Quattro racconti perduti di Italo Svevo per un amico di nome James Joyce

Quattro racconti perduti di Italo Svevo per un amico di nome James Joyce.

Risalgono al 1926 e furono scritti per una conferenza, a Trieste, dedicata al grande scrittore irlandese.

 

Nel quotidiano “la Repubblica”, sezione R2, di venerdì 10 novembre 2017, alle pp. 44-45, è stato pubblicato un articolo di Raffaella De Santis di commento al ritrovamento di quattro racconti brevissimi di Italo Svevo. Alla fine dell’articolo pubblico anche il testo di uno dei racconti.

                                                                  Gennaro  Cucciniello

 

La storia dell’amicizia tra Italo Svevo e James Joyce si arricchisce di un nuovo capitolo. Quattro racconti brevissimi che Svevo scrisse in preparazione della conferenza dedicata allo scrittore irlandese tenutasi a Trieste al circolo “Il Convegno” nel 1927. I dattiloscritti inediti sono stati di recente acquistati dalla Biblioteca Nazionale di Roma. Raccolti sotto il titolo “Storie di un uomo rispettabilissimo” e firmati con il vero nome dello scrittore, Ettore Schmitz, sono arrivati nelle mani di un libraio antiquario triestino che si era messo da tempo sulle loro tracce. E’ lui, il libraio Simone Volpato, ad averli poi venduti alla Biblioteca. Negli apologhi Svevo si diverte a giocare con i temi classici della sua opera: c’è in tutti un personaggio che aspira alla gloria letteraria ma non ce la fa a coronare il proprio sogno.

Dopo aver pubblicato tre romanzi, tra cui il recente “La coscienza di Zeno” (1923), Svevo potrebbe godersi il sospirato successo che sta finalmente arrivando grazie all’Omaggio che gli aveva tributato Eugenio Montale e al sostegno del suo amico Joyce. Invece sullo scrittore pesano ancora le stroncature, compresa quella di Giuseppe Prezzolini, ferite che lo tengono inchiodato al personaggio dell’inetto protagonista di questi inediti. Il primo raccontino, scritto come gli altri nel 1926, è il più bello e assurdo, di umorismo british. Un uomo “rispettabilissimo”, figlio di una famiglia di negozianti, muore all’improvviso. Il giorno del funerale riesce ad aprire gli occhi e a sentire cosa gli altri dicono di lui. Scopre allora che la sua fama di letterato è fasulla, che l’editore era stato pagato dalla famiglia per pubblicarlo e che le trionfalistiche recensioni erano su commissione. Finale a sorpresa.

“Inseguivo queste carte da molto tempo”, dice Simone Volpato. E ne svela il misterioso backstage. “Appartenevano all’archivio del Centro studi triestino Giani Stuparich, dismesso dopo la morte della sua creatrice, Anita Pittoni. Da allora molti documenti sono andati all’asta, altri sono finiti in mano agli eredi”. Il fondo, che custodiva –tra gli altri- scritti di Saba, Virgilio Giotti, Bobi Bazlen e Scipio Slataper, si è disperso in mille rivoli. Volpato, che a Trieste gestisce la libreria antiquaria Drogheria 28, sapeva dell’esistenza di questi scritti per averne trovato traccia nelle carte di Anita Pittoni, la donna amata da Stuparich che a Trieste animava un ambito salotto letterario. Da lì è partita la caccia. Volpato è riuscito a rintracciare un erede di Anita e a comprare i dattiloscritti prima che finissero all’asta. Ne ha poi proposto l’acquisto alla Biblioteca Nazionale di Roma, dove ora sono esposti nel museo letterario Spazi900, ideato dal direttore Andrea De Pasquale. “Vogliamo riprendere l’antica tradizione delle biblioteche ad ospitare un museo. Per questo stiamo lanciando un nuovo allestimento e abbiamo comprato anche un diario di Filippo De Pisis, un volumetto di Sandro Penna (Versi intimi) e il manoscritto autografo della poesia “A mia moglie” di Saba”.

