Significato del Circolo culturale Palazzo Tenta di Bagnoli Irpino (Av)

L’articolo è stato pubblicato sul bollettino dell’Associazione, “Fuori dalla Rete”, nel febbraio 2008.     

 

 

 

 Significato e funzioni del Circolo Culturale “Palazzo Tenta 39”

 

“Ci sono due verità a cui gli uomini non crederanno mai: l’una di non sapere nulla, l’altra di non essere nulla” ( Zibaldone, Giacomo Leopardi).

 

Quando nella scorsa estate si parlava in piazza a Bagnoli, tra amici, dell’idea di dar vita a un circolo culturale eravamo tutti consapevoli di rimasticare un bisogno che ci frullava in testa da anni e che mai si era riusciti a concretizzare. Era diventato un luogo comune il constatare il deserto di iniziative, di incontri, di dibattiti, che testimoniassero la volontà di partecipare, discutere e confrontarsi della società civile bagnolese. Si era rimasti sempre alle lamentazioni. Per passare ai fatti occorreva che, nel paese, fossero disponibili persone capaci di assumersi responsabilità in proprio, capaci di suscitare passione e speranza, incuranti anche di critiche e borbottii. Poi, quasi per incanto, tutto si è materializzato in poco tempo.

In verità, in questi ultimi due anni la voglia di informarsi e di comunicare aveva già trovato forma nella pubblicazione di un giornalino periodico, il Che Guevara (che ha svolto una funzione molto importante dando voce a tutti coloro che hanno voluto testimoniare di persona le proprie idee, sollecitando anche una diretta assunzione di responsabilità), e nell’infittirsi di lettere che raccontavano e postillavano –in modo vario e pirotecnico a volte- le vicende del paese, suggerendo rimedi e correzioni.

In contemporanea con la creazione del Circolo Culturale Palazzo Tenta 39 si è aperto un dibattito sull’utilità e positività dell’iniziativa. Ho letto, nei mesi scorsi, giudizi positivi e note di caloroso appoggio e articoli nettamente critici. Avendo io partecipato alla fondazione dell’associazione è naturale che condivida le valutazioni che esprimono simpatia e partecipazione. Vorrei tentare di spiegare, comunque, a tutti i cittadini bagnolesi, e soprattutto ai più ostili, le ragioni che sono a fondamento della nostra scelta.

Intanto è opportuno sgomberare il campo da quello che, mi sembra, è stato da alcuni ritenuto l’equivoco principale: il Circolo non nasce con obiettivi politici ma con finalità di formazione culturale e di educazione civile.

Si sa che in ogni società storica il potere politico è stato sempre detenuto da piccole minoranze organizzate; nelle democrazie moderne si è dato luogo agli apparati dei partiti di massa e, col disappunto di taluni e anche mio, al professionismo politico. I partiti selezionano in modi vari la loro classe dirigente. Saranno loro, per libera scelta, a determinare i modelli preferiti: consessi di notabili con supporto di clientele, comitati di affari più o meno leciti, militanza generosa e appassionata e disinteressata. In una democrazia moderna alle persone si dovrebbe chiedere sempre e soltanto: Che cosa sai fare? Invece che: chi ti manda, chi ti raccomanda? A quale partito, a quale famiglia appartieni?

Si deve decidere, però, cosa si vuole: un sistema che premia le insipienze e gli imbrogli o una democrazia efficiente e responsabile? Si veda lo spettacolo tragico e terribile dell’immondizia, non differenziata e non raccolta che, a migliaia di tonnellate sommerge le strade della Campania, in un intreccio di complicità tra criminalità organizzata e non, interessi politico-elettorali, affarismo economico, lazzaronismo plebeo, assenza di un elementare senso civico. E’ il fallimento di un’intera classe dirigente, che resta abbarbicata al potere – trasmissibile anche per via dinastica- e che non dimostra il minimo senso di responsabilità politica e civile.

Ma noi abbiamo altre finalità, non vogliamo interferire in questi processi di cui magari –nelle sedi partitiche dovute- noi stessi, o alcuni di noi, sono o possono diventare co-protagonisti. Non a caso da subito abbiamo sottolineato la trasversalità politica come fulcro della nostra scelta: avere la possibilità, importantissima, di poter confrontare –liberi per quanto possibile da settarismi e faziosità- personalità appartenenti a campi ideologici diversi e con formazione culturale plurale, proprio per arricchire le possibilità di ascolto, le curiosità metodologiche, l’approfondimento critico. Il nostro spazio pubblico significa discussione pubblica, rinvio degli argomenti dagli uni agli altri, confronto alla pari. E’ come se dicessimo: ogni commento è ben accetto, c’è così tanto da dire ancora, proseguiamo questa conversazione.

