No, caro Scalfari, non bisogna “turarsi il naso”!

No, caro Scalfari, non bisogna “turarsi il naso”.

 

Questa mattina, domenica 10 gennaio 2016, ascoltavo a Radio 3 il programma “Prima pagina”. Alcuni ascoltatori sono intervenuti, con una certa veemenza, contestando la frase scalfariana fatidica, “Per noi, testimoni di quanto accade, non c’è che turarsi il naso”, frase contenuta nel solito articolo domenicale del fondatore di “Repubblica”. L’articolista si riferiva in particolare agli sviluppi dell’inchiesta della Procura aretina sul dissesto della Banca Etruria e sull’accertamento delle responsabilità dei suoi dirigenti. Gli ascoltatori si sono dichiarati lettori di “Repubblica” fin dalla prima ora –così hanno testimoniato- e si sono sentiti traditi da quella ripresa del famoso motto di Indro Montanelli del 1976, “di fronte al pericolo dell’avanzata del PCI votiamo DC, turandoci il naso pur annusando i miasmi del malgoverno democristiano”. Mi è sembrato che almeno uno degli ascoltatori intervenuti abbia sostenuto la necessità, invece, di appoggiare convintamente l’alternativa di governo prospettata dal Movimento “Cinque Stelle”.

Voglio scrivere sul tamburo alcune mie convinzioni su questi temi. Da due anni almeno, dalla vittoria di Renzi alle primarie del PD del dicembre 2013, Scalfari scrive ossessivamente delle deficienze del progetto renziano, dei suoi errori marchiani, delle sue ingenuità, del suo lobbismo faccendiero, del suo provincialismo e delle sue scarse letture, delle sue spacconate, martellando sulle sciagure che ci attendono. Io mi sarei aspettato da un osservatore attento quale Scalfari è stato delle vicende nazionali e internazionali un’analisi dei fatti puntuale e realistica: cosa abbiamo imparato dagli avvenimenti dell’avvento di Monti al governo nel novembre 2011, dalla sua travagliatissima esperienza nella risoluzione della terribile crisi finanziaria, dalle elezioni inconcludenti del febbraio 2013 e dall’emergere di un tripolarismo rissoso e incapace di formare coalizioni, dalla rielezione obbligata di Napolitano costruita sull’indispensabilità delle riforme, dalla necessità del governo Letta sostenuto anche da Berlusconi, dall’impaludarsi dell’Italia nella crisi economica e sociale.

Come mai l’indulgenza che Scalfari più volte ha dimostrato nei confronti del governo Letta, delle sue titubanze e incertezze (di certo condizionate dal ricatto di un Berlusconi periclitante) è diventata –invece- sarcasmo, denuncia spietata, sfilza di insulti e di derisioni fino al grottesco nei confronti di ogni mossa del governo Renzi, anch’esso condizionato da un’alleanza obbligatissima con il partito di Alfano e da una guerriglia parlamentare logorante di una parte significativa della minoranza del Partito Democratico, dopo che quella stessa minoranza lo aveva spinto a sostituire Letta a Palazzo Chigi?

Come mai Scalfari non spiega il significato delle divergenze, sempre più forti, che sono emerse in questi ultimi due anni tra le sue analisi e denunce e le riflessioni ponderate dell’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sia sui provvedimenti quotidiani del governo sia sulle serie riforme economiche, sociali, istituzionali avviate e portate a termine in questo biennio? Eppure per anni Scalfari aveva sottolineato le lodevoli convergenze tra le sue meditazioni e le prese di posizione del Quirinale!

Nella primavera del 2014 più volte mi è capitato di leggere negli articoli di Scalfari attacchi decisi “alla mancia elettoralistica degli 80 euro” e alla deficiente azione di governo dello sprovveduto Renzi per poi, a fine maggio, trovarmi a leggere con mia sorpresa delle sue felicitazioni per la grande vittoria del Pd alle elezioni europee e per la sconfitta “dell’avventurismo grillino”. Non una parola o uno straccio di ragionamento sul come quei risultati erano stati ottenuti.

