Cinquanta sfumature di Bianco

Cinquanta sfumature di Bianco

Tutte le avventure di un colore che più colore non si può

 

Marco Cicala ha intervistato Michel Pastoureau, storico, autore di varie monografie su diversi colori e sui loro percorsi nella storia e nella società umana. L’articolo è pubblicato nel “Venerdì di Repubblica” del 23 dicembre 2022, alle pp. 14-20.

 

E’ la più affascinante impresa di divulgazione storica del XXI secolo. In libreria esordì vent’anni fa circa. Ma era cominciata molto prima, e alla fine sarebbe stata il frutto di cinquant’anni di ricerche. In forma erudita realizzava i sogni d’infanzia di un uomo: “Da bambino due cose mi appassionavano più delle altre: i colori e gli animali. Magari è per questo che ho passato una vita a studiarli da storico”, sorride il bonario Michel Pastoureau, 75 anni, nella sua casa parigina a due passi dai campi da tennis del Roland Garros. Con “Bianco. Storia di un colore” (Ponte alle Grazie, 240 pp.), l’ex professore all’Ecole pratique des Hautes Etudes e alla Sorbona, chiude una saga di sei monografie (Blu, Nero, Verde, Rosso, Giallo –le precedenti) nella quale ha scandagliato l’universo dei colori da ogni angolazione immaginabile. Li ha inseguiti nei loro risvolti simbolici, sociali, politici, religiosi, filosofici, economici, antropologici. Ma in fondo la bellezza e la riuscita dell’operazione riposano sulla semplicità dello spunto originario. Che è un po’ quello della “Lettera rubata” di Poe. Cioè dell’evidenza macroscopica di cui non ti accorgi. Perché viviamo immersi nei colori. E i colori ci condizionano almeno quanto noi condizioniamo loro. Ma sulla cosa non abbiamo mai riflettuto su abbastanza.

Peccato, con “Bianco” finisce un ciclo. Oppure no?

Ancora no. Ho in mente un ultimo libro sui colori cosiddetti secondari; Viola, Rosa, Arancio, Grigio, Bruno. Vorrei riunirli in un unico volume perché hanno storie e simbologie meno complesse degli altri.

Lo ha detto tante volte: il suo preferito è il Verde. Perché?

Forse perché sono cresciuto in città e per me rappresentava le vacanze, la campagna. O forse perché quand’ero ragazzino veniva spesso a trovarci in casa André Breton, amico di mio padre. Mi regalava quaderni da disegno e matite colorate. Anche lui aveva una predilezione per il verde. Scriveva con inchiostro verde.

In mezzo secolo di studi qual è stato il colore che le ha dato più filo da torcere?

Direi il Giallo, che implica anche la complessa faccenda dell’Oro, e il Bianco. L’ho lasciato per ultimo perché ha una storia complicata e non è semplice da riprodurre. Trattandosi di libri illustrati, mi preoccupavo della resa fotografica. Quando, 20 anni fa, ho cominciato a pubblicare la serie, la qualità delle immagini non era quella di adesso.

Dopodomani è Natale. Festività tricolore: Bianco, Verde e Rosso. A che cosa corrispondono?

Tradizionalmente, il Bianco all’inverno, al freddo, alla neve. Il verde all’abete. Quanto al Rosso, sfatiamo il mito secondo cui a farlo diventare colore natalizio sarebbero state le campagne pubblicitarie della Coca Cola. No, il Rosso è da secoli il colore di San Nicola, da cui discende Babbo Natale. Ai tre colori delle festività –ai quali andrebbe aggiunto anche l’Oro- la gente rimane più affezionata di quanto non sembri. Anni fa, qui vicino, un Comune della banlieue parigina aveva deciso di addobbare le strade di Blu e Argento. E subito la popolazione insorse con striscioni che invocavano: “Ridateci i veri colori del Natale”.

Torniamo al Bianco. Lo troviamo già nelle pitture parietali, che pure si muovono dentro una tavolozza cromatica molto ristretta.

