Anche Dio è stato un po’ ateo

Anche Dio è stato un po’ ateo.

Slavoj Zizek riflette in termini materialistici sul cristianesimo

 

Ne “La Lettura” del 23 febbraio 2025, alle pp. 46-47, Marco Ventura intervista il filosofo sloveno Slavoj Zizek.

 

75 anni, professore presso vari atenei americani ed europei, Slavoj Zizek è noto al pubblico internazionale per gli originali interventi sulla crisi del mondo contemporaneo. Nel suo approccio filosofico e psicoanalitico –egli stesso si definisce hegelo-lacaniano, marxista e materialista- ha un ruolo centrale la questione di Dio. Negli ultimi 25 anni ha dedicato alla sua costruzione della teoria dell’ateismo cristiano un quartetto di libri che propongono una lettura materialistica del cristianesimo. Il suo libro più recente sul tema, il quinto, è stato pubblicato nel Regno Unito da Bloomsbury Academic un anno fa ed esce ora in Italia da Ponte alle Grazie con il titolo di “Ateismo cristiano. Come diventare veri materialisti” (traduzione di Vincenzo Ostuni).

L’autore considera quest’ultima opera un nuovo inizio della sua riflessione, in cui acquistano un grande rilievo la fisica quantistica e l’intelligenza artificiale.

Zizek è in collegamento dalla sua casa di Lubiana.

 

Quando Napoleone chiese a Laplace perché nella sua teoria dell’universo non vi fosse spazio per il Creatore, lo scienziato rispose che Dio era un’ipotesi di cui non abbiamo bisogno. Lei, al contrario, sostiene che chi non passa dalla teologia non può essere un vero ateo.

E’ il mio paradosso. Anche se sono un ateo, so che Dio, in termini più astratti l’idea di un Grande Altro, cioè di un luogo immaginato in cui si determinerà il vero significato dei nostri atti, è presupposto nel nostro stesso linguaggio.

Spieghi meglio.

La prova di questo per me è lo stalinismo. Cioè la visione del mondo più volgarmente materialista che si possa immaginare. Gli autori stalinisti sono sempre preoccupati di come il futuro li giudicherà. Presuppongono sempre un futuro, un qualche momento utopico in cui il comunismo si sarà realizzato pienamente e sarà allora chiaro che stavano facendo la cosa giusta anche se ora stanno facendo cose orribili.

Che c’entra tutto questo col cristianesimo?

Sì, veniamo alla mia lettura pazza del cristianesimo. Molti teologi nel mondo la prendono seriamente.

Quale lettura?

Nel cristianesimo è avvenuto qualcosa di unico. Ciò che muore sulla croce non è soltanto un messia, un rappresentante di Dio. Non è come se Dio se ne fosse stato lassù, mentre noi siamo qui, e avesse detto, duemila anni fa, va bene, cerchiamo di redimere l’umanità, e poi d’accordo, non ha funzionato, figlio mio torna da me, magari proverò ancora più avanti. No! Come troviamo in Hegel, ciò che muore sulla croce è il Dio oltre sé stesso.

E dunque?

Ciò che trovo più disgustoso e anti-cristiano è la metafora popolare che ciò che percepiamo come male, come orrore, è soltanto una macchia che scompare se vista da lontano, nel quadro d’insieme.

Invece?

La questione con il cristianesimo, con Cristo nato come uomo ordinario, sporco, ridicolo, quasi un pagliaccio, è che se c’è un individuo che soffre per un orrore, non puoi liquidare la cosa facilmente. No. Cristo è sempre dalla parte della sofferenza concreta, individuale.

Cosa ne consegue per l’interpretazione della storia?

Non dovresti mai sacrificare la sofferenza alla logica che questo è un incidente minore, che si deve vedere dalla giusta distanza, perché tutto in fondo contribuisce all’armonia. Questa è una lezione importante specialmente per gli orrori del XX° secolo, in generale per gli orrori della modernità.

E’ la lezione dello stalinismo, ma anche del fondamentalismo religioso.

Le racconto una delle esperienze che mi hanno fatto più paura. Anni fa in Israele incontrai un esponente di una piccola minoranza sionista. Lui sosteneva che la Shoah fosse parte di una missione divina, che Hitler fosse uno strumento di Dio. Ormai assuefatti all’Europa, gli ebrei non volevano ascoltare il messaggio di Dio e tornare nella terra di Israele. Così Dio mandò la Shoah per spingerli verso casa.

Veniamo ai nostri giorni.

Gli esempi di questo modo di pensare sono tanti oggi. Le sofferenze a Gaza sono solo un fatto minore nel riassetto complessivo del Medio Oriente. La gente soffre in Ucraina, ma è solo un episodio della guerra tra la Nato e la Russia. Invece non andrebbe mai obliterata la prospettiva della singola persona.

Sarebbe questa la sua “lettura pazza” del cristianesimo?

Il cristianesimo non ci consente di dire che non sappiamo che cosa sta accadendo, ma abbiamo la certezza che un buon vecchio Padre garantirà del buon esito delle cose. No! Non ce lo consente. Significa questo, per me, che Dio ci ha dato la libertà.

Su quali autori si basa questa lettura?

Prediligo i mistici tedeschi, da Meister Eckart a Jacob Bohme. E’ nella nostra lotta per il bene che si decide della fede stessa di Dio. Se noi falliamo, Dio muore. Questo è cruciale.

Come traduce questo principio nella crisi attuale?

