Il pianeta Terra è capace di reagire

Il pianeta Terra è capace di reagire

Il Covid-19 è un avvertimento serio. Dal modo di affrontarlo arriva una grande lezione per il futuro: agire insieme, in fretta, contro la pandemia e contro il cambiamento climatico.

 

“L’Espresso” del 24 maggio 2020, alle pp. 66-71, pubblica un lungo colloquio di Marco Pacini con Bruno Latour, sociologo e filosofo francese, docente all’Istituto di Studi politici di Parigi e alla London School of Economics and Political Sciences di Londra. Nei suoi saggi Latour attribuisce ai cambiamenti climatici un ruolo centrale nella comprensione delle posizioni politiche degli ultimi cinquant’anni. Facciamo attenzione alla data dell’articolo: 24 maggio 2020, prima cioè della comparsa e della diffusione dei vaccini.

                                                                  Gennaro Cucciniello

 

Siamo irrimediabilmente galileiani, ci avverte da tempo Bruno Latour. Guardiamo in su, a Sirio, alle galassie. E persino al nostro pianeta volgiamo quel tipo di sguardo, grazie alle immagini che ci hanno restituito le missioni lunari e continuano a fornirci i satelliti. Il globo: perfetto, vivente. Il Pianeta blu. Dovremmo invece rovesciare lo sguardo verso “Gaia”, che non è l’organismo, il pianeta blu che ospita una vita, una natura idealizzata. Ma è piuttosto un agente che retroagisce a tutte le nostre azioni. E che ci sta presentando il conto. Riprendendo l’ipotesi di “Gaia” –formulata negli anni Settanta dal chimico e inventore James Lovelock- Latour, filosofo e antropologo della scienza, ci invita da anni a demolire gran parte dei pilastri su cui abbiamo costruito la nostra modernità, a cominciare dal dualismo natura/cultura. Ci invita a una rivoluzione culturale senza precedenti, a una filosofia dell’Antropocene.

“Gaia è qui presentata come l’occasione di un ritorno sulla Terra che consenta una versione differenziata delle rispettive qualità richieste alle scienze, alle politiche e alle religioni, ricondotte finalmente alle definizioni più modeste e terrestri delle loro antiche vocazioni”, scrive nel capitolo introduttivo di “Face à Gaia”, il suo fondamentale testo del 2015 –tra i più discussi dalle comunità scientifiche e filosofiche mondiali- che il 25 giugno arriverà finalmente in Italia, con il titolo “La sfida di Gaia, il nuovo regime climatico” (e con una postfazione del climatologo Luca Mercalli) grazie a Meltemi editore.

Bruno Latour non è stato risparmiato dal virus Covid-19. Sta trascorrendo la convalescenza nella sua casa di Parigi. E’ da lì che ha accettato questo colloquio con l’Espresso, nell’attesa di potersi trasferire in campagna.

Professore, c’è qualche parentela tra questa situazione determinata dalla pandemia (inimmaginabile solo fino a qualche mese fa) e quella che lei ha immaginato e preconizzato nei suoi studi, quella di un’umanità “moderna” che si trova a dover fare i conti con il collasso ecologico, con Gaia, con l’impossibilità del “moderno”?

Non direttamente. E in termini di politica ecologica la crisi attuale è il modo peggiore per prepararsi al cambiamento climatico. Tutti diranno: “se questo è il tipo di catastrofe… allora ignoreremo ancora di più la questione climatica”. No, l’unico modo per stabilire una connessione è di considerare la portata. In termini di portata, sì, possiamo dire che il modo del coronavirus di immobilizzare l’intero pianeta a una velocità incredibile ci dà un’idea di cosa voglia dire “affrontare / guardare in faccia Gaia”. Qualsiasi cosa accada in seguito, contrastare il cambiamento climatico richiederà qualcosa della stessa misura e altrettanto globale e complesso. Quindi, in quel senso, è una specie di prova, o almeno un avvertimento di ciò che avverrà. Con una differenza cruciale: in un certo senso noi sappiamo cosa significhi per un governo proteggere i propri cittadini contro la morte a causa dei microbi, il governo è legittimato a imporre misure e anche a limitare le libertà, ma non siamo per niente d’accordo su cosa significhi per un governo proteggere la vita degli esseri umani contro la loro autodistruzione, questo è nuovo. E nessuno Stato è legittimato a richiedere sacrificio e restrizioni alla nostra libertà. Questo è, a mio avviso, il limite più difficile nel connettere la crisi sanitaria con il mutamento ecologico.

Lei ha insistito molto sul concetto di “abitabilità” del pianeta. Come possiamo spiegarlo nel momento in cui le condizioni di abitabilità di un microrganismo con qualche miliardo di anni prevedono la nostra eliminazione, o quantomeno una nostra radicale trasformazione?