Sì, dominano il Rosso e il Nero, seguono il Bianco e un po’ di Giallo. Il Bianco era relativamente facile da ottenere, grazie al gesso o all’argilla. Ovviamente ce ne mancano le prove materiali ma, prima delle pareti, l’uomo del Paleolitico deve avere usato i colori per dipingere se stesso, il proprio corpo. Ad ogni modo, in Europa il Bianco sarebbe rimasto in assoluto il colore più presente in pittura. Se non altro perché veniva steso come primo strato nelle operazioni preliminari, a preparazione del supporto da dipingere.

In pittura la fa da padrone, ma –come si racconta nel libro- da “padrone invisibile”.

Già alla fine del Medioevo lo si utilizza, mischiato, per ottenere nuove tonalità, sfumature, per rompere o schiarire colori troppo violenti. Anche quando non lo vediamo direttamente nei dipinti, il Bianco si nasconde nei rossi, nei blu, nei neri. C’è sempre tanto bisogno di lui. Lo avrà notato: nelle cassette da pittore che si trovano in qualsiasi colorificio il tubetto del Bianco è più grosso, più cicciotto degli altri.

Veniamo alla Grecia antica. Bianca, bianchissima nei suoi marmi e nei suoi templi. Fino a scoprire che quell’immagine-Pepsodent era una bufala, un’invenzione neoclassica.

Ma con la complicità della civiltà romana. Copiando la statuaria greca, i romani non ne riprendono la policromia. Da quelle riproduzioni nascerà molto più tardi il mito della Bianca Grecia. Che invece era coloratissima, tanto nelle sculture quanto nelle architetture. Una scoperta che la cultura neoclassica farà molta fatica a digerire. Quando, nel XVIII secolo, i giovani archeologi vedono resti di policromie tra le rovine greche ne riferiscono subito inviando rapporti ai luminari di Londra, Roma, Berlino. Ma non vengono creduti: “Non è possibile!”. Visitando Pompei, anche Goethe è scioccato dai colori accesi delle pitture che gli vengono mostrate. Non combaciavano con l’immagine romantica che se ne era fatto.

Quindi la romanità che “sbianca” le statue greche è policroma a sua volta?

Sì, ma meno della civiltà greca. I vecchi romani, Plinio ad esempio, reagiscono disgustati all’esplosione di colori che, nell’abbigliamento, le mode orientali o germaniche portano a Roma.

Anche Platone però ci aveva messo del suo nello scomunicare i colori.

Per lui sono qualcosa di impuro, di accessorio su corpi e oggetti. Nel rapporto con i colori Platone è moralista, puritano. Non ama la pittura, la considera un inganno. Per Aristotele il colore è luce, per Platone materia vile. Quella disparità di vedute attraverserà per secoli l’intera cultura occidentale. Dal Medioevo alla Riforma protestante l’influenza platonica sarà decisiva nella morale cristiana riguardo ai colori.

Scaturisce da lì la sacralizzazione del Bianco come anti-colore, simbolo di purezza, gloria, divinità.

E parte da lì l’idea, particolarmente insistita in ambito riformista, secondo cui il buon cristiano debba girare alla larga dai colori troppo vistosi. L’abbigliamento rimanda al peccato originale. Adamo ed Eva vengono cacciati dal Paradiso vestiti. Almeno in certe rappresentazioni.

Ciò che chiamiamo Medioevo è anche il grande laboratorio dove quel che chiamiamo Occidente concettualizza per la prima volta i colori.

Nel mondo antico i colori sono aggettivi, non sostantivi. Un greco o un romano mai avrebbero detto: “Adoro il Rosso” o “Detesto il Nero”. Li abbinavano alle cose rosse o nere. Nel latino medievale comincia invece a farsi strada un’idea di colore astratta, cioè dissociata dal contesto, dal correlato materiale.

E così il Medioevo s’invola in vertiginose dispute teologiche sui colori.

