Gli eretici dei primi secoli del cristianesimo
“Siano banditi dalle nostre città Ariani, Macedoniani e Apollinaristi, Novaziani e Sabbaziani, Eunomiani e Valentiniani, Montanisti ovvero Priscillianisti, Frigi, Marcioniti, Euchiti, Donatisti…”.
Il Codice composto da Teodosio intorno alla metà del quinto secolo d.C. prosegue nell’elenco delle eresie da estirpare dall’Impero e dalla Chiesa, ormai legati in un vincolo indissolubile. Nomi che non ci dicono più molto, ma che hanno rappresentato fenomeni storici, religiosi e sociali di rilievo, tali da suscitare le preoccupazioni di intellettuali, vescovi e imperatori, tanto che Costantino si era sentito in dovere di convocare a Nicea (attuale Iznik in Turchia) il primo concilio ecumenico, di cui il prossimo anno ricorrerà il 17° centenario, per condannare solennemente la dottrina di Ario. Costui, per salvaguardare il monoteismo biblico, affermava che il Figlio non era coeterno al Padre, ma era stato generato in un qualche momento prima della creazione del mondo: un dio minore, insomma.
In precedenza, altri avevano provato a risolvere il problema, sostenendo che Padre, Figlio e Spirito Santo non fossero altro che modalità diverse con cui l’unico Dio si manifestava e agiva, da cui il nome di modalisti o patripassiani, perché in questa prospettiva a subire la passione sulla croce sarebbero stati tanto il Padre, quanto il Figlio e lo Spirito Santo. Ma non mancava anche chi riteneva quest’ultimo un intruso nel mondo divino, i pneumatomachi.
Si potrebbe continuare nell’illustrazione di questi cristianesimi alternativi (una puntuale rassegna è offerta da Michel Théron, “Piccola enciclopedia delle eresie cristiane”, il Melangolo), ma più interessante può risultare cogliere il problema storico che vi soggiace, come fa il volume di Catherine Nixey, “Gli altri figli di Dio. Cristo, la Chiesa e l’invenzione dell’eresia” (Bollati Boringhieri): grazie a una scrittura scorrevole e brillante, non accademica, l’autrice riesce a mettere a disposizione del lettore una mole di dati e di informazioni che copre gran parte degli esiti della storiografia più aggiornata sui primi secoli cristiani, anche nelle sue connessioni col mondo delle religioni antiche.
Il problema era già stato riassunto all’inizio del XX° secolo in una celebre battuta dello storico e sacerdote francese Alfred Loisy (1857-1940): “Gesù annunciava il Regno, ed è la Chiesa che è venuta”. Naturalmente la Chiesa in questione, quella cattolica, non la prese benissimo e, dopo alterne vicende, lo scomunicò nel 1908. Loisy voleva comprendere quale relazione ci fosse tra il messaggio di Gesù, un predicatore ebreo vissuto ai margini della società, e l’imponente struttura organizzativa e dottrinale che avrebbe conosciuto il suo trionfo, dopo tre secoli di ostilità e –a volte- persecuzione, con la conversione di Costantino nel quarto secolo. Si metteva così in discussione l’idea della sostanziale continuità tra l’insegnamento di Gesù, la predicazione degli apostoli e quell’insieme di idee teologiche –la divinità e l’incarnazione di Cristo, la Trinità, e così via- su cui la Chiesa fonda la propria autorità.
Da allora, il lavoro degli storici ha portato a un esito paradossale che, parafrasando Loisy, si potrebbe riassumere così: Gesù annunciava il Regno, e sono arrivati i cristianesimi. Quello che emerge, infatti, è un fenomeno storico articolato in modo sorprendente, che nell’arco di poco più di un paio di secoli ha dato origine a una pluralità di testi, tradizioni, pratiche religiose anche molto diverse tra di loro, tutte accomunate dal riferimento alla figura e agli insegnamenti di quell’oscuro predicatore ebreo. A ciascuno di questi testi corrispondeva un gruppo, più o meno numeroso e diffuso, di seguaci di Gesù che spesso, anche se non sempre, si autodefiniva come “chiesa” e presumeva di conservare la memoria autentica del maestro, in competizione e in concorrenza con altri gruppi e altre chiese.