In un’epoca come quella che stiamo vivendo, segnata fortemente da pessimismo e disincanto, tutta centrata sul potere del denaro e delle merci, non si dà spazio sufficiente al consumo dei beni di relazione, cioè a quelli che ci arricchiscono gratuitamente. Questo avviene invece nello scambio delle idee: se ci scambiamo un euro, ciascuno resta con un euro; se ci scambiamo un’idea, ciascuno resta con due idee. Dobbiamo coltivare le differenze, cercare di educare le diverse anime che sono in noi stessi, secondo le ore del giorno, le stagioni dell’anno e i libri che leggiamo e la musica che ascoltiamo. Non si dà una sola Ragione con la maiuscola ma tante ragioni quante sono le culture all’interno delle quali un certo canone razionale si è costituito, garantendo a quella cultura la propria sopravvivenza e la tradizione da trasmettere alle generazioni future. Se davvero ci fosse una ragione capace di verità oggettive e di Assoluto sarebbe inutile la democrazia e più in generale la discussione tra gli uomini.

Sono perciò convinto che solo la grande disponibilità al dialogo e all’ascolto delle idee degli altri potrà garantire un futuro meno travagliato anche ai difficili esperimenti in atto in questo momento nell’orizzonte politico italiano. Mi riferisco alle iniziative che intendono dar vita a un grande partito moderato di centro-destra, a quelle che contrassegnano il confronto e la volontà unitaria tra le varie anime della sinistra radicale; e soprattutto alla scommessa che sta a fondamento della nascita del Partito Democratico: unione storicamente complessa perché vede confluire tradizioni nobili e antiche, quali il solidarismo democratico cattolico, il pensiero e l’organizzazione del comunismo italiano (all’origine Antonio Labriola e Gramsci: un intrico significativo tra marxismo e crocianesimo), correnti socialiste e liberali, come già è rivelato dalle polemiche di questi giorni su laicità e clericalismo.

Con il nostro Circolo vorremmo rivolgerci all’opinione pubblica, non all’emozione pubblica bagnolese. Esercitare l’uso della ragione, non appassionarci al pettegolezzo e alla maldicenza. Operare su un’idea di libertà come esigenza morale e provare a costruire la figura del soggetto come persona autonoma. Il nostro circolo non potrà essere un semplice chiacchiericcio senza fine ma un luogo in cui si definiscono temi, si discutono problemi, si compiono scelte e si difendono valori, tutto sempre alla luce del sole, in una casa di vetro dalle pareti trasparentissime. Sono consapevole che l’uguaglianza culturale non è raggiungibile, che i bisogni della gente sono diversi, segnati anche dal tempo e dalla storia. Cento anni fa tante persone erano analfabete ma erano anche, a volte, capaci di affascinante affabulazione; oggi quasi nessuno, per quanto istruito, sa più raccontare. Siamo tutti diventati spettatori consumatori, e la TV è lo strumento ideale della nuova volgare mediocrità. La nostra attenzione è distratta intermittente fluttuante, si è adeguata al ritmo degli spot pubblicitari. Mai come oggi, pur con un diluvio continuo di notizie e forse proprio per questo, le classi sociali sono divise per quantità e qualità di informazione, soprattutto per mancanza di selezione critica.

Da questa estate, in cui è nata l’idea, abbiamo visto il progetto prendere forma e forza e diventare un’iniziativa vera, percorribile e pragmatica. Penso che la nostra associazione non diventerà arbitraria, partigiana o arrogante e che cercherà e ascolterà tutti i consigli. Non dovremo prendere mai la strada più facile e breve ma sostenere approcci a lungo termine, usare tutti i mezzi di comunicazione possibili, a partire dalla Rete, per indagare, per raccontare le storie, per conoscere, per sapere. Sentire il polso del paese e del mondo, far emergere contemporaneamente voci e immagini (bagnolesi) dal territorio comunale, dalla Campania, dall’Italia e –non esagero- da tutto il pianeta. La tecnologia, con Internet, ci consente ora di superare spazio e tempo, di informare ed essere informati: perché non sollecitare i tanti bagnolesi che vivono in Italia e all’estero a stabilire, in rete, contatti permanenti e a diventare le nostre finestre, le nostre orecchie e il nostro radar? Potrebbero aprirsi delle possibilità insperate. E questi spunti possono essere finalmente raccolti dai nostri giovani, ragazze e ragazzi. Sono essi, informati-tecnologici-appassionati, che devono prendere in mano il loro e il nostro destino. Essi si trovano a vivere, in questi anni, una ben strana condizione: essere coccolati e vezzeggiati dal sistema produttivo e mediatico come consumatori sfrenati in una vetrina sociale luccicante e, al tempo stesso, sfruttati emarginati e deprivati come produttori precari di lavoro e di cultura. E’ una contraddizione insanabile e insostenibile: per quanto tempo ancora sarà possibile tollerarla? Bisogna avere il coraggio di dirlo ai nostri giovani, soprattutto in un tempo ludico come questo. La cultura vera è affascinante ma non facile; la divulgazione deve farci intuire la profonda complessità di quel problema o di quell’autore e metterci addosso la voglia di esplorarli: con strumenti e parole che –dobbiamo saperlo- non sono, e non possono essere, immediatamente accessibili a tutti.