Dispute a non finire. Dopo essersi staccati dall’Ordine benedettino, i cistercensi rompono col nero dei cluniacensi e vestono di bianco. Per loro è il colore della Resurrezione di Cristo, della gloria, della festa, della santità. Ma i neri di Cluny lo ritengono un’ostentazione eccessiva. Il carteggio tra Bernardo di Chiaravalle e l’abate di Cluny Pietro il Venerabile è straordinario. Andrà avanti per trent’anni.

Una curiosità: da quand’è che il Papa è bianco?

All’inizio è un uomo in rosso. Poi, nel Medioevo, rosso e bianco. Quindi, progressivamente, sempre meno rosso e sempre più bianco. Oggi, di rosso, gli resta poco. Nella gerarchia cattolica più si sale di livello e più gli abiti diventano chiari. Il semplice prete è nero. Il vescovo viola. Il cardinale rosso. Il Papa bianco.

Nel Cristianesimo il Bianco è il colore originario della Vergine, ma soprattutto dell’agnello innocente, il Cristo.

L’agnello sostituisce simbolicamente gli animali bianchi di pelo o di piuma che venivano immolati nei sacrifici. Il Cristianesimo fa piazza pulita dei sacrifici: basta quello di Cristo sulla croce. Nel bestiario della simbologia cristiana altri animali bianchi vengono associati al Cristo: la colomba, il liocorno… Non il cigno. La sua storia è curiosissima. Avendo piume bianche su carne scura, fu a lungo simbolo di ipocrisia. In seguito sarebbe stato nobilitato. Oggi nel Regno Unito tutti i cigni sono proprietà esclusiva della corona britannica. Nessun privato può possederne.

Il Bianco è associato tanto alla primissima infanzia quanto alla senilità.

Gli estremi si toccano: le simbologie hanno spesso struttura circolare. Nella vecchiaia si torna bambini. Ma il Bianco può essere anche il colore della morte. Intesa come opposto della vita, la morte è nera. Interpretata però come seconda nascita, come rinascita verso una nuova vita, è abbinata al Bianco. Ancora oggi in certe società africane o asiatiche è il Bianco il colore del lutto.

In compenso i fantasmi sono quasi sempre bianchi.

Dal colore del sudario nel quale i morti venivano avvolti nudi e che spesso era di lino. Risvegliandosi per dare fastidio ai vivi, spettri e fantasmi indossano quell’ultimo vestito.

La potenza del Bianco influirà anche sui nomi femminili.

Dal XIII-XIV secolo Bianca diventa un nome alla moda per regine e aristocratiche. Ma un successo ancora più grande, e trasversale ai ceti, toccherà al nome Margherita, che secondo l’etimologia latina rimanda alla preziosità della perla e naturalmente alla santa omonima, patrona delle donne incinte. Se il parto va bene –cosa, all’epoca, per niente scontata- la bambina viene chiamata Margherita in segno di ringraziamento.

In Occidente il Bianco diverrà l’opposto del Nero relativamente tardi, con l’avvento della stampa.

L’inchiostro nero su carta bianca segna una svolta epocale, una rivoluzione culturale inaudita. Le immagini medievali sono policrome, quelle moderne in bianco e nero. Una trasformazione che inciderà molto sulle tecniche della pittura, del disegno –pensiamo al chiaroscuro- e si prolungherà fino all’invenzione della fotografia.

Prima della stampa, Bianchi e Neri non duellavano nemmeno sulle scacchiere.

Quando, intorno al Mille, la scacchiera arriva in Europa dall’Asia è divisa in campi Rosso e Nero. In seguito il Bianco sostituirà il Rosso. A partire dal XVI secolo.

Nel ‘600 comincia per il Bianco una fase di declino. “Colpevole” un certo Isaac Newton.

Nel 1666, giovane scienziato, Newton scompone la luce solare in raggi colorati, il famoso spettro. Da quel nuovo ordine cromatico sono espulsi tanto il Nero che il Bianco. Newton non li considera dei veri colori. Parla da fisico. Ma l’idea si estenderà ad altre scienze, condizionando mentalità, costumi, e depositandosi nel linguaggio. Formule quali andare in bianco, lasciare carta bianca, firmare un assegno in bianco rinviano a un concetto di Bianco come non-colore, assenza.