In un simile quadro i conflitti erano inevitabili; ne troviamo traccia già nelle lettere di Paolo, i primi scritti cristiani di cui disponiamo, risalenti a una ventina di anni dalla morte di Gesù. Anzitutto, chi erano i destinatari del suo messaggio? Per Paolo tutti gli uomini senza distinzione di appartenenza etnica o religiosa; per altri, invece, solo gli ebrei disposti a riconoscere in Gesù il Messia, un uomo, però, non il Figlio di Dio. Anche questa idea, attribuita a un certo Ebion, verrà catalogata come eresia, col nome di ebionismo, e sarà ripresa alla fine del 1500 dai fratelli Sozzini, i cui seguaci sono catalogati come socianiani o antitrinitari. Quando poi si passò all’interrogativo sulla natura di Gesù e sul suo rapporto col Dio della Bibbia, le risposte si moltiplicavano, ben oltre ciò che oggi appare scontato: Gesù è il maestro di una sapienza riservata a pochi eletti (come sostenevano i Valentiniani) o una sorta di angelo disceso da un mondo superiore molto diverso da quello descritto dalla Bibbia ebraica –anzi il Dio degli ebrei non ha nulla a che fare con il Dio di Gesù, sosteneva Marcione alla metà del secondo secolo.
Dalla ricostruzione storica qui brevemente riassunta emerge un aspetto che caratterizza in maniera decisiva il cristianesimo rispetto alle altre religioni del mondo antico. A differenza di queste ultime, incentrate in maniera prevalente sulla pratica –riti, sacrifici, forme del culto-, il cristianesimo porta con sé una dimensione dottrinale, legata all’interpretazione della figura di Gesù e al suo rapporto con il Dio della Bibbia, che lo avvicinava piuttosto alla filosofia, a cui nel mondo antico si assegnava la parola ultima sul divino: la teologia, una delle parti dell’insegnamento filosofico. Dal lessico filosofico i vari gruppi cristiani trassero l’arma polemica più efficace da usare nei conflitti che li laceravano.
Il termine greco hairesis significa generalmente scelta, ma in epoca imperiale indicava specificamente la scelta e l’appartenenza a una scuola filosofica, distinta e in concorrenza con le altre. Così, quando alla metà del secondo secolo il filosofo cristiano Giustino contrappone la sua visione del cristianesimo a quella di altri gruppi, li taccerà di costituire una hairesis, una setta rispetto a ciò che è katholikos, “universale”, e conserva la “giusta dottrina”, l’orthodoxia.
Intorno alla coppia di “ortodossia ed eresia” si è combattuta la battaglia intellettuale che ha plasmato il cristianesimo: già verso la fine del secondo secolo emerge un consenso maggioritario attorno ad alcuni scritti raccolti nel Nuovo Testamento, che funge da pendant all’Antico ereditato dal mondo ebraico e ne costituisce l’opportuna chiave interpretativa, e si formulano una serie di asserti teologici relativi a Cristo e alla Trinità, formalizzati nei concilii del quarto e quinto secolo, quando viene sancita la già ricordata alleanza tra la Chiesa cattolica e gli imperatori.
A questo punto si avvia un’operazione di riscrittura della storia cristiana da parte dei vincitori che vogliono sottolinearne la continuità, offuscandone la pluralità, e stabilendo quel percorso lineare tra Gesù e la Chiesa che tanto irritava Loisy. Ricostruire la storia delle eresie significa quindi comprendere meglio come si è formata la tradizione cristiana nelle sue mille sfaccettature: che la Chiesa dopo il quarto secolo, nonostante le pretese dei suoi storici e dei suoi teologi (ma pure di Loisy) è stata tutt’altro che unica e compatta al suo interno, bensì plurale e contraddittoria. Come la storia successiva ha mostrato –già con le Chiese tutt’ora esistenti che non hanno accettato il concilio di Calcedonia del 451, come quella copta- e come uno sguardo sui diversi cristianesimi contemporanei conferma.
Marco Rizzi
Il presente articolo, che commenta il saggio della Nixey, è contenuto ne “La Lettura” del 10 novembre 2024, a pag. 39.