarda, è inquadrato anche zio Michele che è quasi addormentato, seduto su una sedia, candido; “lo zio lo sapeva? Probabilmente ha fatto finta di niente per tanti anni”. Roberto, ancora una volta, si abbandona al monologo interiore: pensa alla sua infanzia, riflette sui presenti, sembra ora poco convinto delle scelte di vita che ha fatto; prima aveva ricordi d’infanzia felici e nessun dubbio sugli obiettivi da raggiungere, ora che i ricordi sono deformati ha anche dubbi sulle sue scelte per il futuro.

Dopo tre ore di visita Bruno decide che è ora di andarsene e interrompe la conversazione. Prima di partire, i saluti: bacia tutti, sembra che sia lui, più di Roberto, dispiaciuto di dover andare via. L’ultima immagine che si vede all’interno della casa è quella di zia Lidia che, dalla sua finestra, guarda per l’ultima volta Bruno, ha i capelli sciolti, bellissima; appena se ne vanno, lentamente si raccoglie i capelli mentre suonano le campane della chiesa. Le parole di Bruno, rivolte a Roberto prima di salire in macchina e partire, sono: “Se stavo un altro minuto in quel mortorio scoppiavo, ‘namo ‘namo, la campagna, ma ché sei matto!”.

 

                                               Elena  B.   e   Francesca  F.

 

L’Italia del boom

E’ passato solo un giorno da quando Bruno ha incontrato per caso Roberto. In queste ventiquattro ore, o poco più, Roberto ha scoperto che oltre alle leggi del diritto esiste un altro mondo: un mondo dove correre in auto e vagabondare è un passatempo, ascoltare e ballare a ritmo di twist è di moda e che stiamo sorpassando “un’epoca antica” e stiamo per varcare una soglia tecnologica, dove circolano camion pieni di elettrodomestici e macchine che corrono velocissime. Infatti è il periodo del boom economico, quando l’Italia cresce per diventare una tra le più sviluppate nazioni del mondo. Roberto conosce un uomo che in poco tempo riesce a cambiare la sua vita. Bruno riesce con la sua spavalderia, il suo modo di fare e le sue battute taglienti a cambiare le idee e persino il carattere di Roberto, ragazzo timido e chiuso.

L’ultima sequenza comincia con un primo piano della strada di cui non si vede nemmeno la fine verso l’orizzonte. Ai lati una vegetazione assai fitta, che a poco a poco svanisce, contrasta con un cielo sereno, privo di nuvole.  La Lancia Aurelia, con a bordo i nostri due amici, avanza velocemente nel mezzo della strada, dove c’è la linea bianca che separa le due corsie opposte. Stanno percorrendo un itinerario (la linea) di cui però non si conosce l’avvenire (all’orizzonte non si vede il punto in cui finisce la strada). Gli stessi personaggi spiegano nel loro dialogo che nella vita non si devono fare programmi perché il futuro è sconosciuto ed imprevedibile e quindi non lo si può ipotecare; infatti nel film ce ne sarà una riconferma, data dalla morte inaspettata di Roberto. Durante il tragitto tra gli “evviva e gli urrà” si capisce che Roberto ha assunto un’aria spensierata e molto aperta agli altri (infatti saluta anche un bambino in un furgoncino), molto più felice e gioiosa di quand’era a casa a studiare. Quest’aria di rinnovamento Roberto sembra quasi che la assapori e se la gusti. Per qualche attimo non sorride più e nel suo viso si evidenzia uno sguardo dubbioso e pensieroso, e tocca anche il cornetto portafortuna. Ma anche in Bruno appare questo sguardo, più intenso che in Roberto, e nel seguito pure lui toccherà quel portafortuna. C’è un quasi incidente; il sorriso ritorna come se sorpassare in quelle curve pericolose fosse una droga di cui i due ormai non possono fare a meno. In realtà credo che i due amici si nascondano dietro le risate.

Nel finale tragico il regista passa velocemente da un campo medio a un primo piano: inquadra lo spavento di Bruno che si tramuta in terrore, spiega la morte di Roberto in poche scene. Nel primissimo piano di Bruno notiamo per la prima volta uno sguardo impaurito e malinconico, quello che aveva sempre cercato di tenere nascosto. Le musiche che prevalgono in questa sequenza non sono come quelle dell’intero film; notiamo solo un piccolo accompagnamento durante lo scontro e l’incidente mortale finale. Muore Roberto, un ragazzo semplice e senza pretese, che non sapeva neanche guidare la macchina, vittima innocente di un momento di euforia, un ragazzo che per noi era diventato quasi un amico.

