Fantozzi è lei? No, siete voi!

Fantozzi, è lei? No, siete voi!

Sfortunato. Umiliato. Ma consolatorio. Da 50 anni il 99% degli italiani si riconosce in lui. Il suo inventore ne racconta qui storia e stranezze.

 

Ugo Fantozzi sta per compiere 50 anni. Il ritratto che pubblico in queste pagine è un’anticipazione da “La voce di Fantozzi”, documentario di Mario Sesti. L’articolo è stato pubblicato da “L’Espresso” del 27 novembre 2016, alle pp. 82-86. A parlare è Paolo Villaggio.

                                                                       Gennaro  Cucciniello

 

Io, Villaggio, sono esattamente l’opposto di Fantozzi.

Cioè: ho avuto fortuna nella vita, successo con le donne (poco ma, insomma, molto vitalizzante: mi ha reso felice). Per il resto, in realtà, non credo di essermi ispirato a nessuno. Ho creato un personaggio perché piacesse al pubblico, il che forse è l’obiettivo fondamentale di ogni impresa del genere. Se sono una persona riuscita nella vita, io ci sono riuscito grazie a un personaggio che non ci è riuscito assolutamente.

La nascita di Fantozzi.

Esattamente non ricordo il giorno, l’ora, l’anno in cui nasce Fantozzi. Nasce a bocconcini, a pezzetti. La cosa più importante è che ha una caratteristica: è sfortunato, è infelice, non è riuscito nella vita, ha una moglie che sembra una rana, una figlia che sembra una scimmia e tutto naturalmente è esagerato, perché l’esagerazione è convincente, è comica, fa ridere. L’idea di base era la possibilità di usare questo personaggio che nasce con la caratteristica fondamentale di non riuscire nella vita. La sua comicità ha qualcosa in comune al 99% degli italiani e quindi è fondamentalmente un personaggio che conforta: non siamo tutti fortunati, anzi, siamo quasi tutti convinti di essere molto sfortunati. Fantozzi non ha fortuna nella vita: il 99% dei lettori, quelli che lo amano, trovano in lui un personaggio consolatorio, perché siamo più o meno “molto” tutti Fantozzi, molto sfortunati, e cerchiamo di sopravvivere, di essere felici lo stesso. Io trovo che Fantozzi abbia una caratteristica particolare: che è molto molto molto simpatico. Non è aggressivo, E’ uno che non ce l’ha fatta nella vita, ma il fatto di non farcela gli dà la possibilità di sentirsi normale. Fantozzi è un uomo normale perché è sfortunato, perché non è riuscito nella vita, ma i “riusciti” non sono simpatici, anzi alcuni di loro fingono di essere persone sfortunate, ma felici. Ma in realtà sono dei personaggi molto, ma molto fortunati, e quindi, spesso, altrettanto infelici.

Fantozzi, un italiano.

All’inizio lo pensavo come qualcuno che doveva avere queste caratteristiche: essere povero, affamato e con una gran voglia di fare una vita normale. Questo è Fantozzi: la cosa che lo rende più tranquillo è “allora sono come tutti”. E quindi sono abbastanza normale. Uno dei primi pezzi, se non proprio il primo, era una cosa tipo “Fantozzi va a votare”. In un periodo di elezioni Fantozzi si trovava a disagio ed era costretto a votare per quello che gli consigliavano degli amici potenti. Gli amici potenti non erano amici, ma erano i suoi padroni. I vari capi che lui ha incontrato nella sua vita gli hanno imposto un comportamento non vero, ma lui era costretto a pensare e a dire cose che pensavano i suoi capi per trovare un po’ di simpatia, di comprensione. Non sa esattamente cosa vuol dire essere di sinistra o di destra, lui segue la corrente. Se i superiori sono di destra lui cerca disperatamente di fingere di essere di destra. In realtà è vero il contrario ma fa di tutto per mascherare il fatto di essere diverso rispetto al capo ufficio. Non è mai sincero: è sempre alla ricerca di qualche stratagemma per farsi accettare, anche se in maniera piuttosto deludente. Però la cosa riesce. Riesce perché tutto considerato il lettore o lo spettatore di un film fantozziano ha questa caratteristica: non ha fortuna nella vita, ma fingere di essere d’accordo sempre con il capo ufficio significa avere un po’ di fortuna in più.

La scoperta di Fantozzi.