Dobbiamo diventare consapevoli che non esiste una necessità superiore che conduce verso il progresso. Anche Marx, per me, era troppo idealista, in senso negativo. Sapeva che avremmo potuto rovinare tutto, ma pensava che la tendenza verso il progresso fosse insita nello sviluppo sociale. Credo che dobbiamo rinunciare a ciò oggi. Penso a quello che diceva Walter Benjamin. Non ci possiamo più permettere questa fiducia nel futuro. La storia è radicalmente aperta. Se ci fidiamo, se ci accontentiamo di come le cose dovranno andare, ci incamminiamo verso il suicidio collettivo. Nell’ecologia, nella guerra, nell’intelligenza artificiale, abbiamo bisogno di una visione della storia molto più aperta.

Un vero materialista, secondo lei, dovrebbe affermare: “Anche se esistesse Dio, non lo servirei”.

Servire Dio è qualcosa di molto ambiguo. In fondo, di molto anticristiano. Se dico: “Sto servendo Dio”, presumo di sapere che cosa Dio vuole! Significa che sono in diretto contatto con Dio. Secondo il mio cattolico preferito, lo scrittore Gilbert Keith Chesterton, un vero cristiano non può mai pretendere di sapere cosa vuole Dio. Sarebbe osceno. Un altro grande, Soren Kierkegaard, diceva che non si può essere davvero certi di credere, si può solo credere di credere. Ciò rende il cristianesimo molto più moderno di tanti materialisti dogmatici.

In che senso?

Il cristianesimo per me è al livello della fisica quantistica, dove la contingenza è iscritta nella struttura del mondo. Il cristianesimo è dalla parte di Niels Bohr contro Albert Einstein. Einstein crede ancora in un Grande Altro. Se osservi l’universo, anche se non lo capisci totalmente, puoi ammirare la bellezza, l’armonia dell’ordine globale. Per questo Einstein disse che Dio non gioca a dadi con l’universo. Nel senso che esiste una suprema necessità. Bohr, un ateo, gli rispose: “Non dire a Dio che cosa fare”.

Dopo la relatività non ci resta che il relativismo più radicale?

Abbiamo imparato la lezione dello storicismo, tutto è condizionato da specifiche circostanze storiche, ma dobbiamo evitare un mero relativismo storicistico. Ad esempio, oggi sappiamo che la schiavitù è sbagliata, ma mille anni fa la gente ragionava diversamente. Dovremmo allora privilegiare il nostro punto di vista? Io dico di sì, in nome di una sorta di progresso universale. Se abbiamo compreso oggi che la schiavitù è sbagliata, non possiamo dire che duemila anni fa era giusta. Possiamo dire retroattivamente che era sbagliata fin dall’inizio.

Secondo lei la fisica quantistica ci fa capire che anche Dio si può sbagliare. Parla in propositi di un “Dio ingannato”.

Nella fisica quantistica abbiamo un problema di osservazione. Il mondo è un disordine di fluttuazioni, di onde, eccetera. Le microparticelle emergono e scompaiono, esistono per un nanosecondo senza essere registrate. Accadono dunque cose di cui Dio, che dovrebbe essere l’osservatore ultimo, non è consapevole. Tra virgolette, tutto ciò inganna Dio. C’è qualcosa al livello più fondamentale che non è osservato da Dio.

Lei si chiede cosa ci sarà dopo l’Homo sapiens.

Per Heidegger Dio ha senso solo se rapportato all’umanità. Possiamo dire così: Dio lo sa che se l’umanità scompare, muore anche lui. Oggi si sostiene che la singolarità ci consentirà di partecipare tutti di un’autocoscienza globale. Questa sarebbe la fine dell’umanità come la conosciamo e di conseguenza anche della dimensione divina. Forse l’intelligenza artificiale svilupperà una sua spiritualità, ma non sarà dentro le coordinate della spiritualità umana.

Con la discesa dello Spirito Santo, lei scrive, si crea il modello di una comunità emancipatrice.

Gesù dice che se uno non odia il padre, la madre, i fratelli non può essere un suo seguace. E’ sbagliatissimo leggere in ciò una forma di odio geloso. Nel cristianesimo non ami Dio. E’ quando ami autenticamente gli altri che Dio è qui. Dio è quell’amore. Quando sei nella fede cristiana non devi odiare padre e madre, ma ignorarli in quanto parte di una struttura gerarchica. Questo è lo Spirito Santo. Una comunità di eguali, non basata su una gerarchia sociale.

Nel suo ateismo cristiano non c’è posto per la resurrezione.

Quando gli chiedono: “Come sapremo che sarai tornato?”, Gesù risponde in modo chiarissimo: “Quando ci sarà amore tra due di voi, io sarò lì”. E’ tutto qui. Quando emerge lo Spirito Santo, Dio è qui. Quando siamo nella comunità dello Spirito, Cristo è già qui, è questa la seconda venuta.

Ma l’ateismo ha davvero bisogno di così tanta teologia?

Quando dici Dio è morto fai una profonda esperienza esistenziale. Non può essere soltanto una constatazione oggettiva, come pensano molti amici materialisti che mi rimproverano di passare per il cristianesimo.

Si tratta di passare per il cristianesimo o per la religione in generale?

Fare un’esperienza soggettiva della morte di Dio significa passare per il cristianesimo e per il cristianesimo soltanto. Penso ancora a Chesterton, quando commenta Gesù che dice sulla croce “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?” Dio mio, perché mi hai abbandonato? In tutte le religioni ci sono gli atei. Ma solo nel cristianesimo Dio stesso, abbandonato da Dio, per un momento è ateo.

 

                   Marco Ventura             Slavoj Zizek