 

                                                                                  Alessandro  M.

 

L’ultimo sorpasso

 

Inquadratura n. 1. (Campo lungo). La sequenza inizia con l’inquadratura di una strada, non trafficata, quasi deserta; al centro di essa la spyder, quella formidabile Aurelia, sulla quale possiamo individuare, o forse meglio immaginare (visto che sono di spalle), Roberto e Bruno. Sullo sfondo scorgiamo degli alberi e, in lontananza, una casa. Suoni: rumore dell’auto in movimento (il motore rombante).

Inquadratura n. 2. Primi piani di Bruno e Roberto. Quest’ultimo ha posto un braccio sulle spalle dell’amico, dato interessante e nuovo; noi infatti abbiamo “lasciato” Roberto nella sua insicurezza e timidezza, incapace di esprimere il proprio pensiero se non in monologhi interiori, incapace di chiedere a un cameriere un tè, incapace di … (etc); ed ora lo vediamo persino abbracciare un amico, cosa sarà successo, cosa sarà cambiato in lui? Non è solo questo che ci induce a porre la domanda, anzi forse è questo il dato meno evidente, forse è quello errato. Con l’inquadratura ravvicinata dei due protagonisti si può scorgere (questa è una mia opinione, non ragionata ma intuitiva) nei volti, nelle espressioni ma soprattutto negli occhi qualcosa di diverso. In Roberto non solo l’intensità dello sguardo è mutata ma il suo sorriso ora è più vero, più “sentito”; il suo urlare “alée!!” rivela in lui l’euforia di un bambino, felice, contento. Un urlo liberatorio “di speranza di fare” non tanto per il futuro ma nell’immediato, quella voglia di fare, di provare, di rischiare che Bruno ha risvegliato in lui ma che vaga ancora incerta nella sua mente. Sullo sfondo si delinea la “solita” strada, ora con qualche auto; la macchina da presa segue la corsa dei due. Suoni: urla di euforia, rumore del motore.

Inquadratura n. 3. (Campo medio). E’ inquadrata una parte ridotta dell’ambiente. Troviamo ancora la spyder, intenta a superare un’altra vettura, che pare stia al gioco. Da questo momento il gioco diventa realtà. Come sfondo vediamo frontalmente molti alberi e la strada che si prolunga. Suoni: rumore della macchina in moto e il fastidioso ma simpatico clacson, che assume un tono insistente nei vari sorpassi.

Inquadratura n. 4. (Campo lungo). Carrellata della macchina da presa che prima si sofferma su una curva riprendendola in modo abbastanza ravvicinato, e poi (ma non troppo) inquadra dall’alto non più il particolare-curva ma la curva e il suo prolungarsi. Successivamente rincorre il continuo susseguirsi di sorpassi delle due macchine. Il regista segue questa tecnica (ovvero prima ci fa vedere la curva talvolta dall’alto o di lato, in generale, poi ci presenta il particolare, ovvero il gioco ravvicinato delle due vetture) più volte, e a poco a poco crea un climax esasperante che poi verrà bruscamente interrotto.

Inquadratura n. 5. (Campo medio). Ancora la spyder che, concentrata nel gioco, cerca di superare l’altra auto che la sopravanza di poco.

Inquadratura n. 6. (Primo piano). Con un’espressione di sfida Roberto grida: “superala!” (riferita alla macchina che sta dinanzi a loro). Ora più che mai capiamo che quel gioco tanto entusiasmante sta diventando una vera e propria sfida. Quel gioco innocente ma insieme dannoso ora si è mutato in una corsa frenetica, esasperata. Roberto, quando afferma di voler superare la vettura avversaria, è serio, sembra quasi non parlare a Bruno ma voler lanciare un messaggio a se stesso: “Devi osare, prova, ma…” (non posso essere sicura di questo: infatti nel corso delle diverse inquadrature, e quindi in diversi momenti, le espressioni del suo volto sono mutevoli, passano da attimi di euforia e di eccitazione a momenti di paura).

Inquadratura n. 7. (Campo medio). Ci troviamo ancora in una fase di sorpassi. Affrontano un’altra tortuosa curva… anche questa volta è andata…! La camera segue la corsa delle due autovetture. Suoni: stridio delle ruote quando affrontano in velocità una curva, clacson.

Inquadratura n. 8. Primo piano di Bruno.

Inquadratura n. 9. Dettaglio del contachilometri che raggiunge un’elevata velocità.

Inquadratura n. 10. Primo piano di Bruno che sorride soddisfatto per la velocità raggiunta.

