Ogni giorno parlo con un abate del Seicento

Ogni giorno parlo con un abate del Seicento

Gli intellettuali europei formavano allora una “Repubblica delle Lettere”, ricorda in un saggio l’Accademico di Francia Marc Fumaroli. Che con quel passato convive. Intervista.

Nel “Venerdì di Repubblica” del 4 maggio 2018 è pubblicata l’intervista di Anais Ginori a Marc Fumaroli, autore del saggio “La Repubblica delle Lettere”, già pubblicato da Gallimard e ora tradotto da Adelphi.

Ho frequentato l’Abbé Bignon” dice Marc Fumaroli a un certo punto della conversazione, seduto nel salone dai muri coperti da tappezzerie, icone sacre e una biblioteca che sembra sul punto di crollare tanto è piena. Scusi, professore, come ha fatto a frequentare l’abate Bignon, accademico e bibliotecario del re, che ha vissuto nei Seicento? “Vede, per me questi illustri eruditi non sono personaggi defunti. Sono amici, parenti, fanno parte della mia famiglia”. Il mondo di Fumaroli è molto più vasto di quello di gran parte dei comuni mortali, esclusi da quella società ideale che si è forgiata a cavallo di tre secoli, tra Firenze Roma Venezia Aix Parigi, oltrepassando confini geografici e religiosi, via via umanista, classica, barocca, neoclassica, mantenendo sempre l’Antichità come punto di inesauribile ispirazione.

Fumaroli “frequenta” abitualmente personaggi come Pirro Ligorio, Fulvio Testi, Nicolas Fabri Peiresc, Cassiano dal Pozzo, Scipione Maffei. Sono alcuni dei protagonisti, per molti sconosciuti e dimenticati, da scoprire in “La Repubblica delle Lettere”, saggio dotto e raffinatissimo già pubblicato da Gallimard e ora finalmente tradotto da Adelphi. Quel cenacolo esclusivo era l’equivalente di un social network di altri tempi? “Probabilmente, ma tra epistolografi del medesimo livello reclutati per cooptazione, e non fra interlocutori di Internet considerati tutti aritmeticamente uguali per definizione”. Fumaroli, 85 anni, già titolare della cattedra di Retorica e società in Europa al Collège de France, tra gli Immortali dell’Académie francaise, torna con questo saggio sull’eterna polemica tra Antichi e Moderrni, senza che ci sia bisogno di ricordare da quale parte sia schierato.

Da dove viene l’espressione “Repubblica delle Lettere”?

Uno dei discepoli veneziani di Petrarca, Francesco Barbaro, inventò nel 1417 il sintagma Respublica letteraria, per designare una società ideale costruita sull’otium operosum, l’ozio studioso, contro la barbarie dell’epoca.

Barbaro che combatteva la barbarie?

C’era già allora tra Firenze Venezia e Roma una Repubblica invisibile il cui bene comune era costituito dal patrimonio dell’Antichità greco-romana continuamente riletto, reinterpretato, arricchito, che si sviluppava attraverso il dialogo epistolare, le conversazioni lontane dal formalismo scolastico, la condivisione di letture. E’ stato un movimento favorito dall’invenzione della stampa e poi dalla diffusione dei servizi postali. L’apice è stato la metà del Settecento.

Fino alla Rivoluzione e alla scomparsa dell’Ancien Régime?

Molti degli illustri letterati di cui parlo sono riusciti a mantenere una notevole libertà di espressione in un periodo storico nel quale c’erano regimi che secondo gli attuali criteri sono ritenuti dispotici. Era una sorta di piccola democrazia di pari, se non addirittura di uguali, eletti per cooptazione e legati dall’amicizia e dal sapere. Invenzione dello spirito, è riuscita a passare attraverso censure di Chiesa e Stato, conflitti religiosi, tirannia delle mode. In un mondo di corti e di intrighi è stata una grande città invisibile e salda in cui il rapporto tra i cittadini era alimentato dall’amore per la verità, dal rispetto per il sapere e il talento.

