San Bernardino da Siena, star mediatica del Medioevo

San Bernardino da Siena, star mediatica del Medioevo.

640 anni fa nasceva il santo che con le sue seguitissime prediche rivoluzionò il modo di comunicare della Chiesa.

 

Padre Daniele è sconsolato. Si sarebbe potuto celebrare in tanti modi l’anniversario della nascita di San Bernardino da Siena, ma con questa pandemia come si fa? Anche la Cattedra Bernardiniana, il refettorio rinascimentale che ospita i dibattiti sul santo, giocoforza è chiusa. Tutto rimandato, Covid colpisce ancora. Non che Bernardino degli Albizzeschi, nato l’8 settembre del 1380, abbia impegni per il futuro: il suo corpo è conservato lì nella Basilica all’Aquila dal 1444, anno della sua morte. C’è tempo.

Però, se nella storia della Chiesa c’è una figura contemporanea, da studiare e capire adesso, è proprio san Bernardino. Come definire altrimenti il francescano che ha portato le istituzioni occidentali nella comunicazione moderna? Inventore della predicazione in volgare, geniale creatore di tecniche retoriche e vera star mediatica del suo tempo, come sa bene padre Daniele Di Sipio, che della Cattedra sopracitata è rettore e non a caso immagina una celebrazione divisa per ognuna delle città nelle quali Bernardino fu invitato. E lasciò il segno.

Non solo per modo di dire. Fu lui a ideare il –diciamo così- logo di Cristo, recuperando l’antico trigramma IHS e circondandolo con raggi di sole, dodici come gli apostoli. E fu sempre lui a farne un cartello da esibire –e far baciare- alla fine di ogni predica, così da renderlo indelebile nella memoria del pubblico. Il motivo appare chiaro a qualunque studente di comunicazione. Le parole diventano logo perché non vogliono essere soltanto lette: vogliono essere inconfondibili. Ecco, Bernardino questo lo intuisce secoli fa. Gesto clamoroso, che gli vale ripetute accuse di eresia ma anche il consenso di Giovanna d’Arco, che aggiunse il simbolo al suo stendardo.

Ma perché ingegnarsi in simili trovate? Qui c’è l’importanza storica e persino drammatica del personaggio: la Chiesa di allora, assediata da movimenti ereticali, ha nel suo kit comunicativo ancora il latino, ormai impossibile da comprendere per i più. Sono tempi difficili, i fedeli si allontanano e Bernardino, che è coltissimo, va alla battaglia dell’evangelizzazione con le armi di chi ha studiato davvero: mette tutto in discussione, si mescola al profano, parla chiarozo chiarozo. Del resto San Francesco aveva indicato la via, dando alle prediche toni lievi, quotidiani, persino buffi –ricordate “Francesco giullare di Dio”, il film di Rossellini?

Di tutto questo Bernardino è il campione. Il suo pubblico accorre ad instar formicarum, come le formiche, e non c’è chiesa capace di contenerlo. Nessun problema, parlerà nelle piazze. Incantandole. La storica della letteratura Lina Bolzoni, che all’arte di Bernardino ha dedicato bellissime pagine nel suo “la rete delle immagini” (Einaudi), definisce l’oratoria del francescano una sfida alla disattenzione: il frate diverte, spaventa, emoziona, una trovata dopo l’altra riesce a farsi ascoltare per ore. Evita le questioni teologiche, porta la religione nella vita vera e avvince l’uditorio non in una ma in interi cicli di prediche, il più celebre dei quali è quello dei quarantasei discorsi di Siena, in piazza del Campo, nel 1427. Testi che per fortuna un suo discepolo trascrive parola per parola. Senza tralasciare i versi di animali.

Sostenuto dalla ferrea volontà di vincere l’indifferenza, infatti, Bernardino imita pure le rane (testuale: qua qua qua) o il ronzio del moscone (us us us), e poi oche, corvi, inanellando metafore, anzi esempri grossi presi dal mondo contadino –paragonando i politici incapaci a degli spaventapasseri- o dalla vita di città –illustrando i principi religiosi con i dipinti più ammirati dalla popolazione, dall’Annunciazione di Simone Martini al Buon Governo di Lorenzetti. In un’epoca che di media ne conosce pochi, egli stesso diventa il più efficiente collettore di suoni, immagini, idee. Il suo show è totale, e coinvolge la folla con disinibizione assoluta, come quando invita tutti a sputare insieme a lui per spegnere il fuoco dei peccatori –ognuno isputi fortemente!– o quando alla fine dei discorsi accende scenografici –e ai nostri occhi disturbanti- roghi di oggetti della vanità.

Complicità, ritmo, spiazzamento: il canone di Bernardino è ancora attuale e, al netto del lessico d’epoca, le sue orazioni somigliano non poco agli speech moderni. Chiunque oggi ha sentito un oratore riutilizzare il suo tipico botta e risposta –voi mi chiederete come… vi rispondo che…– o il suo modo di prendere a esempio gli incontri avuti poco prima di parlare, come i nostri politici che raccontano cosa gli ha appena detto il tassista. Insomma sì, è tutto made in Bernardino, l’architetto di buona parte del discorso pubblico del nostro tempo è quel pretino smunto che vediamo nei dipinti d’epoca.

Non riconciliò solo la Chiesa con la comunicazione. Fece di più: dimostrò che ogni convinzione integra –non solo religiosa- può divulgarsi senza compromettere la profondità del proprio messaggio. E doveva aver compreso l’importanza del suo ruolo, se è vero che rifiutò tre volte la nomina a vescovo, carica che –disse- gli avrebbe serrato metà della bocca. La Chiesa lo ha voluto anche patrono dei pubblicitari. Ma l’anniversario riguarda un po’ tutti noi, che nei media siamo immersi ogni giorno.

 

                                                                  Giuseppe Mazza

 

Questo articolo è stato pubblicato nel “Venerdì di Repubblica” del 18 settembre 2020, alle pp. 100-101.

 

Voglio aggiungere una nota integrativa: senza nulla togliere al fascino mediatico di Bernardino, non è inutile sottolineare il grande contributo che il santo diede alla persecuzione delle streghe.

                                                                  Gennaro Cucciniello