Inquadratura n. 11. Primo piano di Roberto che  ora ci appare perplesso, impaurito quasi. Dopo aver visto per un attimo il contachilometri sembra aver riacquistato la ragione ma la paura subito si dissolve: una rapida occhiata all’amico e il beneficio del dubbio svanisce. Roberto si sta preparando al grande sorpasso, al grande salto in avanti proprio mentre si producono le prime invisibili crepe.

Inquadratura n. 12. (Dettaglio). Si vede infatti la mano di Bruno che stringe un piccolo corno portafortuna e tenta di rassicurare l’amico. Come d’abitudine però Bruno si rivela inaffidabile nel suo intento. Lo stesso atto di stringere un portafortuna è indice di timore, di perplessità (non tanto di superstizione), di speranza che non accada nulla di spiacevole. Ciò non potrà di certo rassicurare qualcuno.

Inquadratura n. 13. (Campo medio). Sulla strada vi sono ancora la spyder e l’auto che l’affianca, più che mai intente ai vari sorpassi; a destra, uno sfondo roccioso. Il climax accennato precedentemente si intensifica sempre più.

Inquadratura n. 14. Primo piano di Bruno (anche se il viso non è “preso” interamente, infatti da un lato vediamo il suo volto e dall’altro la strada) che, ancora una volta, come già è accaduto in altre scene, ha uno sguardo ansioso, trepido… o, forse, solo “impegnato”…

Inquadratura n. 15. (Campo lungo). Si vede nuovamente la decappottabile dei nostri amici che tenta di sorpassare. Sullo sfondo scorgiamo rocce ed alberi. Ora la macchina da presa è utilizzata in modo che progressivamente la scena si trasformi nella

Inquadratura n. 16. (Campo lunghissimo). Si osserva da un luogo fisso il gioco dei sorpassi azzardati delle nostre due autovetture. Ora le difficoltà stanno aumentando: la spyder infatti ha di poco schivato un’altra macchina. I pericoli s’infittiscono.

Inquadratura n. 17. Primo piano di Roberto che ancora una volta ha dipinte nel viso euforia ed eccitazione. Egli ci sembra quasi in attesa di qualcosa… forse di un nuovo sorpasso, di un sussulto più rischioso degli altri.

Inquadratura n. 18. Primo piano di Bruno che ride soddisfatto. Soddisfatto forse di aver creato, plasmato una persona o meglio di aver cambiato la fragilità e incomunicabilità di una persona, creando così un secondo “se stesso”, che tanto odia forse ma col quale solo può comunicare.

Inquadratura n. 19. Dettaglio: mano di Bruno che, “facendo le corna”, tocca il solito cornetto portafortuna. E’ un gesto ripetuto per la seconda volta: scaramanzia, paura?

Inquadratura n. 20. (Campo medio). Troviamo ancora le due auto che procedono quasi in parallelo, impegnate nel gioco dei sorpassi: sembrano persino aspettare qualcosa che ponga fine alla sfida. C’è uno sfondo roccioso.

Inquadratura n. 21. (Campo lungo). La macchina da presa è ferma; vediamo la spyder avvicinarsi (sembra quasi un effetto zoom); poi segue la corsa delle due autovetture, che imperterrite continuano il loro gioco. Dalla corsia opposta appare un’altra auto, dalle dimensioni molto ridotte, che avanza a velocità moderata e che ha a bordo un bambino.

Inquadratura n. 22. (Campo medio/Mezza figura). Il bambino è gioioso, a bordo della sua auto “tranquilla”, si gode il viaggio e il paesaggio e saluta felice Roberto che ricambia il saluto, allontanandosi e con altrettanta gioia.

Inquadratura n. 23. (Campo lungo). La macchina da presa, una volta che l’auto col bambino si è allontanata, torna a seguire la frenetica corsa.

Inquadratura n. 24. (Campo lungo). La macchina da presa è ferma in quanto le due macchine, avvicinandosi, sembrano andarle addosso. Piano piano si va al “campo lunghissimo” (le vetture si allontanano e la m.d.p. da ferma segue la loro corsa).

Inquadratura n. 25. (Campo medio). Vediamo in lontananza le due auto che stanno per arrivare. La m.d.p. è ferma e quindi notiamo che la spyder si avvicina a noi, all’obiettivo, in modo velocissimo.

Inquadratura n. 26. Primissimo piano di Roberto: ha un’espressione terrorizzata. Adesso possiamo veramente essere certi che qualcosa sta accadendo: sentiamo infatti delle urla, le urla di Bruno. Questi ha ormai capito, ha capito, sono entrambi in pericolo.