A partire da quando, invece, il Bianco assume connotazioni razziali?

A mio parere dall’epoca del capitalismo e del colonialismo. Non prima del XVI secolo. Gli antichi non prestavano particolare attenzione al colore della pelle. Quando viene a contatto con una popolazione lontana, il romano –pragmatico- si chiede: “Sarà alleata o nemica di Roma?”. Se alleata, bene. Se nemica, verrà sottomessa con la forza. Nel Medioevo avviene un po’ lo stesso. La domanda è: “Se queste genti non sono cristiane, saranno cristianizzabili?”. La pelle non conta.

L’uomo bianco, lei scrive, è come il vino bianco: non esiste.

Non esistono nemmeno l’uomo nero o giallo. Ma questo ci ricorda che c’è sempre uno scarto tra il colore reale, quello nominato e quello percepito. I termini cromatici sono etichette, convenzioni.

Restando sempre al cutaneo, la pelle bianca fu anche status symbol.

Fino al ‘700 distingue l’aristocratico dal contadino che, lavorando all’aperto, è esposto al sole. Alla fine del XIX secolo si produce un ribaltamento: l’abbronzatura del borghese che può permettersi la villeggiatura lo distingue dal pallido operaio che lavora al chiuso, in fabbrica. Ma, quando i lavoratori conquistano il diritto alle ferie, assistiamo a un ulteriore cambiamento. E nel secondo dopoguerra la moda della tintarella si massifica. Al punto che un’abbronzatura eccessiva diventa qualcosa di volgare. Oggi i dermatologi ci avvertono dei pericoli di un’esposizione sconsiderata al sole.

Arriviamo al Bianco che più bianco non si può: nella Modernità diventa il colore della sanità, della pulizia, dei detersivi.

Il colore di ospedali, ambulatori, studi medici. Ma anche delle professioni legate all’igiene alimentare: cuochi, pasticcieri. E di tutte le stoffe che entrano in contatto con la pelle: lenzuola, federe, asciugamani, pigiami, biancheria intima. Oggi non ci scandalizzano, però i nostri nonni mai avrebbero dormito in lenzuola nere.

Se dovesse indicare un colore-simbolo del XXI secolo quale sarebbe?

Dipende. In Europa, dalla fine dell’Ottocento, i sondaggi continuano a dare il Blu saldamente in testa alle preferenze della gente. Direi però che viviamo tempi decisamente grigi. L’ottimismo verso il futuro si è spento. Prevalgono l’inquietudine, l’ansia, l’angoscia. E per sollevarsi dalle angustie ci si affida al Verde come a un colore messianico che dovrebbe salvare il Pianeta. Non se se ci riuscirà.

Quest’anno l’attualità è stata dominata dall’Azzurro e dal Giallo della bandiera ucraina…

Dal punto di vista della simbologia cromatica le bandiere sono un territorio interessantissimo, ma ancora poco esplorato. Gli storici, me compreso, le temono. Nei regimi democratici la bandiera richiama la guerra, le conquiste, i discorsi faziosi. Del resto, che cosa rappresenta la bandiera? Lo Stato o la Nazione. Difficile dirlo. In Francia lo Stato nasce molto prima della Nazione. In Italia avviene il contrario. I Paesi Bassi hanno due bandiere, una per lo Stato e un’altra per la Nazione. Quanto alla Svizzera, la vera bandiera che conta non è quella della Confederazione, bensì del singolo Cantone. Sulle origini dei tricolori francese e italiano si continua a discettare. E’ il mistero di tutti i miti fondativi.

Allora alziamo bandiera bianca.

Guardi che anche quella ha la sua storia. Come simbolo di resa, di pace, fa una timida apparizione nel XVI secolo per poi affermarsi nel successivo, durante la Guerra dei Trent’anni.

Buon Natale.

A lei. Ne abbiamo bisogno davvero.

         Marco Cicala                              Michel Pastoreau