L’intelligenza umana comincia dalle mani

L’intelligenza umana comincia dalle mani

Sant’Agostino e Avicenna si sbagliavano: la coscienza non è un’entità ineffabile racchiusa nel cervello.

 

“La Lettura”, supplemento culturale del Corriere della Sera, ha pubblicato nel numero dell’8 ottobre 2023 un articolo-intervista di Riccardo Viale con Shaun Gallagher che insegna Filosofia all’Università di Memphis (Usa), autore del saggio “La mente fenomenologica”.

 

Shaun Gallagher è uno dei più noti filosofi americani, rinomato per il suo lavoro sulla cognizione incarnata, sulla cognizione sociale, sull’azione e sulla filosofia della psicopatologia. Dal 2011 è titolare della Lillian and Morrie Moss Chair of Excellence in Philosophy all’Università di Memphis, Tennessee

Viale. Recentemente ho recensito il libro di David J. Chalmers, “Più realtà”, Cortina editore. Chalmers condivide la possibilità di simulare la coscienza in una macchina. Tuttavia, lo fa, da buon cartesiano, non comprendendo appieno le lezioni della cognizione incarnata. Secondo lui, la simulazione graduale del cervello è sufficiente per creare un agente artificiale che sia dotato di coscienza. Penso che abbia torto: ciò che etichettiamo come coscienza ha a che fare con processi di attenzione, pensiero, risoluzione di problemi e percezione integrati con sensazioni corporee, viscerali e motorie connesse  in una continua interazione, con l’ambiente.

Gallagher. Il suo focus è su ciò che i filosofi chiamano coscienza fenomenica, qualcosa di strettamente legato all’esperienza sensoriale e persino alle sensazioni enterocettive viscerali e motorie che menzioni, inclusi dolore e piacere. L’idea di Chalmers è, in primo luogo, che tutta questa esperienza fenomenica è in realtà solo una questione di elaborazione delle informazioni nel cervello attraverso una serie di processi funzionali che in fondo equivalgono all’apertura e alla chiusura dei circuiti (neuroni che si attivano o non si attivano). Mettendo da parte il fatto che il cervello si è evoluto con il corpo, e mettendo da parte il fatto che, così come il cervello regola il corpo, i sistemi corporei regolano il cervello, il primo passo (che ritengo sia un passo falso) è pensare al cervello in modo astratto, come se fosse una sorta di macchina per l’elaborazione delle informazioni. Il passo successivo è costruire una macchina del genere, replicando le funzioni del cervello nel silicio e senza le limitazioni della biologia. La sfida è ottenere la giusta architettura funzionale, anche se questo non affronta il quesito su cosa potrebbe significare qualcosa come le connessioni materiali, dinamiche e chimiche con il corpo.

Viale. Secondo me la coscienza è un falso problema che nasce dalla sua dimensione e genesi religiosa. In altre parole, è stata proprio la sua derivazione/collegamento al concetto di anima a stabilirne la dimensione enigmatica e imperscrutabile. Soprattutto con Sant’Agostino la coscienza si identifica con l’anima. E’ radicalmente personale e in relazione costitutiva con un Dio altrettanto personale. Da queste premesse diventa chiaro come la coscienza, espressione fenomenologica dell’anima, sia la linea di demarcazione tra esseri umani e non umani. E in questo modo diventa un problema difficile, non risolvibile dal punto di vista scientifico. Da questa tradizione derivano i giudizi antropocentrici che hanno segnato questi secoli fino ad oggi: gli animali non hanno coscienza e fino al secolo scorso nemmeno i neonati. La coscienza come proprietà ineffabile ed esclusiva dell’essere umano diventa impossibile da riprodurre e allo stesso tempo da spiegare. Un puro flatus vocis.

Gallagher. Vorrei aggiungere il filosofo persiano Avicenna che, nell’XI secolo, propose un esperimento mentale direttamente rilevante per la questione della coscienza. Si chiama esperimento dell’uomo volante (o fluttuante). Se immaginiamo un uomo completamente formato che viene alla luce senza alcuna esperienza precedente, fluttuando nel vuoto, e rimuoviamo tutti gli input sensoriali e tutti i movimenti in effetti, eliminiamo tutti gli input corporei, quest’uomo avrebbe ancora consapevolezza di sé o, in altre parole, sarebbe ancora cosciente? Avicenna risponde , perché l’anima ha un’autocoscienza intrinseca che non dipende dal corpo.

Viale. Secondo me, invece, se ci interrogassimo sugli aspetti fenomenologici del nostro stare al mondo ci accorgeremmo dell’inutilità del concetto di coscienza. Proviamo ad esempio a immaginarne la sua applicabilità con il meccanismo della sottrazione dalla sua massima espressione alla sua minima o nulla. Si parte dall’alto con la capacità di prestare attenzione nella risoluzione di un problema o nella percezione visiva e uditiva stimolata dagli psicoanalettici (come le anfetamine); poi la stessa situazione quando si è stanchi o sotto l’effetto di tranquillanti; poi ai comportamenti inconsci automatici e di ruotine come guidare un’auto o ai movimenti in uno sport conosciuto; poi a varie condizioni patologiche di deprivazione percettiva in cui si parte dal deficit di una funzione per arrivare a quello di tutte le funzioni; poi il sogno con contenuti visivi; infine la cosiddetta perdita di coscienza fino al coma profondo. Vediamo in tutte queste situazioni, tranne l’ultima, un progressivo indebolimento o riduzione di ciò che il senso comune chiama coscienza. In altre parole, la coscienza sembra derivare da una serie di funzioni cognitive, cerebrali e corporee che potrebbero di fatto sostituire l’uso del termine stesso. Diventa solo un’etichetta linguistica vaga, applicabile a varie diverse situazioni di espressione della cognizione incarnata.