Costanzo venne a vedermi in un cabaret che facevo con De Andrè a Genova. Mi aspettava alla fine dello spettacolo e qualcuno mi raggiunse dietro le quinte e mi disse: “C’è un signore piccolo, brutto e grasso che le vuole parlare”. E io dico: “Proprio in questo momento? Ditegli di tornare tra un mese”. Mi dissero: “Ma è di passaggio, è venuto apposta”. Lo incontro e mi dice: “Guardi, sono un giornalista di “Grazia”, se vuole avere successo venga a Roma con me”. Io l’ho guardato e ho detto a mia moglie che era con me: “Che faccio, vado?”. E mia moglie mi ha detto: “Lascia sempre il certo per l’incerto”. E io che avevo la certezza di continuare a lavorare in questo teatrino di piazza Marsala a Genova, che era forse il posto più frequentato dagli snob, dai ricchi, ho detto: “Che faccio?”. L’indomani mattina sono partito da solo. A La Spezia il treno si è fermato e abbiamo continuato in pullman perché c’è stato uno sciopero ferroviario gigantesco, quindi dalla partenza non sembrava che fossi destinato al successo.

Kafka e Fantozzi.

E’ un personaggio che un po’ si ispira a Kafka. Io trovo che Kafka sia il più grande di tutti i tempi, e quindi il fatto che Kafka racconti i personaggi sfortunati vuol dire che il 99% dei lettori ama personaggi sfortunati ed è per una ragione simile che gli italiani si sono identificati in Fantozzi. Forse è esagerato dire che somiglia molto a Kafka però molto si è ispirato e si è riconosciuto in quel tipo di quasi infelicità che poi degenera nel conformismo e nell’abitudine di dire sempre “io sono sfortunato”. Il 99% dei lettori di Kafka si identificano in personaggi sfortunati, e quindi Kafka è, in qualche modo, consolatorio. Fantozzi, anche. La sua caratteristica fondamentale è di fingere di essere normale, ma lui lo sa che normale non è: soffre di questa sua mancanza di riuscita nella vita, di mancanza di successo con le donne, nel lavoro, con gli amici. Ecco, la lettura di Fantozzi è una grande terapia per tutti quelli che sono sfortunati, perché riconoscono in lui, nel personaggio sfortunato, se stessi e quindi si accettano e sono quasi felici di essere normali. Eè un personaggio molto amato, soprattutto dai bambini. Del resto nei primi 15 anni di vita nessuno si considera “riuscito”, chiunque a quell’età ha perlopiù paura di non riuscire nella vita. Questa è in sintesi la chiave del successo di Fantozzi.

Il linguaggio di Fantozzi.  

E’ la cosa fondamentale, forse è stato il motivo del mio successo: la creatività verbale. Credo di potermi considerare un po’ il creatore di un nuovo lessico, di espressioni e parole non prevedibili. Io penso che sia proprio questo il successo fondamentale, quello che rimane. Quando scrivo “il manicomio navale di Arezzo” è come se cercassi di dare vita ad una neolingua, perché è evidente che non ha senso dire manicomio navale di Arezzo visto che la città non è in riva al mare ed è sorprendente come tutti accolgano questa invenzione come linguisticamente verosimile. Uno degli aspetti fondamentali delle storie di Fantozzi è che mostrano un linguaggio completamente nuovo. Mi dà fastidio vedere la televisione di adesso in cui ogni tipo di spettacolo si somiglia, sono tutti uguali, e la gente li accetta, li sopporta e alla fine li subisce. Ma quando viene fuori un linguaggio nuovo, come successe ad esempio all’arrivo di Rascel, che parlava un italiano diverso, modificato, è stato qualcosa che ha avuto un’esplosione straordinaria. D’altronde i grandi comici sono stati tutti padroni di una neolingua che è quella di un linguaggio comico che è quello che usa Fantozzi nelle sue autobiografie. Poi ci sono delle invenzioni come la nuvoletta da impiegato, la sfortuna rappresentata da un uomo che il sabato pomeriggio va al mare con la moglie, dove è pieno di sole ovunque, tranne per quella nuvoletta maligna che appena lo vede si va a piazzare dove è lui e lo bersaglia ferocemente. In realtà il comico è un perdente sempre, non esistono comici che hanno successo, tutti i grandi comici hanno questa caratteristica: sono ignoranti e hanno la certezza di essere infelici.

Fantozziano: un aggettivo.