 

Vorrei finire, paradossalmente ma non tanto (il nostro è un circolo culturale), raccontando una storia. E’ un mito greco, scritto in versi da Ovidio al tempo di Augusto. Lascio ad ognuno la libertà di interpretare. La leggenda narra di una madre, la regina Altea, che –quando stava per partorire il suo primo figlio- era stata visitata dalle Parche, che avevano  posto sul fuoco accanto a lei, tormentata dai dolori del parto, un pezzo di legno pronunciando un incantesimo: “La stessa durata diamo al legno e a te, o neonato”. La madre aveva subito sottratto il tizzone alle fiamme e lo aveva bagnato con l’acqua fresca. Da allora quel legno era rimasto nascosto nel punto più segreto della casa, mentre il bambino, di nome Meleagro, era cresciuto ed era diventato un grande eroe. Passano degli anni. La dea Diana, incollerita con gli abitanti di Calidone (era questo il nome del regno), manda un terribile cinghiale, “più grande dei tori delle campagne siciliane”, a infestare quelle terre e quei campi distruggendo le colture di grano, della vite, dell’ ulivo e infuriando anche contro le greggi e le mandrie. Meleagro e altri giovani, desiderosi di gloria, organizzano una spedizione per uccidere la belva. La lotta dura a lungo e con esiti incerti, finché Meleagro la uccide. Il giovane vuole regalare le spoglie del mostro ad Atalanta, vergine stupenda, contro la volontà di due zii, fratelli di sua madre. Vengono a litigio e lui li uccide entrambi. Quando nella reggia si viene a sapere la notizia della sciagura la madre, che sta portando doni ai templi degli dei per la vittoria del figlio, cambia le sue vesti dorate in vesti nere e la sua gioia si converte in compianto e il compianto in sete di vendetta. La regina tira fuori l’antico legno, ordina di preparare un mucchio di stecchi e, quando è pronto, vi appicca il fuoco. Quattro volte è lì per porre il ramo sul fuoco e quattro volte si trattiene: la madre combatte in lei con la sorella, si dibatte in preda a impulsi contrastanti, infine con mano tremante getta il legno in mezzo al fuoco gridando: “Si estingua il nostro sciagurato casato con questo accumularsi di lutti”. Il legno emette un gemito, o almeno così sembra. Le fiamme, benché riluttanti, lo afferrano e lo bruciano. Meleagro, ignaro e lontano, è arso da quel fuoco: sente le viscere seccarsi per un calore misterioso e sopporta con coraggio gli atroci dolori. Si rammarica tuttavia di morire di morte ingloriosa e invoca i suoi parenti, gemendo, e la moglie, e forse anche la madre. Il fuoco e lo strazio crescono; a poco a poco: 

“Piano piano dilegua lo spirito nell’aria leggera / mentre una bianca cipria di cenere vela le braci piano piano”

“Inque leves abiit paulatim spiritus auras / paulatim cana prunam velante favilla” (Ovidio, Metamorfosi, libro VIII, vv. 524-5).

Piangono tutti a Calidone, il padre sporca di polvere i bianchi capelli e impreca contro la propria vita, troppo lunga; la madre si è punita cacciandosi un ferro nel ventre; le sorelle si premono contro il petto manciate di cenere e si buttano distese sul tumulo. La dea Diana, sazia di vendetta, le trasforma in galline faraone e le manda per il cielo.

Così finisce la nostra tristissima storia: una metafora di guerra familiare e intestina, che dovrebbe invitarci alla meditazione.

Chissà se questo mito ha un significato leggibile da tutti noi ma mi è piaciuto raccontarvelo anche solo per far gustare la leggerezza di quei due versi bellissimi, delicati e malinconici, che fanno nascere nella memoria una quantità inesauribile di echi ma che constatano sopra ogni cosa la realtà umanissima della morte e dell’infinita vanità del tutto.

                                                                                 

Li 10 gennaio 2008

Gennaro Cucciniello