L’Italia nel 2070: Nord spopolato, Sud desertificato.

Italia 2070: Nord spopolato, Sud un deserto

L’Istat pubblica le stime sugli abitanti del nostro Paese nel 2070.

 

“La Lettura”, supplemento culturale del “Corriere della sera” del 12 dicembre 2021, pubblica a p. 17 questo articolo di Roberto Volpi. In bibliografia: Maurizio Ambrosini, “L’invasione immaginaria”, Laterza 2020; Stefano Allievi, “5 cose che tutti dovremmo sapere sull’immigrazione (e una da fare)”, Laterza, 2018; Valerio De Cesaris, “Il grande sbarco”, Guerini, 2018.

 

Possiamo dirlo? E allora diciamolo: meglio tardi che mai. Il 26 novembre 2021 l’Istat ha varato le nuove previsioni 2020-2070, che vedono la popolazione italiana precipitare alla fine del periodo a 47 milioni e 586mila abitanti, oltre 12 milioni in meno rispetto al 2020. Era diventato perfino imbarazzante ascoltare le dichiarazioni del presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, così preoccupate del futuro della popolazione, e poi leggere previsioni dell’Istat che praticamente non rivelavano alcun vero cedimento della popolazione stessa –destinata, sembrava da quelle stime, a vivacchiare alla bell’e meglio. Del resto non lasciano dubbi i dati usciti il 9 dicembre sul saldo naturale del 2020, con il record negativo delle nascite, solo 405mila, e 740mila morti, per un saldo negativo di 335mila, inferiore soltanto a quel 1918, anno di guerra e di epidemia da Spagnola.

Le previsioni al 2070 sono un bagno di realtà che dovrebbe rinfrescare le idee ai decisori politici, che in verità sembrano poco turbati. Queste previsioni di 47 milioni e spiccioli equivalgono, per la fine del secolo, a meno di 40 milioni di abitanti, tanti quanti ce ne attribuiva già la Population Division dell’Onu nella sua 2019 Revision of World Population Prospects. Altre previsioni sono assai più pessimistiche. Di più ottimistiche, invece, non ci risultano.

Difficile dire che ne sarà dell’Italia alla luce di queste previsioni. Resterà in piedi? Reggerà? Sono leciti i peggiori dubbi. Si arriverà a uno sbilanciamento annuo monstre tra le nascite, che scenderanno fino a 350mila, e le morti, che supereranno le 830mila: quasi mezzo milione di morti all’anno più delle nascite. Tra una ventina d’anni o giù di lì saremo a 230 morti annui ogni 100 nascite –un’abnormità demografica- che spingeranno l’indice di vecchiaia fino a 300 anziani con più di 65 anni ogni 100 bambini e ragazzi di 0-14 anni. Nel tempo in cui tutti scrivono sui bambini –chi dice che non sono mai stati così bene, chi denuncia indici di povertà da terzo Mondo- i bimbi in Italia si avviano alla sparizione. La rarefazione di cui si temeva negli ultimi due decenni dello scorso secolo si è pienamente realizzata nei primi due decenni di questo e alla metà del secolo sarà tale che si avranno 150 abitanti di 80-89 anni ogni 100 bambini di 0-9 anni. Dati che sono lapidi sulla società italiana.

Molti di fronte a questo stato di cose rivolgono il loro pensiero, accompagnato da una silenziosa preghiera, agli immigrati. Una sorta di “Gigante, pensaci tu” dei tempi di carosello. Ma le previsioni dell’Istat, e tutte le altre, sono ovviamente comprensive tanto dell’apporto dei nuovi flussi migratori che degli stranieri già residenti in Italia: sono queste, e non sono ancora più catastrofiche, proprio perché il movimento migratorio con l’estero dovrebbe rifornirci, in questi 50 anni fino al 2070, di un saldo attivo di altri 6,5 milioni di stranieri che entreranno a far parte della popolazione italiana –che altrimenti di abitanti ne perderebbe quasi 19 milioni, mica solo 12.

Ma la perdita di abitanti non è un tornado destinato a flagellare il Paese tutto allo stesso modo, con le stesse conseguenze. Tornado sì, non sono ammesse perplessità al riguardo, ma selettivo. Tornado destinato a dividere l’Italia come nient’altro mai – e stiamo parlando di un Paese diviso da tempo immemorabile praticamente su tutto –tanto da fare del paese due Italie con destini diversi.

Il perché attiene alla estremamente diversificata capacità delle macroregioni italiane (Nord, Centro e Mezzogiorno) di reggere l’impatto di uno spopolamento che avanza a grandi falcate. Il Nord lo regge meglio del Centro che a sua volta lo regge meglio del Sud. Per la regola transitiva il Nord regge l’impatto dello spopolamento incomparabilmente meglio di quanto non faccia il Sud. Il Mezzogiorno subisce uno spopolamento molto maggiore delle altre due ripartizioni, tanto che perde da solo oltre 6,6 dei 12,1 milioni di abitanti che perde complessivamente l’Italia –ben più della metà della diminuzione totale di abitanti. Il Nord perde 3,3 milioni di abitanti, il Centro più di 2,1 milioni. Ma sono queste perdite in rapporto alle rispettive popolazioni delle macroregioni a rendere ancora meglio l’idea dei diversi ritmi dello spopolamento perché mentre alla data del 2070 il Nord perde meno del 12% della sua popolazione al 2020, il Centro perde il 18% e il Sud il 33%, ovvero 1/3 della sua popolazione e, in proporzione, quasi tre volte la perdita del Nord. Uno spopolamento che per il Mezzogiorno si prefigura già come una resa dei conti finale.

