Il filosofo francese Onfray rilancia la visione di Lucrezio.
Una lettura materialista della vita che garantisce autenticità.
Il giornalista Stefano Montefiori pubblica questo articolo ne “La Lettura” del 28 maggio 2023, a pag. 15.
Di Michel Onfray si è cominciato a parlare in Italia nel 2005 per il suo “Trattato di ateologia”, nel quale l’allora giovane filosofo (è nato nel 1959) sceglieva il bersaglio più grande, la religione, prima di dedicarsi poi ad attaccare miti più terreni come Sigmund Freud, Gilles Deleuze, Jean Paul Sartre o Francois Mitterand, colpevole a suo dire di avere tradito la Sinistra con la svolta liberista del 1983. Autore straordinariamente prolifico (la soglia delle 100 opere è superata da tempo), Onfray negli ultimi anni in Francia è diventato sempre più presente nei media per commentare la politica da posizioni sovraniste e anti-europee, tanto che quando nel 2020 ha fondato la rivista “Front Populaire” molti hanno pensato, sbagliando, che potesse essere un trampolino per candidarsi alle presidenziali sfidando Macron, il presidente da lui molto disprezzato.
Accanto alle discusse prese di posizione politiche e sociali (tra lotta al politicamente corretto e accuse di simpatie reazionarie), Onfray resta l’autore di appassionanti testi di divulgazione filosofica, come questo “Vivere secondo Lucrezio”, il suo nuovo libro pubblicato da Ponte alle Grazie. E’ un testo militante, a suo modo politico, nel quale Onfray parte dall’ateismo originario per proporre ai lettori un modo di affrontare la vita, una maniera di stare al mondo. Secondo Lucrezio, appunto. Alla domanda su quale libro gli abbia cambiato la vita, Onfray risponderebbe senza esitare il “De rerum natura”.
Il talento di Onfray sta nella capacità di coinvolgere il lettore e non perderlo mai di vista, neanche quando si mette a disquisire con erudizione sulle varie edizioni del poema e parla della sua preferita, quella impareggiabile in francese di Bernard Combeaud, ispettore generale per il latino e il greco, ma soprattutto suo amico.
Le pagine iniziali parlano di metrica latina del IV secolo a.C., di versi alessandrini francesi ma anche della scomparsa dell’amico Bernard, con la capacità di essere toccante che Onfray aveva già dimostrato nei bellissimi passaggi dedicati al padre in “Cosmo” (Ponte alle Grazie, 2015). In quell’occasione Onfray dava l’addio al padre ringraziandolo per avergli insegnato, da ex operaio agricolo, a scegliere “le lezioni della natura anziché le peregrinazioni della cultura”.
C’è forse un po’ di questo atteggiamento nella predilezione di Onfray per la vita atomica di Lucrezio: atomica perché basata sulla visione materialista di atomi che sono alla base di tutto, anche dell’anima. Ed è una vita atomica forse anche nel senso di straordinaria perché coraggiosa, vissuta pienamente, scegliendo il qui e ora senza rinviare il piacere e la gioia a un inesistente aldilà. Onfray esalta Lucrezio e il suo epicureismo contro Platone, ai suoi occhi responsabile di una colpa gravissima: l’avere prodotto e giustificato –attraverso il platonismo- l’impianto filosofico dominante in Occidente e la base per la religione cristiana, con quella celebrazione del cielo delle idee e la svalutazione del mondo sensibile, con quell’odio per le passioni, e quel dualismo che oppone il corpo materiale da disprezzare all’anima immateriale da esaltare.
Contro questi male, Onfray propone la conversione alla visione di Lucrezio, intesa come “un manuale di istruzioni per l’esistenza in forma versificata; un orizzonte su cui fondare la nostra vita quotidiana; un metodo che ci porta ad affidare la nostra propria esistenza a una saggezza capace di farci soffrire il meno possibile, e non soltanto per i morsi della fame e della sete, ma anche e soprattutto per la preoccupazione di quello che succede dopo la morte”.
Prima dei 26 principi finali, che non riveliamo, vere regole di self-help immaginate duemila anni fa, Onfray ripercorre l’opera di Lucrezio e incoraggia a vivere in base alla libertà: dalla rinuncia ad assoggettarsi a divinità, preti o padroni, alla necessità di demistificare anche l’amore, in modo da non affidare a nessuno il controllo di noi stessi. Si arriva così al concetto di coppia atarassica, che sarà forse poco romantico e certo non travolgente, ma rappresenta la liberazione dalla sofferenza.
E non bisogna avere paura della morte, intanto perché –come diceva Epicuro- se c’è lei non ci siamo noi e viceversa, ma poi perché “la morte è un momento della vita fatto di movimenti ciclici che si ripetono. Non è quindi una fine ma una propedeutica per qualcosa di diverso in cui i nostri atomi avranno ancora un ruolo da giocare”.
Alla fine del libro ci si può convertire a Lucrezio oppure no, il traguardo proposto da Onfray può essere raggiunto o meno, ma sarà valsa comunque la pena intraprendere il viaggio.
Stefano Montefiori