Ma veniamo a quella conferenza che preoccupa Svevo. Lo scrittore sa che dovrà parlare dell’opera dell’autore dell’Ulisse e non si sente all’altezza nei panni del critico letterario. Studia per giorni il suo intervento, è teso. Svevo e Joyce sono grandi amici, si sono conosciuti a Trieste nel 1905 quando Svevo era andato a prendere lezioni d’inglese alla Berlitz School, dove Joyce insegnava. Del loro rapporto e della conferenza tenutasi l’8 marzo del 1927 parla un recente libro di Maurizio Serra, “Antivita di Italo Svevo” (Aragno). “Credo che Svevo scrisse gli apologhi come divertissement, per stemperare i momenti di paura durante la preparazione della conferenza su Joyce”, racconta Eleonora Cardinale, curatrice scientifica del museo Spazi900. Per Svevo quell’impegno era così gravoso da farlo sfogare con Montale in una lettera: “Passai due mesi laboriosi sull’”Ulisse”. M’incantò ma mi distrusse. Poi raccolsi tanto materiale che la mia conferenza sarebbe durata la notte intera. E ora sono al duro lavoro di condensare il tutto in una predica di 45 minuti che –come mi dicono- è l’estensione ammessa. Mai più accetterò una cosa simile”. In uno degli apologhi trasforma l’ansia in boutade, raccontando di un letterato stressato che muore nel mezzo di una conferenza.

Svevo era stato aiutato nel suo lavoro di preparazione al convegno da Stanislao Joyce, il fratello del grande scrittore. Si era addirittura rifugiato a scrivere a casa sua, sommerso da carte e appunti. Quando finalmente arriverà al testo definitivo si ritroverà con una grande quantità di materiale in più da scartare, tra cui le quattro novelle, lasciate poi a casa di Stanislao. Sarà lo stesso Stanislao a donarle nel 1954, un anno prima di morire, ad Anita Pittoni. Sul fatto che siano di Svevo nessuno ha dubbi, né il libraio né la biblioteca. Troppi gli elementi che riconducono allo scrittore: i temi, senza dubbio, ma anche il fatto che i dattiloscritti sono in inchiostro rosso, come spesso le carte di Svevo. Perfino le correzioni a penna, delle piccole cassature fatte con lineette, sono tipiche dello scrittore. Tutto condito da un’ironia fulminante. Uno dei raccontini finisce con lo scrittore di fama che commenta così la morte improvvisa del povero letterato in cerca di gloria: “Anche per i letterati valgono le leggi di Darwin!”.

                                                                  Raffaella De Santis

“Storie di un uomo rispettabilissimo”

 A un uomo rispettabilissimo, figlio di una grande famiglia di negozianti caduti in disgrazia, capitò in modo imprevisto –era di salute ferrea malato di nervi- di morire. E nel giorno del suo funerale, mentre la chiesa si riempiva, fu sorpreso, a insaputa di tutti, di poter aprire gli occhi e vedere quanti fossero giunti ad onorarlo; e di questo fu grato perché non sognava. Fu allora che ebbe certezza del fatto di essere stato un letterato di qualche fama. Ma ben presto, ascoltando le conversazioni, dovette scoprire amare verità.

Venne a sapere che il suo editore, che mai aveva visto di persona, era stato pagato di nascosto dalla sua famiglia per poter stampare libri di gran peso affinché la sua ambizione venisse un po’ nutrita; sentiva che il direttore del giornale locale era stato ampiamente soddisfatto sempre dalla sua famiglia affinché scrivesse del suo libro di racconti con toni trionfali, lodando l’incredibile immaginazione e l’ordinata scrittura; seppe anche che non era vero che il suo libro non si trovava perché molto venduto ma che erano state stampate poche copie e solo quelle per curare la sua gloria di letterato; dovette poi, e ciò gli fece gran male, sentire che la sua famiglia aveva dovuto sopportare, vergognandosi, quella sua malattia e che tutti avevano compassione della sua nullità. A quell’uomo, che ora non si sentiva per nulla rispettabilissimo, convenne per troppo dolore stare in silenzio, chiudere gli occhi, lasciare che il funerale terminasse e che la bara fosse condotta dalla vettura nel cimitero. E così lasciò che accadesse senza timore. Il giorno seguente, mentre la famiglia aveva terminato il pranzo, suo Padre ricordava con piacere di aver incontrato proprio vicino alla tomba di suo figlio, i parenti di un grande scrittore che gli raccontavano di quanto denaro avessero speso per far credere al proprio figlio di essere un valente letterato. “Almeno per quel vizio noi nulla abbiamo pagato” e così concludeva il suo breve ricordo, accendendo una sigaretta prima di andare in Borsa.

 

                                                        Italo Svevo