“L’addio all’abbazia di frate Guglielmo e Adso”. Ultima sequenza del film “Il Nome della rosa” di J. J. Annaud

“L’addio all’abbazia di Guglielmo ed Adso”: sequenza da “Il nome della rosa” di J. J. Annaud, 1986.

 

Il testo è stato estrapolato da un fascicolo di 112 pagine, scritto dagli studenti di due classi terze del Liceo Sperimentale “L. Stefanini” di Venezia-Mestre, pubblicato in forma di quaderno nel maggio 1996 e custodito nella biblioteca dell’istituto. Vi si dimostrano, accanto alle inevitabili incertezze del primo approccio di lettura di un testo visivo, di studenti sedicenni per di più, originalità e lucidità di analisi, acutezza e sistematicità nell’organizzazione dei dati, una pazienza ammirevole nel ripetere più volte al video-registratore l’indagine sui più diversi aspetti della sequenza e nel fissarne sulla carta le coordinate più significative (associando le abilità legate alla cultura del libro a quelle derivate dalla cultura dello schermo).

Il cinema è l’arte che consente di integrare al meglio l’indagine bibliografica, iconica, musicale, tecnica. Le descrizioni d’ambiente, i paesaggi, i costumi, lo scavo psicologico dei personaggi e delle folle, i movimenti di massa, la stessa tecnica del montaggio offrono ai giovani studenti stimoli e suggestioni per entrare il più possibile nella dimensione quotidiana (fantastica e insieme materialmente elementare) di un fatto e di un’epoca.

Questa esperienza di lettura, smontaggio e interpretazione di un testo audiovisivo ha fatto parte di un progetto più ampio di “Letture testuali e con-testuali”, (poesia, novella, romanzo, cinema, saggistica, giornalismo, politica, pubblicità, canzoni), attuato in un arco di cinque anni, dal 1993 al 1998, che semplicemente ha puntato ad avvicinare gli studenti ad un uso più attento e critico anche della civiltà delle immagini. Li si è voluti  stimolare ad arricchire il loro lessico, con una quotidiana e paziente pratica di lettura, di ascolto, di visione, per contrastare un’espressività orale e scritta sempre più povera e banalizzata. Si è voluto suggerire un metodo di analisi, di concentrazione, di interrogazione di se stessi, di discussione e confidenza con gli altri (che dura da secoli e che oggi, forse, si sta perdendo). Di più, coltivando la fatica dell’interpretazione, lentamente costruiranno la pratica di un continuo approssimarsi alla verità, di una sua messa in discussione, di una necessaria dimensione sociale del pensiero, di una coltivazione di sé (già Leopardi e Gramsci dicevano che lo studio “è un abito acquisito con lo sforzo e il dolore e la noia”).

 

                                                                       prof.  Gennaro Cucciniello

 

Ormai, con la luce del giorno, l’incendio è finito: da lontano si vede l’abbazia contornata da un fumo viola e, sullo sfondo, un cielo azzurro. Adso e Guglielmo stanno partendo; alcune persone portano via le ultime cose preziose rimaste illese dal fuoco. Il giovane novizio si sofferma un istante a guardare i tre roghi: due di essi bruciano ancora ma un palo non sembra essere stato arso dalle fiamme, proprio quello a cui era stata legata la fanciulla. L’immagine è particolare anche per il gioco della luce: il sole sembra inviare i suoi raggi solo verso questo palo, lasciando gli altri due in penombra. Il volto di Adso è in primo piano ed è facile leggere nei suoi occhi un punto interrogativo. Indietreggia confuso e sale sul suo asino. Avviatosi, continua a guardare i tre roghi che si vedono per la seconda volta ed ora è ancora più marcato l’effetto chiaro-scuro che ho indicato prima. Lo stupore di Adso cresce: forse ha capito che la fanciulla si è salvata. Egli abbassa lo sguardo e la macchina da presa inquadra d’improvviso l’abbazia, altissima e imponente, che –con le sue tre torri- sembra ripetere il simbolismo precedente. Si scende poi a inquadrare il sentiero che stanno percorrendo i due partenti, al di sotto delle mura.

Il sentiero, aspro e selvaggio, è ripreso frontalmente in modo che, ad una svolta poco più avanti, una figura femminile è vista prima di spalle. Adso, avanzando, le si avvicina sempre più fino a quando vede nitidamente il suo viso. Volge lo sguardo verso Guglielmo che è davanti a lui e che si gira per un istante ma poi prosegue il suo cammino. La ragazza, allora, si avvicina al novizio, le viene fatto un primo piano: il suo volto si illumina. Anche il volto di Adso, in primo piano, rivela commozione. Entrambi sorridono e la fanciulla gli prende una mano e si fa accarezzare il volto. Adso guarda per la seconda volta il maestro, che rimane impassibile. La fanciulla gli bacia la mano. Dagli occhi del giovane scende una lacrima: ma si è imposto una decisione, vuole riprendere la strada del ritorno. Guarda la fanciulla per l’ultima volta e riparte. La ragazza si volta a guardarlo, stupita. Egli si volta indietro per l’ultima volta ma sul viso della donna non traspare alcuna speranza, continua a guardarlo allontanarsi e il suo viso diventa sempre più piccolo e lontano, come se fosse il giovane a guardarla. Tutta la figura della fanciulla si affievolisce, offuscata dalla nebbia che la cancella a poco a poco e dalla distanza crescente. Si sentono le parole di Adso, vecchio e narratore: “Ripeto ancora oggi a me stesso che la mia scelta fu buona, che feci bene a seguire il mio maestro. Quando infine ci separammo, egli mi fece dono delle sue lenti. Poi mi abbracciò con la tenerezza di un padre e mi disse: “tu hai vissuto in questi giorni, mio povero ragazzo, una serie di avvenimenti in cui ogni retta regola sembrava essersi sciolta, ma l’anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della verità, come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente…”. Con queste ultime parole, la fanciulla scompare completamente e sullo schermo appare solo una nebbia azzurra. L’ultima scena si apre con queste frasi della voce narrante: “e la verità si manifesta a tratti, anche negli errori del mondo, così che dobbiamo decifrarne i segni, anche là dove ci appaiono oscuri e intessuti di una volontà del tutto intesa al male. Non vidi più il mio maestro, né so che cosa sia accaduto di lui ma prego sempre Dio che abbia accolto l’anima sua e gli abbia perdonato i molti atti d’orgoglio che la sua fierezza intellettuale gli aveva fatto commettere. Ma ora che sono molto, molto vecchio, mi rendo conto che di tutti i volti che dal passato mi tornano alla mente, più chiaro di tutti vedo quello della fanciulla che ha visitato tante volte i miei sogni di adulto e di vegliardo. Eppure dell’unico amore terreno della mia vita non avevo saputo, né seppi mai il nome”.

Il paesaggio, che ora viene ripreso dall’alto, è tutto coperto dalla neve che lo disegna con infinite e strane linee. Si vedono –molto lontani- Adso e Guglielmo che proseguono su un cammino segnato da due linee e intersecato da tantissime altre. Questo sfondo riprende il tema dei “segni oscuri e talvolta indecifrabili” che lasciano molti interrogativi nella vita dell’uomo. La ripresa si allarga ancora di più, i due si mimetizzano col paesaggio e ora si vedono anche delle colline e il cielo. La macchina da presa riprende prima la terra, le vallate che si intrecciano tra loro, poi le colline e, sopra di esse, il cielo.

Elena  B.