Sempre nel 2014, e poi con ritmo ossessivo nel 2015, gli attacchi di Scalfari alla proposta di legge elettorale dell’Italicum e al progetto di riforma costituzionale del Senato si sono fatti sempre più veementi e circostanziati, deplorando puntualmente le vittorie in Parlamento delle proposte di Renzi ma mai spiegando quali avrebbero potuto essere le alternative realistiche, quale nuova legge elettorale (con quali voti parlamentari) che riuscisse ad evitare il logoramento della governabilità dettato dalle coalizioni abborracciate su entrambi i fronti (sperimentate sempre in ogni elezione dal 1994 al 2011). E le riflessioni potrebbero appuntarsi e ripetersi sulla Riforma del lavoro, sulle Riforma della scuola, sulla Riforma della Pubblica Amministrazione, sul rapporto tra la Politica e i corpi intermedi dell’associazionismo, sulla politica europea.

Io trovo sempre più serie e argomentate le opinioni dei giornalisti del “Corriere della Sera” (da Mieli a Galli Della Loggia a Panebianco) che, pur criticando e sottolineando con forza le carenze dell’esperienza di governo di Renzi (segnatamente la mancanza di una seria squadra di governo che esalti le competenze e le responsabilità gestionali di una nuova classe dirigente), non si stancano di richiamare tutti a un’analisi attenta della situazione sociale e civile del nostro paese, delle sue croniche e storiche debolezze ma anche delle sue potenzialità, della necessità di un convinto impegno per iniettare fiducia nelle possibilità di concreta ripresa economica e di mobilitazione intellettuale.

Per esempio, mi è sembrata convincente l’opinione di Paolo Mieli riguardo ai risultati delle ultime elezioni politiche del dicembre scorso in Spagna, che hanno segnato l’avvento di un quadripolarismo conflittuale, 4 partiti politici con progetti non conciliabili in un contesto di rottura dell’unità nazionale. Se avesse potuto realizzarsi un secondo turno di ballottaggio (come prevede l’Italicum) tra le due liste più votate, sarebbero stati i cittadini spagnoli a scegliere la forza che li avrebbe governati, e non invece –come ora- a doversi affidare a improbabili consultazioni tra partiti che non vogliono intendersi e a tornare probabilmente a votare senza plausibili risultati.

I cittadini devono imparare a responsabilizzarsi: devono sapere che con il loro voto, o non voto, determineranno il governo del paese, con tutte le conseguenze che ne deriveranno, in economia, nel fisco, nei salari, nelle politiche sociali, nei diritti civili, nell’unità o nella disgregazione dell’Europa, nelle relazioni internazionali, nella guerra o nella pace.

Ho trovato sbagliata la scelta fatta dai socialisti francesi alle ultime elezioni regionali: fare fronte comune col partito di Sarkozy per impedire la vittoria del Front National: se le due Le Pen avessero vinto nelle due regioni in cui avevano largamente dominato nel primo turno avrebbero poi dovuto concretamente affrontare, in termini di governo e di risoluzione dei problemi, i nodi critici che erano stati al centro delle loro proposte elettorali, l’immigrazione e la disoccupazione. In egual modo io riterrei molto interessante l’eventualità che i Cinque Stelle vincessero le elezioni amministrative a Roma e a Napoli nel prossimo giugno: sarebbe messa alla prova la loro concreta capacità di governo in queste due difficili città, dopo le deludenti esperienze che li stanno caratterizzando a Parma, a Livorno, a Civitavecchia, a Quarto.

Per finire, se Scalfari crede ancora che il PD sia l’unica forza democratica strutturata in grado di dare all’Italia prospettive positive di governo, come più volte ha sostenuto, non deve “turarsi il naso”: deve invece dare il suo contributo nell’avviare una campagna di mobilitazione culturale, intellettuale, politica, economica, civile affinché nel 2017, al congresso del partito, possano vincere la competizione uno schieramento e un/a candidato/a in grado seriamente di competere con Renzi, di demistificare e sgonfiare il suo presunto bluff, di batterlo e di realizzare una diversa politica riformatrice e innovatrice. “Porsi l’obiettivo di costruire l’Europa federata che riformisti e moderati debbono far nascere insieme, come richiede una società globale governata da Stati di dimensioni continentali. Far avanzare in Europa questo ideale e farne una concreta realtà dove le disuguaglianze siano rimosse e la produttività economica sia tutt’una con l’equità sociale, la comunione dei valori, il riconoscimento dei diritti e il rispetto dei doveri, la separazione dei poteri che garantiscano la nobiltà della politica e la democrazia”.

                                                                       Gennaro  Cucciniello