Fantozziano vuol dire non riuscito, non del tutto felice, con delle mogli che sembrano più scimmie che mogli, significa avere un carattere che possa rappresentare, per i motivi di identificazione e riconoscimento, qualcosa di consolatorio per tutti. E quando il suo inventore si rende conto che il personaggio ha avuto fortuna, allora mi sento anche io un pochettino meno infelice: anzi alle volte Fantozzi può essere motivo di grande orgoglio. Io vivo ormai nel ricordo di questo personaggio, perché qualunque cosa mi succeda o mi capiti, devo improvvisamente indossare i suoi abiti e dire “guardate, però, che io sono un uomo sfortunato”. Che poi Fantozzi è, sì, un personaggio amabile, simpatico, non è cattivo, è un buono, ma può essere anche maligno, può avere anche difetti fondamentali, per sempio, essere invidioso. Come lo sono tutti. Lui cerca di mascherarla l’invidia, cerca di essere diverso, ma non ce la fa e allora è amato da tutti quelli che non ce la fanno come lui. Il realtà il 99% degli infelici in genere sanno di esserlo ma cercano di mascherarlo, di dire “io d’altronde sono felice così”, -questa è una frase ricorrente. E se qualcuno gli fa notare, “guardi, però, lei ha una moglie bruttina e una figlia scimmia”, allora lui incalza e dice: “Bruttina? E’ un mostro”. In questo modo dà la sensazione di essere sincero. Ma non lo è.

Fantozzi e le donne.

Non è un personaggio che può piacere molto alle donne, è un personaggio che –tutto considerato- è consolato dal fatto di essere sopportato ma mai amato completamente, da nessuno. Neppure dagli amici. Gli dicono sempre, ti voglio molto bene, sei straordinario, ma lui sa che non è vero e usa lo stesso linguaggio e la stessa ipocrisia. E le donne lo sanno. Viene sempre guardato con un po’ di simpatia, di affetto e commiserazione. In fondo la mancanza di fortuna che tutti questi Fantozzi –tutti coloro che si identificano con lui- hanno con le donne è straordinaria: sono rassegnati a non averne alcuna. Naturalmente in quel personaggio ci sono anche un po’ delle mie esperienze con le donne: ci sono quelle che subito dopo un primo impatto dicono “lei è molto simpatico, ma non mi potrò mai innamorare di lei”. Mi è stato detto varie volte. Lì per lì mi sembrava una cosa fastidiosa, poi invece ne ho fatto una delle chiavi di riuscita del mio lavoro. Quando una ragazza mi diceva: “Guardi che lei non è il mio tipo”, ho cominciato oscuramente a sentire che avrei usato tutto questo come momento di creatività e fortuna.

Addio Fantozzi.

Veramente il personaggio non l’ho abbandonato io, anche se credo di aver fatto un errore fondamentale. Ho cercato per vanità di fare il regista degli altri film dopo i primi due, che risultarono di livello inferiore, fin quando tutto è degenerato ed è diventato qualcosa di conformista. Quando la comicità diventa già vista, già sentita, non è creativa, ma è ripetitiva di un motivo di successo nella speranza che funzioni. E funzionava ancora, ma non come i primi due, che avevano una presenza, una comicità assolutamente diversa, nuova. In realtà, nonostante finga il contrario, sono molto felice per quello che sono riuscito a creare, a costruire, a modificare, fino a farlo diventare un personaggio amato da tutti, soprattutto da persone che in genere non leggono. E questi audiolibri renderanno Fantozzi accessibile proprio a chiunque, anche ai bambini che non sanno leggere, anche agli adulti più pigri, anche ai mariti che potranno mettersi le cuffie fingendo di ascoltare una moglie rompicoglioni.

 

Pranzo per Otto.

“La Direzione gli aveva dato un foglietto con una descrizione sommaria del Professore: “Nome: Otto. Tipo da tedesco”. Ed era tutto! Scesero dall’aereo quaranta “tipi da tedeschi”, Fantozzi aspettava dietro le transenne del pubblico. Vide il gruppo minaccioso che si avvicinava. Tentò il tutto per tutto: “Otto!”, gridò (era il nome più diffuso in Germania!). Su quaranta venti alzarono la testa… Si affidò alla fortuna. Si diresse verso l’Otto più vicino, prudentemente, gli baciò la mano e gli chiese in dialetto armeno: “Venghi… Professore, ho qui la macchina”. Salirono in macchina. Lo portò a casa sua, e Otto mangiò tre piatti di spaghetti, una bistecca, bevve mezza bottiglia di Chianti e si addormentò pesantemente. Gli calarono lentamente le serrande e lo lasciarono dormire due ore. Si svegliò con una fame tremenda. Fantozzi scese di volata dal portinaio e si fece prestare sei uova. Alle 7 di sera, Otto in perfetto italiano disse: “Be’! Me ne vado a casa… abito qui vicino, vi ringrazio tantissimo. Fantozzi non cercò neppure di ucciderlo e si scaraventò all’aeroporto. Lì c’era un “tipo da tedesco” di nome Otto che stava cercando di accoltellare alcuni funzionari dell’Alitalia”

                                                           Da “Fantozzi all’ambasciata tedesca”.

