I nostri difetti fanno bene al pianeta Terra

I nostri difetti fanno bene al Pianeta

La percezione dei propri limiti può impedire all’uomo di distruggere il mondo. Lo hanno capito i ragazzi del clima, che vanno ascoltati.

Recentemente la voce delle nuove generazioni si è alzata con forza a difesa della vita del nostro pianeta. Non solo della forma umana della vita e del futuro di quelle stesse generazioni, ma per la vita della terra che gli esseri umani abitano. Questo grido è, come ogni grido, una invocazione. I nostri figli nel loro spontaneismo, fosse anche ingenuo –come non ha mancato di fare notare il solito corteo di paternalisti saggi-, ci ricordano che la vita non si esaurisce né nel confine della nostra nazione, né in quello del nostro Io. In questo non intendono sostituirsi alla politica che è un mestiere per adulti, ma la convocano alle sue responsabilità irrevocabili: non dimenticate che non siete padroni della terra, ma solo dei suoi ospiti! Il grido di questi ragazzi ha voluto ricordarci che se l’essere umano possiede, diversamente da altre forme della vita (le piante, gli animali, i fiori, le foreste, il cielo, l’acqua), la possibilità di nominare la vita nelle sue differenze infinite dando ad essa forma attraverso la sua prassi, questo non gli attribuisce il diritto di distruggere la vita. In altre parole, questi ragazzi ci hanno ricordato la differenza tra antropocentrismo e umanismo.

Se l’antropocentrismo implica una concezione ontologicamente gerarchica della vita, che subordina le forme plurali della sua esistenza a quella dell’Uomo come se questi fosse il loro fondamento ultimo, l’umanismo mostra invece che la differenza tra la forma umana della vita e le altre sue espressioni rende la prima responsabile delle seconde. L’umanismo, in questo senso, esclude per principio ogni forma di antropocentrismo. Il carattere predatore dell’umano nei confronti della vita del pianeta –carattere che si estrinseca innanzitutto attraverso il potere della tecnica come Heidegger ha per primo messo in luce- riduce questa vita solo a mera “risorsa” da sfruttare.

Questa spinta predatoria non germina dall’umanismo, ma dall’antropocentrismo. Alla luce della visione del mondo antropocentrica la vita è una terra di conquista. L’Io vorrebbe imprimere sul mondo l’impronta della sua immagine, vorrebbe governare il cielo e la terra. E’ la furia narcisistica che anima l’illusione antropocentrica. Con il paradosso che il nichilismo del discorso del capitalista mette drammaticamente in evidenza: la spinta a farsi padrone del mondo rende l’uomo servo dei suoi stessi strumenti di dominio. Basti citare il carattere idolatrico del denaro che non definisce più se stesso come uno strumento che serve la vita, ma un vero e proprio idolo –l’idolo degli idoli-, al quale la vita è religiosamente asservita. L’umanismo, invece, agisce al di fuori di ogni fantasma di padronanza. Il suo principio cardine consiste nel porre la vita umana come insacrificabile. Se gli idoli della guerra, del denaro, del potere, della nazione subordinano la vita del soggetto a dei oscuri, l’umanismo ricorda che l’essere umano nella sua singolarità vale più di ogni causa. Per questo mentre l’antropocentrismo si fonda fatalmente sul perfettismo, sul raggiungimento di un mondo idealmente governato dal potere dell’Uomo che scarta come scorie nocive tutto ciò che non si allinea a questo folle ideale di padronanza (la malattia, la povertà, la morte, la fragilità degli alberi, la penuria dell’acqua), l’umanismo prende invece avvio dal rifiuto di ogni ideale di perfezione. Per questa ragione gli animali sofferenti o morenti ci appaiono più vicini, più prossimi alla forma umana della vita. Non siamo forse noi animali morenti, feriti, sofferenti?

Si tratta di abbandonare il miraggio di un governo antropocentrico del carattere ingovernabile della vita, di ricordarci che la vita, al di là della nostra vita, esige cura e ogni pratica di cura esclude per principio il mito del perfettismo. Per questa ragione non c’è umanismo degno di questo nome che non implichi un pensiero profondo della cura. I nostri figli ce lo hanno ricordato: cura innanzitutto del pianeta che ci ospita, attenzione per il particolare, per il carattere fragile e vulnerabile della vita. L’umanismo non enfatizza le capacità dell’uomo, ma i suoi limiti perché è solo tenendo conto dei suoi limiti che l’uomo esiste nella sua piena libertà. E’ solo sul fondamento di una mancanza irriducibile che la vita umana può generare le sue opere più belle. L’umanismo ci impegna a confrontarci non con il nostro ideale di perfezione, ma con il carattere insuperabile della nostra imperfezione. Non esiste una libertà svincolata dal limite; non esiste vita umana onnipotente, non esiste vita umana senza mancanza.

La soppressione della nostra imperfezione nutre il fantasma di ogni antropocentrismo e sospinge la nostra vita e quella del nostro pianeta verso la rovina. I “profeti della smisurata felicità” (Rosmini) sono, in realtà, i protagonisti della distruzione del mondo. Il grido dei nostri figli ricorda paradossalmente agli adulti quello che gli adulti dovrebbero invece ricordare a loro: assumete i vostri limiti o finirete per trascinare la vita verso la sua morte.

Massimo Recalcati

Articolo pubblicato in “Repubblica”, venerdì 18 ottobre 2019, pp. 42-43