Emigrazioni e declino dell’agricoltura

Le migrazioni? Si rischia il declino dell’agricoltura.

Cibo e ambiente. L’economista anglo-indiana Bina Agarwal al Forum di Milano della Fondazione Barilla: rapporto di Macro Geo.

 

A Londra il corrispondente del quotidiano “la Repubblica”, Enrico Franceschini, intervista l’economista Bina Agarwal, nel numero di venerdì 1 dicembre 2017, a pag. 52.

 

“Saranno le donne a sfamare il mondo”. E’ questo il messaggio che l’economista anglo-indiana Bina Agarwal, docente di Economia dello sviluppo e dell’ambiente all’università di Manchester, autrice di un libro fondamentale sull’agricoltura di domani, “A field of one’s own: gender and land rights in South Asia”, porterà al forum di Milano della Fondazione Barilla su alimentazione e nutrizione.

Professoressa Agarwal, al convegno di Milano verrà presentato uno studio della think tank Macro Geo sulle migrazioni. Che rapporto c’è tra fame nel mondo, cambiamento climatico e flussi migratori?

Un rapporto cruciale. Secondo tutte le previsioni, il cambiamento climatico sta avendo un drastico impatto negativo sui più importanti cereali alla base del paniere alimentare: grano, mais, riso. In particolare nel Sud Est asiatico e nell’Africa sub-sahariana, dove vive la maggior parte dei poveri della Terra, siamo di fronte a un declino della produzione agricola.

Che impatto hanno le migrazioni sui cambiamenti del sistema alimentare?

La migrazione interna ha un’influenza diretta, perché sposta in uno stesso paese masse di emigranti da regioni che non producono lavoro e cibo in quantità necessarie verso altre più ricche di entrambi. Quella internazionale incide meno sul sistema alimentare e rappresenta di più un problema di assimilazione.

Qual è la tendenza più notevole evidenziata dai suoi studi sul tema?

Oggi la maggioranza degli agricoltori sono proprietari di piccoli terreni, mediamente di appena due ettari l’uno. Vanno aiutati a prosperare perché sono loro a dover sfamare il pianeta. Inoltre, specialmente in Africa ma non solo, una crescente percentuale di questi piccoli agricoltori sono donne. E queste fattorie a gestione femminile hanno limitato accesso alle risorse necessarie per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, nel campo dell’irrigazione, delle tecnologie e dell’accesso ai mercati. Occorre aiutarle perché saranno loro a dover sfamare il mondo.

Perché gli uomini lasciano l’agricoltura?

Fa parte del normale sviluppo dei paesi emergenti. Man mano che procede l’industrializzazione, gli uomini lasciano le campagne per cercare lavori meglio pagati in città. Le donne hanno più restrizioni, perché generalmente devono anche allevare i figli e prendersi cura della famiglia. In Asia e in Africa, il 40-50% dell’agricoltura odierna è in mano alle donne, con punte del 55% in certi paesi. E il fenomeno è in crescita ovunque.

Quali sono le priorità nei loro confronti?

Allontanarsi dai fertilizzanti chimici e dalle alte risorse idriche; puntare di più sull’agricoltura organica e di meno sulle monocolture, stimolando la diversificazione dei raccolti, vantaggiosa sia in chiave ecologica, perché fa bene all’ambiente, che in chiave economica, perché espone a meno rischi creando maggiore equilibrio; e puntare a un diverso sistema di irrigazione.

Dove andare a prendere più acqua?

In cielo, con la raccolta di acqua piovana, da conservare in apposite cisterne. Un metodo antico che anche oggi può essere usato su ampia scala.

Cosa altro serve?

La cooperazione fra piccole fattorie. Se mettono insieme le risorse, possono investire di più in nuove tecnologie, migliorare la conservazione della terra, accedere ai mercati a prezzi più bassi per il loro input e più alti per il loro output. In India ci sono già tre milioni e mezzo di aziende agricole che collaborano in modo organizzato, ma è un movimento che deve crescere ancora a livello mondiale.

E’ raggiungibile l’obiettivo dell’Onu di eliminare la fame mondiale entro il 2030?

Si devono perseguire anche strade indirette. Ne cito una: la difesa e conservazione delle risorse marine. Una grossa quota della popolazione mondiale trae dal pesce le proteine di cui ha bisogno. I danni ambientali che il cambiamento climatico infligge al mare hanno un effetto immediato sulla catena alimentare.

L’11% della popolazione mondiale non ha abbastanza da mangiare, eppure l’obesità è un problema in crescita. Non è contraddittorio?

Sì e no. Da un lato è vero che il mondo ricco consuma e mangia più del necessario, togliendo risorse al mondo povero. Ma dall’altro è anche vero che in Occidente l’obesità cresce proprio fra le fasce più povere della popolazione, per cattiva alimentazione e cattivo stile di vita. Diciamo che i poveri devono affrontare contemporaneamente entrambi i problemi: la fame e l’obesità. Per quanto possa suonare contraddittorio.

 

                   Enrico Franceschini                     Bina Agarwal