Abitabilità è un modo per comprendere Gaia, non un modo per dire “il pianeta è vivo”, non per assegnare valori morali a questo o quel microbo o a questa o quella piaga. E’ un modo per segnalare il fatto molto semplice che qualsiasi organismo vivente crea le condizioni di vita per altri, semplicemente, per esempio, rigettando i propri scarti. Quindi non c’è niente di provvidenziale, armonioso e intenzionale in Gaia: è solo che ogni organismo vive nelle non volute conseguenze della vita di organismi precedenti nella storia della Terra. Respiriamo l’ossigeno prodotto da batteri e piante per i quali era una sorta di indiretto e imprevisto scarto. E loro non producono ossigeno per il nostro bene… Gli organismi viventi (quelli aerobi, cioè che hanno bisogno dell’aria per vivere) hanno appena imparato a vivere all’interno di un’atmosfera ricca di ossigeno, che era inquinamento due miliardi e mezzo di anni fa per gli organismi (anaerobi) che avevano imparato a vivere al di fuori degli scarti di organismi differenti.

Gaia non è una madre benevola che ricerca il nostro bene, e questo è particolarmente vero per la Gaia della mitologia –guardi a qualsiasi storia sulla sua opera, è terribile! Quindi l’abitabilità deve essere preservata precisamente perché non è affatto preparata e progettata per gli umani. E a questo punto questo Covid-19 è un caso emblematico: per sbaglio gli esseri umani hanno fornito a questo virus una condizione ideale per crescere, prosperare e diffondersi quasi incontrollato tra milioni di persone, proprio come un parassita/insetto attraversa una foresta di alberi della stessa specie. Quindi, per rispondere alla domanda: dobbiamo adattarci al modo del virus di diffondersi dal momento che gli abbiamo dato una nuova occasione per prosperare. Non ha niente contro di noi. Di nuovo, Gaia non è Madre Natura.

In che senso l’abitabilità è una questione politica? E abbiamo a disposizione un linguaggio, un pensiero politico all’altezza delle sfide poste da quello che lei definisce Nuovo regime Climatico?

Il problema non è solo il benessere della popolazione umana, ma è il benessere di tutte le popolazioni di forme di vita che creano le condizioni materiali perché gli umani prosperino. In entrambi i casi, sono gli umani che devono essere protetti, ma in un caso si tratta di umani contro microbi; nell’altro ciò che dovrebbe essere protetto sono tutti gli esseri che hanno generato una terra abitabile prima per se stessi e in più per gli umani. In un caso i microbi sono nemici. Nell’altro, è molto più complicato, siccome mantenere condizioni di abitabilità include aria, terra, piante, acqua e la complessa relazione tra i microbi e tutte le forme di vita. Per questa seconda forma di biopolitica non esiste Stato in grado di esprimere la celebre “volontà generale”.

Lei ha scritto, professore: “Le sirene hanno suonato, ma sono state disattivate a una a una. Abbiamo aperto gli occhi, abbiamo visto, ma poi li abbiamo serrati”. E allora la pandemia non è l’impossibile che all’improvviso irrompe nella storia. Era prevedibile e prevista. Ma i governi mondiali sono rimasti inermi. Non ci siamo preparati. Come sta accadendo per gli effetti del collasso ecologico e climatico in corso. Come lo spiega?

Se non stiamo agendo non è a causa di una mancanza di conoscenza, ma a causa della mancanza di modi per far sì che tale conoscenza venga assorbita, incorporata, accettata e metabolizzata dalla maggior parte dei cittadini. Comunque, le società non hanno preveggenza. Solo nella mitologia Prometeo vede in avanti, nel futuro. Noi non possiamo, nessuno può. La differenza sta tra reagire lentamente o velocemente, o piuttosto non reagire, cioè negare che esista un problema, o accettare il problema e reagire nel miglior modo possibile. Negare ciò che sai è il crimine, e questo è il motivo per cui la modalità con cui Trump e Bolsonaro gestiscono la crisi è così criminale. Nel complesso, comunque, la velocità con cui gli Stati hanno reagito è assolutamente formidabile. In tre mesi metà del mondo è impegnato in una crisi economica di gigantesche proporzioni. La plasticità delle collettività mi sembra piuttosto sorprendente. Sotto una minaccia siamo capaci di agire collettivamente con velocità e globalità. Sì, possiamo.

Sono affascinato dall’idea che potremmo imparare dal virus che la sua capacità di agire non richiede nessun grande sforzo: il virus è molto piccolo! Ma si diffonde… Potrebbe essere un modello anche per la politica? Il virus ridefinisce interamente l’abituale assetto tra locale e globale, grande e piccolo, debole e forte. Ecco perché questo tragico esperimento è così importante da capire.

 

Marco Pacini                                       Bruno Latour