Elogio di Cristina di Svezia, regina libera e queer

Elogio di Cristina di Svezia, regina libera e queer.

Seppe sottrarsi alle manipolazioni di regni, papi e imperatori.

 

L’articolo di Antonio Rocca è pubblicato ne “La Repubblica” del 20 ottobre 2023, a pag. 45.

 

Alla metà del Seicento, quando Francesco Borromini disseminava tiburi lombardi nel cielo di Roma, tra i vicoli capitolini circolava una pasquinata su Cristina di Svezia: “Regina senza Regno / Principessa senza sudditi / Generosa senza un soldo / Politica senza Ragion di Stato / Formidabile senza forze / Novella Cristiana senza fede”.

Tornito nei secoli, l’indolente cinismo romano andava diretto al cuore della questione: più che per sentita convinzione religiosa, la regina aveva abdicato per amore della propria libertà, illudendosi di potersi confrontare alla pari con Mazzarino e con i diplomatici degli Asburgo. La figlia di Gustavo Adolfo il Grande, eroe protestante della Guerra dei Trent’anni, si ritrovò così, suo malgrado, a dipendere dai mutevoli equilibri della Curia romana o dalla benevolenza del cugino, Carlo X, al quale aveva ceduto il regno.

Annarosa Mattei (“La regina che amava la libertà”, Salani editore) ha descritto il carattere di quest’anomala Regina di Roma che, anche quando la politica papale si chiuse in sospettoso oscurantismo, seppe mantenere nel trasteverino palazzo Riario un’isola di libero pensiero. Nella sua corte era allora possibile incontrare i musicisti Scarlatti e Corelli, l’astronomo Cassini, filosofi e alchimisti. Alcune tra le menti più brillanti del secolo conversavano in sale impreziosite da opere di Raffaello, Rubens, Veronese, Correggio o di Bernini, come lo specchio perduto che Gian Lorenzo aveva concepito appositamente per la regale amica.

Nell’introduzione Claudio Strinati accenna a quell’incredibile collezione, in parte proveniente dal Sacco di Praga e quindi esportata, in modo più o meno legale, dalla stessa sovrana in fuga dai rigori della moralità protestante.

Mattei elegge la Minerva del Nord a figura dell’androgino originario, simbolo dell’energia divina nella quale sono compresenti principio maschile e femminile. Alla luce di questo mito ermetico si dipana l’esistenza rocambolesca di una sovrana che ostinatamente volle forgiare una filosofia capace di darle ragione di desideri irriducibili alla logica binaria. La svedese amò uomini  e donne, ebbe molte passioni e non si legò mai definitivamente ad alcuno. Un mix di ingenuità e indifferenza che provocò anche delle vittime: la più illustre potrebbe essere stata Descartes. L’ipotesi di un delitto Cartesio fu formulata già dai contemporanei, che riconobbero nel vomito nero e nell’emorragia allo stomaco sintomi riconducibili all’arsenico più che a una polmonite, causa ufficiale del decesso; sospetti alimentati dal fatto che il filosofo entrò in agonia dopo aver ingerito l’ostia somministratagli dal frate Francois Vioguè. Comunque sia andata, l’affaire Descartes è sapida immagine della rete di intrighi, subìti e macchinati dalla regina fin dalla sua giovinezza.

Nell’Europa lacerata da guerre di religione e divisa dal conflitto tra Francia e Spagna, quella donna minuta era un simbolo di immensa potenza comunicativa, ma Cristina seppe sottrarsi alle manipolazioni di regni, papi e imperatori. I suoi repentini mutamenti di fronte erano arma estrema di una regina senza regno, pronta a ribaltare il tavolo se intuiva un pericolo per la propria autonomia.

Feroce e affascinante, la scandinava fu prefigurazione di aneliti teisti, di contraddittorie istanze libertarie. Con il gesuita Athanasius Kircher fece parte del circolo ermetico che Massimiliano Palombara ospitava in una villa all’Esquilino. Villa Palombara è andata perduta, ma di quel clima esoterico, nei giardini di piazza Vittorio, resta una traccia: l’enigmatica Porta magica.

L’ampio e documentato saggio della Mattei ordisce una trama che traguarda la vicenda biografica di Cristina, sino a evocare Baudelaire e, in effetti, alcuni sorprendenti scritti della regina sembrano anticipare le “Correspondances”: “Questo mondo è un tempio grande e magnifico, di cui la terra dove siamo è un superbo altare. Dio per la sua gloria ha fatto uscire dal nulla questa bella e grande macchina, ma vuole che tutte le cose tornino a essa”.

Cristina Vasa si affidò alla grande macchina del cosmo nella primavera del 1689 e, unica donna insieme a Matilde di Canossa, ebbe il privilegio di essere seppellita nella basilica di San Pietro.

                                                                  Antonio Rocca