San Paolo fu il Trotsky del cristianesimo
Corrado Augias narra colui che rese universale la parola di Gesù
Il Corriere della Sera dell’1 di ottobre 2023 pubblica questo articolo di Aldo Cazzullo, a pag. 31.
Paolo di Tarso –l’uomo che ha dato al cristianesimo la dignità culturale, che ha conciliato la predicazione di Gesù con la classicità- sta entrando ad Atene, la città dove la filosofia e la letteratura classiche sono nate. Da tempo Atene è solo l’ombra della grandezza passata. Certo, Graecia capta ferum victorem cepit, la Grecia conquistata conquistò il rozzo vincitore, come aveva scritto Orazio: il mondo romano si è abbeverato alla fonte della sapienza e della bellezza dei Greci. Tuttavia l’antico baluardo dell’Ellade è divenuto un centro secondario.
Paolo sbarca al Pireo, e si incammina verso il centro a piedi. Con lui non c’è nessuno. Scrive Augias: “Da quanto Paolo sa, per sentito dire, la spiritualità di Atene è poco più della consacrazione religiosa del patriottismo; nelle divinità di quel popolo non c’è nulla di universale, nulla di infinito, nonostante siano divinità sorte dalla bellezza di una lingua e di una poderosa civiltà”. La religione dei Greci è mito, è letteratura, più che misticismo o spiritualità; e quelle divinità così simili agli uomini, nelle loro virtù e più ancora nei loro vizi, sono quanto di più lontano si possa immaginare da un uomo inquieto, nevrotico, febbrile, posseduto da Dio come Paolo.
Eppure, in una via di Atene, Paolo nota un altare con un’iscrizione misteriosa: “Al dio ignoto”. Ha una folgorazione. E nell’Areopago, nel luogo sacro dove si era riunito il consesso che aveva giudicato il matricida Oreste inseguito dalle Erinni, Paolo comincia il discorso proprio da lì; è venuto ad annunciare quel Dio di cui gli ateniesi hanno intuito l’esistenza, ma di cui non sanno nulla.
L’espediente retorico è efficace. I saggi greci ascoltano con attenzione quell’ebreo cittadino romano venuto da fuori. Ma subito Paolo tenta l’azzardo. E perde tutto il proprio credito con la stessa rapidità con cui l’aveva conquistato. Paolo annuncia Cristo. Parla del figlio di Dio che è resuscitato dai morti. E qui l’uditorio comincia a ridere e a inveire contro di lui. Qualcuno è sinceramente divertito. Altri sono seccati, si sentono presi in giro. Nessuno lo considera sul serio: nessuno mai è resuscitato dai morti. Il discorso di Paolo –Paolo il sapiente, Paolo che parla greco e conosce le leggi di Roma- ad Atene è un fallimento totale. Eppure lui tiene il punto: senza la resurrezione, non c’è il cristianesimo. Non la semplice immortalità dell’anima, a quella erano arrivati anche i farisei: la resurrezione della carne.
Dobbiamo partire da qui, per ritrovare nella nuova opera di Corrado Augias, “Paolo. L’uomo che inventò il cristianesimo”, Rai Libri, il percorso che trasformò il persecutore dei cristiani nel più zelante apostolo di Gesù, e che fece di una piccola setta la più potente e vasta comunità religiosa del mondo. Uno degli sforzi più titanici nella storia dell’umanità. Eppure di quell’uomo, dell’inventore della nostra religione come lo definisce Augias, sappiamo pochissimo. E non lo preghiamo, non lo citiamo, non lo veneriamo. Giusto qualche passo di qualche lettera, spesso di difficile comprensione, forse i momenti della messa in cui i fedeli sono più distratti.
Scrive Augias che “il suo carattere aspro e l’altezza del suo pensiero hanno contribuito non poco ad allontanarlo dalla pietà popolare. Paolo non è un santo che incute tenerezza, come per esempio Francesco di Assisi. Paolo può ispirare rispetto, persino ammirazione, ma certamente non sentimenti affettuosi. Nietzsche lo definisce “uomo molto tormentato, degno di commiserazione, molto importuno e importuno a se stesso”.
Eppure a Paolo dobbiamo tutto. Fu lui a convincere Simon Pietro –uomo profondamente buono ma lontano dalla sua altezza intellettuale- a predicare la parola di Gesù nel mondo. Fu lui ad affrontare Giacomo, fratello di Gesù, che voleva mantenere il nuovo credo dentro una piccola schiera: un’attitudine che Augias accosta –con una metafora audace- a quella di Stalin, fautore del socialismo in un solo paese, contrapposta a quella di Lev Trotsky, convinto che la rivoluzione andasse esportata in tutto il mondo. Paolo è Trotsky. Come Trotsky viene tolto di mezzo, muore di morte violenta. Ma la sua visione prevale, la sua idea vince, il suo credo diventa universale e si rivela duraturo.
Resta il fatto che di Paolo sappiamo poco. E allora viene in soccorso la penna dell’autore. Dove mancano notizie certe, Augias romanza, interpreta, deduce, racconta: a cominciare dal mistero della conversione, la caduta sulla via di Damasco, che ispirò Michelangelo e Caravaggio. E poi la traversata del deserto, la scoperta dell’amore fisico, il lavoro di fabbricante di tende, le persecuzioni, le fughe, i cimenti. E L’ombra di Giuda, cui sono dedicate pagine bellissime: non Giuda il traditore, ma Giuda l’amico di Gesù, talmente fedele da sacrificare il proprio nome pur di adempiere le profezie (Quello che devi fare, fallo in fretta).
Dietro l’eleganza impeccabile, il tratto distaccato, la divulgazione gentile, Augias è uomo di grandi passioni, forse anche di tormenti. Consapevole che “i grandi visionari, gli uomini posseduti da una forza missionaria e profetica sono, come il vetro, molto duri ma anche molto fragili. Sanno di essere circondati da nemici, tuttavia procedono nella loro azione, attirano a sé nuovi adepti consapevoli che la loro vita è perennemente sospesa su un baratro”.
Aldo Cazzullo