 

Balla con Filini.

“Filini: “Ma che dice? Sto benissimo”. Sputò 4 incisivi sul pavimento e andò giù con la faccia, scomparendo sotto il tavolo fondamentale. Non era solo, ma c’erano un ferito, 2 morti, un cadavere e 3 scheletri di balli precedenti. Il ferito era vestito da centurione romano, i 2 morti da Napoleoni, gli scheletri nudi: i costosissimi abiti da sera erano stati rivenduti dalla contessa in un bazar di Tor Bella Monaca. Fantozzi si ubriacò completamente e cominciò a straparlare con tutti del suo argomento preferito: i 40 anni di Totti! Sul finire della festa, cominciò a cercare Filini. Il capo cameriere: “Guardi che è sotto il tavolo! Lo estragga e se lo porti via! Non si preoccupi, Le do una mano io…”

                                                           Da “Fantozzi e Filini al ballo mascherato”

 

Bruttezza al bagno.

“Venerdì la Silvani gli mandò il cuore in gola: “Perché domenica, se è solo, non mi accompagna al mare?”. Il sabato pomeriggio Fantozzi andò dal barbiere, alle sei di sera le telefonò per ricordarle il loro appuntamento. Alle sette la richiamò, e lei: “Ma sì, sono d’accordo… ma me l’aveva già detto!”. Alle sette e venti le telefonò ancora: “Le ricordo…”, “Fantozzi, la prego, non sono cretina. Ha già telefonato tre volte!”, lui: ”MI scusi, mi ero confuso perché c’avevo altri appuntamenti…”. Alle due di notte richiamò: “Scusi signorina, sta dormendo?” “No maledizione, non riuscivo a dormire”. Lui si chiuse col cellulare in cesso e attaccò: due ore! Era stato particolarmente brillante e verbosissimo anche se aveva la salivazione azzerata. Dopo una tremenda inchiodatura di un’ora la signorina Silvani lo pregò di lasciarla andare a dormire… “A domani alle dieci”, era stata la frase di commiato e lui, col cellulare nelle mutande, fu pervaso da una contentezza da urlare. Andò in cucina per bere cantando a squarciagola, ma fu subito zittito severamente dai vicini. Quando fu seduto sul letto pensò: “La vita è bella”. Si buttò all’indietro dando una craniata pazzesca contro lo schienale di ferro, facendo un curioso rumore. I vicini: “E smettetela di suonare questi gong tibetani! Dobbiamo dormire noi!”.

                                                           Da  “Fantozzi va ai bagni Flora”

 

Un risotto lavico.

“Quando fu pronta la cena in piedi, la casa fu invasa da una ventina di camerieri avventizi, di cui due nani. Servivano brutalmente un risotto lavico e riempivano con disprezzo bicchieri di vino di seconda categoria. Era una tavola imbandita in maniera teatrale, che tradiva la megalomania di fondo della Contessa: pavoni vivi, cadaveri di porchetta arrosto e un grosso dentice bollito, con limone in bocca, che assomigliava incredibilmente alla padrona di casa. Gli invitati mangiarono un po’ di risotto distrattamente e non degnarono di un’occhiata la tavola imbandita: divisi in piccoli gruppi, parlavano con aria divertita e distaccata di libri, vacanze, di amori e dell’età di Totti, di Jacques Lacan. Fantozzi purtroppo bevve tutto il vino che gli offrivano i vischiosi camerieri, però tracannò due piatti di risotto lavico, un cosciotto di porchetta morta, una trancia di dentice e un ananas intero. Alla fine aveva una fetta di arrosto sulla camicia e un’antenna di aragosta tra i capelli ed era, purtroppo, completamente ubriaco”.

                                   Da  “Fantozzi va a cena dalla contessa”.

 

                                                           A cura di Mario Sesti