Inquadratura n. 27. Primissimo piano di un camion (parte frontale) che si avvicina, minaccia.

Inquadratura n. 28. Primi piani. Bruno perde il controllo dell’auto.

Inquadratura n. 29. Primissimo piano della parte frontale del camion. Dettaglio.

Inquadratura n. 30. Primo piano della spyder che va a sbattere contro qualcosa; Bruno è sbalzato dall’auto.

Inquadratura n. 31. (Campo medio). Sullo schermo appare l’immagine dell’Aurelia che cade velocemente nel burrone e sbatte con violenza sulle rocce; ora ci rendiamo conto che a bordo c’è Roberto. Primo piano dell’auto.

Inquadratura n. 32. (Campo medio). Bruno osserva la scena con un’espressione a dir poco sconvolta, tenendosi un braccio (evidentemente ferito) con la mano destra. La macchina da presa inizialmente lo segue, poi si ferma facendogli un primo piano.

Inquadratura n. 33. (Campo medio). Vediamo la spyder che, terminata la terribile caduta, giace sul fondo del precipizio. Scogli e mare fanno da sfondo a questa immagine.

Inquadratura n. 34. Primo piano di Bruno, ferito in volto. In lontananza scorgiamo due persone che osservano l’accaduto. Una musica malinconica e triste, assieme al tempo cupo e grigio, accompagnano un’atmosfera di sventura.

Inquadratura n. 35. (Campo medio). La m.d.p. si sposta orizzontalmente, da sinistra verso destra, riprendendo prima Bruno e poi un poliziotto accorso sul luogo, poi li inquadra entrambi. Il poliziotto si allontana. Altro primo piano di Bruno.

Inquadratura n. 36. Primo piano di una ragazza, una spettatrice, che osserva spaventata l’accaduto. Poi si inquadra la macchina in fondo al burrone. Qui un uomo è accorso per tentare un improbabile, impossibile soccorso.

Inquadratura n. 37. Primo piano di un Bruno non più cinico, sembra.

Inquadratura n. 38. L’uomo, che era sceso in riva al mare, ora torna su. L’ultima immagine è quella del mare, delle sue onde che si formano e svaniscono come fantasmi. E’ la dissoluzione di tanti sogni, sforzi, utopie… Due persone sole e vagabonde, bisognose di amore, incapaci di amare. La fuga, la ricerca, la morte.

 

                                                                       Silvia  Z.

 

“Caro Bruno, ci pensi mai alla tua insicurezza?”

 

Se Amleto si dilettava a parlare con i teschi, Bruno si divertiva a scherzare con la vita. Il dilemma è: vivere con troppa consapevolezza della vita e della morte, assillati dal succedersi di questi due fenomeni, oppure esistere senza riflettere, “sorpassando” con una risata gli abissi che l’insicurezza e il silenzio provocano? I due concetti sono agli antipodi. Sono solo strumenti dei periodi storici? Per Amleto la filosofia e per Bruno il twist?

Bruno è sostanzialmente un bugiardo, mente con se stesso e di conseguenza con gli altri. Se è davvero così certo d’essere un individuo spiritualmente completo e soddisfatto, perché avverte il bisogno di sorpassare le auto altrui? Per dimostrare che cosa? Solo una persona insicura si comporta in questo modo; forse lui non accetta di esserlo per non far crollare la sua figura d’incallito latin-lover e di vitellone. Nutre in realtà molti complessi, infatti in ogni istante fa pesare a Roberto la sua illusoria superiorità. Ma la vera superiorità consiste nel confessare apertamente i propri limiti, raggiungendo la piena sincerità innanzitutto con se stessi. Ciò significa che Bruno si sente inferiore a Roberto e che lo usa (proprio perché Roberto mette a nudo la sua indifesa identità) come vittima per coprire la sua insicurezza. Se poi Bruno è tanto sicuro di sé, perché non si sente capace di portare avanti il rapporto con Lilly (la figlia) e con una sola donna, preferendo un mucchio di avventurette adultere?

In fondo non è più un ragazzino ma cerca ugualmente di abbordare le turiste di passaggio e di sfrecciare per le strade con la sua Aurelia. Ha semplicemente una fifa matta d’intraprendere un legame serio e la causa principale è che prima deve crescere. Due parole per definirlo: un bambinone insicuro di mezza età che evita i contatti diretti coi suoi sentimenti. E’ la classica persona inaffidabile, simpatica e scherzosa, ma inaffidabile; non ha freni, non si può affermare che sia libero ma si comporta da tale, ossia non ha orari né scadenze, non possiede appigli che lo colleghino ad un’esistenza, come dire, da “normale impiegato”.