Gallagher. Come fenomenologo voglio difendere l’idea che parlare di coscienza aggiunge qualcosa alla nostra comprensione della cognizione. Consideriamo alcuni esperimenti condotti con pazienti ciechi. La vista cieca è una condizione in cui, a causa di un danno alla corteccia visiva e nonostante il fatto che i suoi occhi continuino a funzionare normalmente, il paziente è parzialmente cieco. E’ possibile impostare esperimenti per presentare oggetti nel campo cieco del paziente. Se chiedi al paziente che cosa vede, ti dirà che non vede nulla nel campo presentato. Ma se lo costringi a indovinare tra diverse alternative, identificherà correttamente l’oggetto in quel campo in un’alta percentuale di prove. La spiegazione della vista cieca è che alcune delle aree non danneggiate del cervello del paziente continuano a ricevere informazioni visive e che, sebbene egli non sia cosciente di nulla nel suo campo cieco, le informazioni non consce stanno informando la sua ipotesi. Si dice che percepisca l’oggetto inconsciamente. Qual è la differenza tra percezione non conscia e percezione cosciente? Senza introdurre il concetto di coscienza non si può spiegare questa differenza.

Viale. Allora sei d’accordo che anche gli animali possiedono una coscienza in misura diversa gli uni dagli altri. E potrebbero averla anche le macchine, se solo fossero dotate di un corpo capace di sentire esternamente e internamente (altrimenti ci sarebbero solo cervelli o algoritmi nella vasca). Susan Calvin, la robopsicologa del libro “Io, Robot” di Isaac Asimov, se ne rende conto quando si trova a fronteggiare una serie di presunte anomalie nel funzionamento degli automi. Come ne è consapevole Charlie Friend (il protagonista del romanzo di Ian McEwan, “Macchine come me”, Einaudi), quando inizia a cogliere la profonda sensibilità e intelligenza di Adam, il robot umanoide che aveva acquistato per hobby.

Gallagher. Sì, e sembra che la questione della coscienza nei robot e nei sistemi di intelligenza artificiale sia diventata meno fantascienza e più vicina a una questione scientifica. Una cosa che dovremmo chiarire è che esiste una differenza tra intelligenza e coscienza. ChatGPT, ad esempio, è un sistema intelligente, ma non è cosciente. Dovremmo anche dire che esistono diversi tipi di intelligenza. Di solito si distingue tra sapere che qualcosa è vero (o conoscere molti fatti) e sapere come fare qualcosa. Ad esempio, potrei leggere un libro che fornisce una descrizione dettagliata su come andare in bicicletta; ma se non sapessi andare in bicicletta, leggere quel libro non mi permetterebbe di salire su una bicicletta e guidarla. Imparare ad andare in bicicletta richiede pratica fisica e l’istituzione di abitudini motorie specifiche, alcune delle quali diventano rapidamente inconsce man mano che si migliora nella guida. Se è corretto, allora anche se ChatGPT conosce molti fatti e può sviluppare una teoria o una serie di istruzioni su come fare qualcosa, anche se è collegato a un robot, ciò non garantirebbe che il robot possa semplicemente fare il compito.

Viale. La dimensione corporea distribuita della nostra cognizione si manifesta in molti fenomeni. L’esempio più eclatante è l’asse mano-cervello che spiega le abilità manuali degli artigiani e degli artisti. L’azione sembra precedere la sua rappresentazione mentale e i processi esecutivi che essa implica. Michael Polanyi, il grande filosofo ungherese, lo aveva già intuito quando introdusse il concetto di conoscenza tacita per spiegare le abilità pratiche di artigiani e inventori.

Gallagher. Quella che è stata chiamata cognizione 4E (incarnata, situata, estesa ed enattiva) sfida molti dei presupposti stabiliti nella scienza cognitiva classica. In contrasto con l’attenzione neurocentrica sui processi cerebrali o sugli stati mentali e sulle rappresentazioni nella testa, le 4E generalmente enfatizzano il ruolo della struttura anatomica del corpo, così come i sistemi affettivo, autonomo, enterico (intestino) che coinvolgono i livelli ormonali, processi dinamici chimici e non neurali, nonché vari fattori ambientali, dove l’ambiente include non solo quello fisico, ma anche altri fattori sociali, culturali e normativi. Pensiamo soltanto alla ipotesi nella quale il nostro corpo umano si evolvesse diversamente. Ad esempio, cosa succederebbe se ci evolvessimo senza mani? Ciò probabilmente cambierebbe una serie di altre caratteristiche anatomiche, ma avrebbe anche un profondo effetto sul nostro cervello, che si evolve con il nostro corpo. Come suggeriva l’antico filosofo greco Anassagora, gli esseri umani sono intelligenti perché hanno le mani. Può darsi che la stessa razionalità umana sarebbe diversa se ci evolvessimo senza mani.

Viale. Sicuramente uno degli impatti più interessanti riguarda la spiegazione dell’agire umano in ambito psicologico, sociale ed economico. La teoria del processo decisionale confina l’azione umana in una mente calcolatrice distaccata dalla realtà e situata in una torre d’avorio disincarnata. Ciò non coglie la dimensione dell’interazione attiva con l’ambiente e l’importanza del contesto e della situazione specifica in cui si svolge l’azione.

 

Riccardo Viale                                             Shaun Gallagher