Italo Calvino, “Lezioni americane”. Trenta anni di magia.

Italo Calvino, “Le lezioni americane”. 30 anni di magia.

Nel 1988 usciva il libro-testamento di Italo Calvino. Che da allora continua a sedurci. Come dimostra un recente e affollato seminario. Chi l’ha tenuto ci riporta tra i segreti di quel testo.

 

Nel “Venerdì di Repubblica” del 2 febbraio 2018, alle pp. 100-101, è pubblicato questo articolo di Matteo Nucci.

 

Negli ultimi mesi, poco prima della morte, Calvino ricominciò a riempire i libri di postille e note a margine. Lo aveva fatto da ragazzino, affiancando ai commenti disegni ironici. Poi da adolescente, con più pudore e consapevolezza. Aveva smesso, chissà perché, nel 1944. Per quarant’anni gli innumerevoli libri delle sue biblioteche riportano a matita, rigorosamente in apertura, le pagine che il lettore onnivoro elegge come preferite. Nel 1984 però la mano di Calvino torna a glossare i suoi volumi. Il bisogno contingente è rappresentato dalle lezioni che dovrà tenere nell’anno accademico 1985-’86 a Harvard. Si tratta di un ciclo di sei conferenze di grande prestigio. Le Charles Eliot Norton Poetry Lectures sono state inaugurate nel 1926, e di stagione in stagione sono state affidate a gente come T. S. Eliot, Jorge Luis Borges, Octavio Paz. Calvino è il primo italiano. La responsabilità è enorme.

Tuttavia il bisogno contingente sembra unirsi a un bisogno più profondo. Quello del lettore-scrittore che deve tirare le somme e prepararsi (o prepararci) al nuovo millennio. Le lezioni infatti vengono intitolate “Six Memos for the Next Millennium” e ne sono pronte cinque sul tavolo di lavoro della casa di Roccamare quando, il 6 settembre, Calvino viene ricoverato d’urgenza per un ictus, che dopo dodici giorni lo porterà alla morte. E’ a questo punto che la storia delle lezioni cambia completamente senso.

Quello che pareva un momento di passaggio decisivo diventa il punto finale. Se ne parla a lungo fra critici e studiosi. Finché la Harvard University Press decide di pubblicarle e con il titolo inglese esse escono esattamente trent’anni fa. Qualche mese e la versione per Garzanti è pronta. Il titolo italiano lo sceglie la moglie Esther Singer (Chichita) perché, come scrive nella nota introduttiva, “in quell’ultima estate Pietro Citati veniva a trovarlo spesso al mattino e la prima domanda che faceva era: Come vanno le lezioni americane? E di lezioni americane si parlava”.

Il successo è subito enorme. “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio” diventa in fretta un “classico sui classici” e il suo significato per i lettori che si conquista è immenso. Ai tempi in cui viene pubblicato, la spesa non indifferente (20mila lire) viene compensata da una lettura che per molti ragazzi costituisce la strada maestra per farsi lettori, studiosi, scrittori. Fra loro c’è Laura Di Nicola, oggi docente di letteratura italiana contemporanea a “La Sapienza”, che proprio con la prima delle lezioni calviniane ha chiuso in questi giorni “Le parole dell’Io”, una serie di incontri che ha riempito l’Aula Magna di Lettere di studenti e appassionati di ogni provenienza ed età, come non accadeva da anni. Nei seminari letterati e psicoanalisti si sono confrontati per approfondire –attraverso le rispettive lenti di ingrandimento- l’anima di una parola usata da dieci autori d’eccezione, dall’amore in Dante alla melanconia in Leopardi, alla coscienza in Svevo.

Leggerezza, primo dei Six Memos, ha chiuso il ciclo con lo scambio fra i curatori del progetto: Di Nicola e Tito Baldini, della Società Psicoanalitica Italiana. “Per Calvino l’inizio è decisivo” spiega Di Nicola. “L’apertura a Harvard con lo studio sulla leggerezza ci dice innanzitutto moltissimo sul valore etico, esistenziale della parola. Calvino ragiona su quella che chiama “l’epidemia pestilenziale del linguaggio” e mentre mancano quindici anni al nuovo millennio vuole costruire la memoria dell’insegnamento perpetuo costituito dalla parola, quando essa è scelta conoscendone la forza espressiva e i rapporti con la tradizione. In questo senso, la leggerezza racconta l’idea di Calvino in maniera paradigmatica. Perché non significa frivolezza, tutt’altro. Significa semmai esattezza. Il che ci colpisce molto. Sappiamo bene come Calvino lavorasse sulla lingua per sottrazione. Allo stesso tempo però è interessante che la frivolezza sia considerata invece pesante. Il punto che viene subito a galla è che per Calvino il fine ultimo della letteratura è curativo: contro il male del vivere. Un’idea di poetica molto forte che ha a che fare con il nostro passato, la nostra tradizione, perché solo nel rapporto con la tradizione possiamo schiudere il futuro. Non è casuale la presenza di tante immagini del mito all’interno delle “Lezioni”. Un atteggiamento che dagli scrittori di oggi è in gran parte dimenticato”.

Rapidità. Esattezza. Visibilità. Molteplicità. Queste le altre lezioni completate. Manca la sesta. Coerenza. E’ difficile immaginare quali vie avrebbe preso il ragionamento di Calvino. Ci restano pochi frammenti e soprattutto la biblioteca con i famosi libri annotati –scoperta e studio di Laura Di Nicola. “Sono passati molti anni dal giorno magico in cui entrai nella casa di Campo Marzio. Mi sembrava un sogno poter studiare quegli ottomila volumi. Ma a colpirmi fu piuttosto la disposizione dei libri. Si trattava di una scacchiera del sapere, un sistema mentale in cui doveva trovarsi a suo agio soltanto Calvino, che aveva ordinato i volumi in maniera apparentemente incomprensibile. Pensate che Shakespeare appare in cinque sezioni diverse. Temi, lingue, epoche s’intrecciano continuamente. Quel che capivo, man mano che cercavo di entrare nella mente dell’ordinatore, era l’importanza della biblioteca fisica che diventa biblioteca ideale. Gli scaffali interiori di Calvino raccontano un perpetuo inseguimento, ossia il senso profondo della sua passione conoscitiva. I libri preferiti erano alle spalle della sua scrivania: Conrad e Stevenson. Gli altri costituivano un magma in cui si viaggiava come si viaggia nelle “Lezioni”. Catalogando, studiando, “fotografando” quello stato di fatto che grazie alla moglie si è conservato, entravo sempre di più in un libro che diventava in modo definitivo il più importante della mia vita. Non si finisce mai di scoprire qualcosa. Adesso, proprio durante il ciclo di seminari che Baldini e io abbiamo coordinato, mi sono resa conto di quanto importante sia la lettura psicoanalitica che privilegia l’io dello scrittore, laddove noi italianisti privilegiamo l’io del lettore. Calvino, da grande scrittore e lettore, seguiva entrambe le strade”.

 

                                                                  Matteo Nucci