Per una storia dell’asino

Andiamo a lezione dall’asino

Dopo quelli sul maiale, lo storico Roberto Finzi decostruisce in un saggio i pregiudizi sul somaro. Che nella tradizione è stato santo, avventuriero, demonio e perfino sex symbol…

Il giornalista Marco Cicala in un articolo sul “Venerdì di Repubblica” del 17 febbraio 2017, pp. 98-101, intervista lo storico Roberto Finzi, autore del libro “Asino caro”, Bompiani, pp. 352, € 13.

Bologna. T’amo, o pio ciuccio. Senza scherzi: ci furono epoche in cui il somaro era un divo. E con accenti da divinità. Il viaggiatore francese Francois Maximilien Misson (1650-1722) riferiva ad esempio che a Verona, nella chiesa di Santa Maria in Organo, la statua di un asino racchiudeva le reliquie dell’animale che era stato la cavalcatura di Cristo per l’ingresso a Gerusalemme la domenica delle Palme. Due o tre volte l’anno i sacri resti venivano portati in processione dai pezzi grossi del convento “pontificalmente abbigliati”. Per non parlare della liturgia detta “festum asinorum”, festa degli asini, di cui si ha notizia dal tardo Medioevo. In quelle occasioni pare che, concludendo la celebrazione, il sacerdote non congedasse i fedeli con l’abituale “Ite Missa est”, ma ragliasse tre volte e il popolo gli faceva eco. Ih-oh.

Pochi anni fa, con “L’onesto porco”, Roberto Finzi si era avventurato in una dotta quanto valorosa apologia del maiale, la più denigrata delle bestie, perlomeno nei discorsi degli uomini. Adesso in questo “Asino caro” (sempre da Bompiani) raddoppia a difesa del nobile somaro, che pure di canagliate ne ha subite un fracco. Un po’ divertissement, un po’ saggio erudito, il libro si muove tra testi sacri e profani, filosofia, mito, pittura… E lo fa col timbro sardonico, cortese, privo di supponenza dimostrativa che, unito a un’arguta soavità tutta emiliana, è anche la cifra umana del suo autore. Classe 1941, Roberto Finzi è storico del pensiero economico, dell’agricoltura e delle condizioni di vita rurali, ma anche dei cliché antisemiti. I due libri sugli animali prolungano quelle ricerche: “Sono denunce del pregiudizio”, spiega nel suo appartamento bolognese. Precisando subito: “Io sono misto, mio padre era ebreo, mia mamma cattolica. Quindi a rigore non sono ebreo”. Però durante le persecuzioni la famiglia fu costretta a mimetizzarsi tra i contadini dell’Appennino, coraggiosi mezzadri che offrirono accoglienza e protezione.

Professore, nella Bibbia il somaro si merita un certo rispetto.

In quella società contadina, pastorale, possedere molti asini era segno di prosperità e venirne privati equivaleva a una maledizione. Secondo una leggenda, nel Tempio di Gerusalemme ci sarebbe stata una testa d’asino aurea che era oggetto di venerazione. Nella storia di Balaam l’asino, o asina, è una specie di salvatore. E, nelle Historiae, Tacito racconta che, assetati nel deserto dopo la cacciata dall’Egitto, gli ebrei trovano l’acqua seguendo un branco di somari selvatici. Forse anche per questo nel mondo romano saranno derisi come popolo adoratore dell’asino.

Bestia vile.

A Roma “asino” è già un insulto. Verrà utilizzato anche contro i cristiani.

Che infatti hanno un occhio di riguardo verso il somaro.

Per amore della povertà, Cristo entra a Gerusalemme su un asino o su un’asina, dipende dai Vangeli. Non avrebbe potuto presentarsi a bordo di un destriero.

Nella tradizione popolare l’animale di Gesù diventa una creatura magica, dalla Terra Santa si mette “on the road” e arriva fino in Italia…

Cristo gli concede la libertà. Così l’asino comincia a girare il mondo. Sotto i suoi passi i mari si gelano per permettergli di camminare. A un certo punto si stufa della Palestina e risale l’Adriatico fino alla laguna di Venezia dove però si ambienta male. Allora imbocca l’Adige e si stabilisce a Verona. Lì tutti gli vogliono bene e quando muore gli fanno un funerale solenne. Per poi venerarne le reliquie.

E la storia della “messa asinina”?

La conosciamo da fonti francesi relative ai riti della Chiesa di Rouen. Più che di una vera e propria messa penso che si trattasse di una sacra rappresentazione. Specie in tempi di eresie pauperistiche, la Chiesa utilizza il somarello per rimarcare le proprie radici povere.

E qui casca l’asino. Il povero è ignorante, il somaro è l’animale del povero, ergo diventa sinonimo di incolto, zotico, incapace, ottuso…

Ma si trova tra due fuochi. Da un lato subisce gli attacchi di chi disprezza il popolo, dall’altro è odiato dai poveri perché è simbolo del lavoro e gli ricorda la fatica.

In più è l’eterno secondo del cavallo.

Lo sfigato, sì. Non è un simbolo di status, non è impiegato nei giochi equestri né in guerra. Mentre lo sarà il mulo.

Che, sia ricordato per i nativi post-rurali, nasce da asino+cavalla, mentre il risultato di cavallo+asina è il bardotto.

Il mulo è sempre sterile. La mula può invece partorire un cavallo, ha quindi un grado di nobiltà superiore.