Un altro elemento emerge dal suo personaggio, la solitudine. Si circonda di persone con abilità magistrale ma la sua pretesa di libertà lo porta a fuggire dai vincoli, da tutti i tipi di relazione. Frequenta una persona, la conosce un po’ e poi la lascia perché si annoia, perché la persona non gli assomiglia abbastanza. Forse ha bisogno di un compagno, forse di un allievo e l’unica volta che riesce a rendere un individuo simile a lui, quasi come un suo “clone”, lo perde. Bruno è un uomo solo e sfortunato: soltanto in quell’attimo sospeso tra la vita e la morte si rende conto della verità che ha sempre calpestato, la verità che gli brucia dentro, ma che cerca di occultare: è un individuo che ha commesso numerosi errori, che deve crescere e che forse, grazie a questa terribile e cruda esperienza di morte, riuscirà ad orientarsi verso un “sorpasso” migliore.

 

                                                                                  Francesca  H.

 

Due opposti si attraggono

“L’uno timido, riservato; l’altro un fanfarone, un bighellone quarantenne”. E’ così, proprio così, che molti critici ma anche noi stessi definiamo i due protagonisti di questo film, Roberto e Bruno. Ma ci siamo mai chiesti chi sono veramente, cosa nascondono dietro superficiali sorrisi e sguardi timidi e diffidenti? Troppo semplice sarebbe poter rispondere e riempire così quel vuoto, quel dubbio, quella curiosità che seppure per un attimo ci assale. Cominciamo con l’analizzare il loro apparire, il sembrare, il fingere per poi cercare di arrivare a qualcosa di più profondo, più vero, il loro essere.

Bruno rappresenta uno “straripante” figlio del boom (che in quegli anni “assaliva” l’Italia), che si sente realizzato solo al volante della sua potente automobile: il sorpasso è infatti il concreto simbolo del suo riscatto, della sua rivincita su una vita costellata da una moltitudine di fallimenti. Il suo carattere, comico amaro e insensibile allo stesso tempo, costituisce una somma di vizi e di fatti di quei tempi che indicano la vistosa volgarità di una società che si credeva pronta al grande passo, al grande salto in avanti proprio mente si producevano le prime invisibili crepe che mai sono state risanate e che sempre più si sono allargate. L’esuberanza del protagonista e le sue continue lezioni di edonismo spicciolo si avvicinano molto e alludono con acutezza a una serie di temi tipici di un modo di pensare e di vivere “moderno” che ormai ai nostri giorni caratterizzano l’intera società. Bruno nella sua insensibilità, nel suo continuare imperterrito e ostinato a rimanere bambino, a vivere d’espedienti, a negare a se stesso e agli altri la sua vera persona, il suo vero essere ricco di amarezze delusioni fallimenti, nasconde più che mai tanta solitudine e incapacità; egli però preferisce continuare a negarsi e a nascondersi dietro la società, che a poco a poco diventerà tutt’uno con lui, creando appunto poi il tipico “figlio del boom”. Egli non riesce ad essere se stesso, qualcosa lo blocca. Ne è l’esempio una sequenza del film in cui Bruno, finalmente sincero e serio, svela a Roberto di essere irrimediabilmente solo; subito dopo però tronca bruscamente il discorso, tornando immediatamente ad essere lo stupido e il superficialone di sempre. E’ proprio vero che la verità fa male! Più rifletto, più penso a Bruno, più non capisco se nella sua superficialità nasconda qualcosa di bello e puro. Resta pur sempre quell’uomo che, alla morte dell’amico, denuncia nel volto pentimento, rimorso di coscienza, senso di colpa, voglia di cambiare (mi assale un filo di ironia). Oppure prevalgono i difetti, l’euforia artificiale, la presunzione, l’insensibilità?

Roberto rappresenta la problematicità dello studente, la solitarietà di un ragazzo, la timidezza e introversione di una persona. E’ l’opposto dell’altro. E’ proprio per questo che viene attratto da Bruno e con lui vive per un attimo il suo “risveglio”, che tenta di trasformare in realtà, facendo –o meglio tentando di fare- un sorpasso più arrischiato degli altri che però porrà fine ai suoi sogni, alla sua gioventù, alle sue speranze… alle nostre speranze. Egli rappresenta un fragile e smarrito ragazzo che nel momento del grande boom non sa più dove orientarsi ma ecco che appare il suo improvvisato amico e con lui passerà “i due giorni più belli della sua vita”, belli perché rischiosi, perché emozionanti, perché diversi.

                                                                                  Silvia  Z.