Come si è trovato cooptato in questa “confraternita” di illustri defunti?

Sono cresciuto in Marocco, lontano dalla Francia. Mia madre aveva portato con sé una biblioteca essenziale nella quale c’erano soltanto classici. Sono state le mie prime letture. Mi sono sentito salvato da Omero, Cicerone, Virgilio, oppure Corneille, Racine, Molière, senza accorgermi che erano così demodé. Per me non erano, e non sono tuttora personaggi defunti, lontani nel tempo. Sono contemporanei, è la consolazione di chi è nato tardi, nell’epoca sbagliata. La mia cittadinanza letteraria mi ha salvato dal sentimento di decadenza provocato dal tempo arido e mediocre nel quale siamo immersi.

Chi sono i barbari di oggi?

Ce ne sono sin troppi. Personalmente credo che la tanto vituperata gerarchia dell’Ancien Régime sia stata largamente superata, in termini di disuguaglianza, nell’epoca di oggi con miliardari che hanno accumulato fortune impensabili fino a qualche secolo fa.

La disputa tra Antichi e Moderni oggi si muove su quali temi?

Sono fanaticamente pro-europeo e mi colpisce notare come l’inventore del concetto di Repubblica delle Lettere, il veneziano Barbaro, abbia saputo allontanarsi dal patriottismo veneziano, italiano, per guardare oltre, verso un orizzonte più vasto. Raccontare la genesi e la diffusione della Repubblica delle Lettere è un modo di guardare con altri occhi l’Europa, non solo come comunità economica o militare. E’ ciò che chiamo l’Europa dello Spirito. Nonostante i molti scritti accademici sulla materia, non esiste una vera e propria storia di questa Europa.

Perché questa piccola ed esclusiva società è finita?

E’ stata marginalizzata dalle scoperte scientifiche e dal progresso tecnologico. Oggi siamo nella supremazia della Repubblica delle Scienze, con il conseguente svilupparsi di nazionalismi, guerre feroci, massacri di massa. I letterati ed eruditi che evoco nel libro hanno sempre mantenuto aperto un dialogo in tempi difficili. L’abate Bignon, Bibliotecario del Re, ha continuato ad accumulare libri olandesi anche quando c’era una guerra in corso, senza preoccuparsi di sapere se i letterati di quel Paese dovevano essere considerati amici o nemici.

E oggi dov’è la Repubblica delle Lettere?

Purtroppo l’espressione in Francia si è svalutata, viene utilizzata a proposito del microcosmo intellettuale di Saint-Germain-des-Prés. Sarebbe bello riscoprirne invece il senso profondo. E’ ciò che tento di fare con il mio modesto contributo editoriale, e come hanno fatto altri, come Krzysztof Pomian, precursore degli studi sull’argomento. Un’istanza umanistica transnazionale è ancora più auspicabile nel secolo di Facebook di quanto lo fosse nel secolo dell’invenzione del libro.

Qual è la differenza tra eruditi, letterati e intellettuali?

Il letterato è la figura più simpatica perché ha un mestiere, fa carriera attraverso lo studio disinteressato. L’erudito si caratterizza con l’accumulazione di una cultura enciclopedica mantenendosi lontano dal pubblico. L’intellettuale in generale ha studiato filosofia, si interessa di tutto ma non conosce bene nulla, si preoccupa solo di giustificare la sua presenza sulla ribalta e sui media. L’intellettuale è nato con lo sviluppo della stampa d’opinione e della cultura di massa che deploro mentre ammiro molti aspetti della cultura popolare in Francia, le canzoni di Trenet e di Brassens, e in Italia il presepe napoletano e altre meraviglie.

Non avrebbe voglia di interessarsi di più alla nostra epoca?

Da oltre mezzo secolo sono diviso tra due piani temporali. Gli eruditi di cui parlo nel libro sono perlopiù dimenticati e disprezzati nel presente, io osservo con preoccupazione un transumanismo ancora in via di maturazione, del quale non mi disinteresso senza riuscire tuttavia ad appassionarmi.

Anais Ginori Marc Fumaroli