In questa resa dei conti non c’è soltanto una popolazione meridionale che accusa perdite assai più pesanti del resto d’Italia. Tutta l’Italia regredisce e inaridisce. Ma nel Sud la popolazione esce completamente devitalizzata dal mezzo secolo che abbiamo davanti.

La popolazione invecchia inesorabilmente. Nel 2070 gli italiani avranno un’età media di 50,7 anni, di quasi 5 anni superiore alla già molto alta età media attuale; un indice di vecchiaia di 296 anziani ultra sessantacinquenni ogni 100 bambini e ragazzi fino a 14 anni, di oltre 100 punti superiore all’indice attuale di 183, il più alto d’Europa; una percentuale di abitanti di 80 e più anni sul totale della popolazione del 14,9%, praticamente il doppio della percentuale attuale del 7,5%. Tutte queste performance in negativo vengono largamente superate dal Sud, che pure nel 2020 vantava una popolazione decisamente più giovane del resto del Paese. Così nel 2070 gli abitanti del Mezzogiorno avranno un’età media di 52,1 anni contro i 49,7 anni del Nord; un indice di vecchiaia di 339 contro uno di 272 del Nord; il 16,9% di vecchi di 80 e più anni contro il 13,6% del Nord.

Non basta. Il Sud è anche condannato a non poter risalire la corrente da una proporzione di donne in età feconda sul totale delle donne che al 2070 sarà appena il 31%, contro un pur abissalmente deficitario 34% del Centro-Nord. La percentuale, che indica la potenzialità del motore italiano delle nascite –le donne di 15-49 anni in grado di fare figli, appunto- è così bassa che non basterà l’aumento del numero medio di figli per donna (che l’Istat dà in crescita dall’1,2 odierno fino all’1,5 del 2070) a frenare la contrazione delle nascite e la caduta dell’aumentare degli abitanti.

Insomma, se il Centro-Nord è in una situazione peggio che critica, il Sud appare destinato a una drammatica desertificazione che potrebbe spegnerlo già entro il secolo. E non si tratta di esagerazione.

Ora, questo fatto che la popolazione del Sud scende a un ritmo tre volte superiore a quello del Nord, appare, diciamolo pure, del tutto contro-intuitivo. Ma come, non è forse stato sempre, da che mondo è mondo, il Mezzogiorno la ripartizione territoriale con una natalità così al di sopra delle altre, tanto da potersi considerare una sorta di granaio dei figli per l’Italia intera? Vero. Ma molto è cambiato, quasi tutto, nella demografia del Sud nell’ultimo quindicennio. La natalità è scesa anche qui al livello, infimo, tanto del Nord che del Centro: decisamente meno di 7 nascite annue ogni mille abitanti. E questo è successo mentre il Mezzogiorno si avvaleva meno delle altre macroregioni geografiche dei movimenti migratori con l’estero e perdeva abitanti per i movimenti migratori da e con le altre regioni e con l’estero.

Sarà così anche per il futuro. Di modo che mentre le sempre più alte perdite del movimento naturale (nascite-morti) accomunano tutta l’Italia, saranno i movimenti migratori a dividerne le sorti. Al Nord i movimenti migratori con l’estero e con l’interno, fortemente positivi entrambi, comportano da qui al 2070 un aumento di 5,1 milioni di abitanti –che non basta a recuperare le perdite abissali di 8,6 milioni di abitanti generate nel frattempo dalla differenza negativa tra nascite e morti- ma le attenuano in modo considerevolissimo. Cosa che non succede nel Mezzogiorno, dove lo sbilanciamento tra nascite e morti di 6,4 milioni di abitanti tra il 2020 e il 2070, lungi dal venire smussato, è aggravato dai movimenti migratori, complessivamente negativi di quasi 300mila unità.

Il fatto è che il Sud, che pure ha una bilancia migratoria con l’estero che nel prossimo mezzo secolo gli frutterà quasi 1,5 milioni di abitanti in più, perde oltre 1,7 milioni nel movimento migratorio con l’interno. Niente rispetto ai più di 5 milioni che dal Mezzogiorno –nel mezzo secolo dal 1970 al 2020- si sono spostati al Centro-Nord. Ma in quaranta di questi cinquant’anni la natalità del Sud sopravanzava largamente quella del Centro-Nord, mentre oggi non è più così e ancor meno lo sarà in futuro. Così il Sud ha perso tutti i suoi margini di recupero e va incontro allo spopolamento come una vittima sacrificale. A mani nude.

 

                                                        Roberto Volpi