Note sulla storia della follia

La “nave dei folli”: scacco alla ragione

 

Alla fine del Medioevo la lebbra si ritira dall’Occidente dopo aver rappresentato per secoli il simbolo più scabroso del Male. Il personaggio del lebbroso come emblema dell’esclusione viene sostituito da quello del folle. Con questa osservazione storica inizia la celebre “Storia della follia nell’età classica” di Michel Foucault. E’ in questo passaggio dalla lebbra alla follia che prende corpo la figura letteraria e leggendaria della “Stultifera navis” che, come ricorda Foucault, “ha ossessionato l’immaginazione di tutto il primo Rinascimento”. Si tratta di uno strano battello costipato di folli che naviga senza una meta lungo i fiumi e del quale il fiammingo Bosch ha offerto una straordinaria raffigurazione alla fine del ‘400 nel suo “Nef des Fous”. Qui la follia esprime l’ombra che accompagna la vita umana e dal cui spettro essa vorrebbe liberarsi. La sua dimensione tragica incarna ambiguamente l’orrore e la fascinazione per l’ignoto. L’oscuro, il Male, la Morte, l’eccesso, tutto ciò –insomma- che costituisce il limite della ragione diurna. E’ quello che simboleggia la strana imbarcazione della Nave dei folli: l’esclusione prende le forme di un allontanamento non solo territoriale –dalla terraferma al mare- ma soprattutto mentale dall’ordine della città.

Destinata a vagare senza meta sulle acque, la follia viene isolata e segregata. Non appartiene all’umano ma è una forma subumana del Male totalmente estranea al regno terso della Ragione. Come ricordano già Diderot e D’Alembert nella loro “Enciclopedia”, i deliranti sono coloro che, etimologicamente, escono dal solco normale della Ragione. Sono i devianti, gli spettri, i mostri, i degenerati, gli anormali destinati all’erranza perpetua. Il folle è un randagio, senza casa, senza radici, senza identità, espulso, come accadde per il lebbroso, dalla Comunità degli umani.

Il gesto violento che li scaccia dalla vita della polis definisce retroattivamente la natura immunitaria della Comunità dei normali. Il folle è infatti considerato un tabù, un corpo estraneo che deve essere spurgato, allontanato, escluso. I marinai diventano allora i loro custodi: essere stivati nella Stultifera navis e abbandonati sulle acque manifesta l’esigenza di un rituale simbolico di purificazione ma anche un imprigionamento senza alcuna possibilità di redenzione. La libertà di una navigazione senza rotta è, in realtà, una schiavitù impossibile da riscattare. Non siamo ancora al tempo dell’internamento medico-psichiatrico dei folli. La Stultifera navis non è un ospedale, non è un dispositivo ordinato, non è ancora il risultato di una pratica programmatica di segregazione. E’ piuttosto il tentativo di una cancellazione della follia da ogni diritto di cittadinanza.

In questo senso, come fa notare Foucault, l’esperienza della follia continua silenziosamente quella della lebbra poiché ciò che si cerca di cancellare è innanzitutto l’esperienza stessa della Morte come esperienza che la Ragione può governare. Foucault vede nel “Cogito ergo sum” di Cartesio l’origine di quella distinzione inflessibile tra normalità e follia che prepara l’istituzionalizzazione segregativa del folle. L’esercizio della Ragione escluderebbe, infatti, per principio la possibilità della follia. La Ragione –diversamente da quello che Freud mostrerà- non può ospitare nel suo seno la follia senza contraddirsi. La Ragione è misura, ordine, discriminazione delle differenze, capacità di giudizio, discernimento, sensatezza. La follia viene, dunque, esiliata dal pensiero prima ancora che dalla città: “Se l’uomo può sempre essere folle –scrive Foucault-, il pensiero –come esercizio della sovranità da parte di un soggetto- non può essere insensato”. Il pensiero non può ospitare il suo contrario; il pensiero non può essere insensato.

La fondazione della Ragione avviene dunque sulla esclusione della sua ombra. La Ragione deve essere resa immune dal morbo della follia. Per questo la sua fondazione coincide con l’attivazione di procedure materiali di esclusione. Il tempo mitico della nave dei folli che viaggia nella sua solitudine disperata all’aperto, lontana dalle mura delle città, è destinata a lasciare il posto nel corso del XVI secolo all’edificazione delle prime grandi case di internamento che non a caso spesso sfruttano il sostegno delle mura degli antichi lebbrosari. La Ragione può guadagnare la propria identità solo sul fondamento dell’espulsione-recinzione-segregazione dell’alterità del folle: confinare il tabù della sragione è l’atto politico fondamentale sul quale si fonda il regno della Ragione.

In questa nuova prospettiva, secondo Foucault, la follia è destinata a smarrire ogni sua dimensione tragica per essere ridotta, come accadrà da lì a breve, a mera malattia del cervello. La sua segregazione istituzionale, come ha indicato con forza Franco Basaglia, avviene sul principio della sua disumanizzazione di fondo. Ma, come la psicoanalisi insegna, ogni politica di esclusione dell’Altro è destinata a vedere ritornare all’interno quello che viene rigettato ferocemente all’esterno. E’ la lezione tragica del Novecento: la Ragione che nel nome della difesa della sua purezza emargina la follia è la stessa che si rivela folle proprio in questa sua spinta auto-affermativa. Tutte le politiche puriste e fondamentaliste di anti-contaminazione portano in se stesse il germe della follia più grande.

 

                                                        Massimo Recalcati

 

Articolo pubblicato in “Repubblica”, domenica 29 maggio 2016, p. 62