Torniamo al ciuccio. Che è vituperato, però ha quasi soltanto virtù: paziente, coraggioso, resistente, consuma poco…

Ma c’è una cosa che più di tutte l’uomo gli invidia…

In certa letteratura assomiglia a un sex symbol. O a un pornodivo.

Tra i quadrupedi è quello con il pene più grande.

In quanto superdotato, non solo è incline alla lussuria, ma diventa oggetto di desiderio.

In Apuleio, Lucio tramutato in asino scatena la libidine di una matrona nobile, ricca e sposata. Giovenale dice che quando sono in calore e non trovano un uomo le donne offrono le natiche a un asino.

Birbantelle.

Raccontandolo come oggetto del desiderio femminile, il maschio fa dell’asino una proiezione delle proprie manchevolezze. Lo usa per esorcizzare il complesso che si porta appresso da sempre: quello dell’inadeguatezza virile.

Ma il somaro è anche un’arma dell’arsenale misogino.

Certo. Nelle storie di zoofilia femminile riemerge il cliché della donna come creatura inaffidabile, lasciva, insaziabile. Se poi va con un asino, animale vile, si macchia di una colpa ancora peggiore. Sono tutti dispositivi per scongiurare l’eterna paura nei confronti della donna.

Però in Apuleio le traversie dell’uomo-asino lo condurranno alla fine a una specie di saggezza. Mutatis mutandis, per il Pinocchio-somaro è un po’ la stessa cosa.

Alcuni episodi dell’Asino d’oro tornano in Collodi. Ad esempio l’essere trascinati in uno spettacolo circense o la minaccia di venire spellati e trasformati in tamburi. Ridiventando uomo, il Lucio di Apuleio capisce meglio l’umanità. Mentre Pinocchio da burattino diventerà bambino.

E le fiabe come trattano l’asino?

Dipende. In Esopo, travestendosi da leone, non fa una gran bella figura. Ma in Perrault si sacrifica per salvare una fanciulla dalle mire incestuose del padre. Nei Grimm c’è un somaro prodigioso che butta monete d’oro dalla bocca e dall’ano. E ne troviamo uno anche nei Musicanti di Brema, tra gli animali che sfuggono alle minacce degli uomini e alla fine possono vivere in comunità.

Insomma l’asino è figura ambivalente.

C’è anche chi lo considera incarnazione di forze malefiche, in contrapposizione al bue. Nella Natività di Piero della Francesca il bue alita a testa bassa tutto concentrato su Gesù bambino, mentre l’asino sembra poco interessato alla cosa, gira il muso dall’altra parte e sembra che ragli.

Orwell invece lo contrappone al fanatismo dei maiali-bolscevichi.

Nella Fattoria degli animali è intelligente quanto i maiali, ma se le altre bestie si entusiasmano e poi si disperano, l’asino resta distaccato, scettico.

E’ anche il simbolo dei democratici Usa.

Per via del presidente Andrew Jackson. Gli avversari ne distorcevano il cognome in jackass, cioè somaro. Lui raccolse la provocazione e lo adottò come emblema nella campagna elettorale del 1828.

L’asino ha fatto una comparsata pure nella politica italiana.

Alle europee del 1999 fu il simbolo del raggruppamento dei “democratici”, Prodi, Di Pietro, Rutelli. Tentativo un po’ buffo. Oltretutto il ciuchino era copiato pari pari dal Pinocchio di Disney.

Come le è venuta l’idea di queste perorazioni per animali calunniati?

Il libro sul maiale decisi di farlo mentre mangiavo un panino, non ricordo più se con la mortadella o il salame. Come si intuisce dalla mia mole, sono un notevole consumatore di salumi. Mi chiesi: ma perché “porco” è un insulto?

E l’asino?

Ho pensato di approfondire mentre raccontavo alla nipotina la mia infanzia in campagna. Compresa quella volta che un somaro stava per ammazzarmi.

Lo racconti anche a me.

Mio nonno aveva una stazione di monta equina, una specie di stupratoio per cavalle e asine. Lo stallone-cavallo era esentato dal lavoro nei campi, lo stallone-asino invece no. Un giorno che doveva raccogliere il fieno lungo il fiume Reno, mio nonno mi affidò la guida del carretto. Lui stava dietro col forcale, io mi occupavo di far procedere l’asino. Che però di colpo si blocca, s’impunta, non vuole ripartire. Da inesperto, io non tiro abbastanza le redini e do un colpo di frusta. Fortuna che mio nonno mi tirò via dal sedile: i due calcioni mi avrebbero sfondato il cranio.

Nella demografia asinina che lei cita all’inizio del libro, l’Europa non c’è.

Da noi la meccanizzazione ne ha radicalmente diminuito la presenza. Il 92,2 % della popolazione di asini è distribuita tra Asia, Africa e America latina. Cioè nei continenti poveri.

La serie sugli animali proseguirà?

Si potrebbe fare anche la difesa del lupo o dell’oca, ma così non si finirebbe più. No, il libro che chiuderà la trilogia sarà dedicato al pregiudizio dei pregiudizi: quello sulla donna. Sono a buon punto. Titolo: L’uomo sgomento.

Nel frattempo, sia lode all’asino. Che è buono pure stracotto.

Beh, il somarino in umido del rovigotto è una gran cosa. Ma ho il sospetto che qui a Bologna si utilizzasse la carne d’asino anche per la mortadella.

Marco Cicala