Alighiero Tondi, il gesuita comunista.

Se Don Camillo diventa un pericoloso comunista

Chi era Alighiero Tondi? Un gesuita influente che negli anni ’50 si spretò per appoggiare il PCI. Ora un  libro ne ricostruisce la vicenda. Dimenticata. Ma pienissima di ulteriori sorprese.

 

Di liquido allora c’era solo il Tevere. La società era graniticamente spartita tra bastioni della fede e roccaforti del progresso. Nel 1949 il Sant’Uffizio aveva condannato chiunque si avvicinasse, con la militanza o anche solo con il voto, alla Cosa rossa, mentre erano ancora molto di là da venire le aperture democristiane al centrosinistra, e i fermenti che avrebbero portato al cattocomunismo.

Correvano insomma gli anni Cinquanta: si stava di qua o di là, e oggi è difficile immaginare il clamore che poteva suscitare chi attraversasse le linee e si accasasse dalle parti del nemico. Forse perfino gli acuti di Nilla Pizzi in Vola colomba, che vince il Festival di Sanremo nel 1952, ci sono più familiari dei tormenti di monsignor Alighiero Tondi, che nello stesso anno tiene col fiato sospeso l’Italia politica abbandonando la fede e gli onori vaticani e abbracciando il credo comunista. E’ una storia intricata, in cui si rincorrono dilemmi spirituali, scelte politiche, doppi e tripli giochi che lo storico Matteo Manfredini strappa a un oblio pressoché totale nelle dense pagine di “Il gesuita comunista” (Rubbettino editore).

Chiediamo vénia a don Camillo e Peppone, ma per cogliere appieno il fossato che ha separato mondo cattolico e militanza comunista forse nulla è meglio dei quattro fori che Manfredini nota visitando la tomba di Tondi, seppellito a Cavriago (Reggio Emilia) assieme a sua moglie, la senatrice Carmen Zanti. Ancora negli anni ’80 i familiari di lei, comunista figlia di martire comunista, non potevano tollerare la mésalliance tra fede e politica e fecero rimuovere la targa che recitava un semplice “Pregate per noi”.

Ma com’è che padre Tondi, influente gesuita in forza all’Università Pontificia Gregoriana, divenne il professor Tondi, che infiammò le folle di mezza Italia denunciando il malcostume della Chiesa e le segrete trame che legavano Vaticano e neofascisti? Quando il 21 aprile 1952 Alighiero Tondi lascia precipitosamente la sua università sibilando un semplice, “Io non torno, non mi cercate più”, la sorpresa è enorme e sa subito di scandalo personale, sociale, politico. Tondi non era un gesuita qualsiasi, e i suoi superiori confidavano in lui per sondare gli umori del mondo politico romano di destra e di sinistra. Aveva frequentazioni comuniste, ma era soprattutto vicino agli ambienti reazionari che accusavano la DC di Alcide De Gasperi di eccessiva indulgenza verso il pericolo rosso. Erano anni inquieti: il nostro Paese non si era ancora accasato nel boom economico, e la stessa scelta democratica e occidentale appariva fragile, ancora troppo esposta alle incognite delle tornate elettorali. In questo clima infuocato, la prima intervista all’apostata Tondi sul quotidiano comunista Il Paese viene sobriamente intitolata: “Uno degli avvenimenti più significativi del nostro tempo”.

Siccome a pensare male si fa peccato, e spesso si prendono pure delle cantonate, nell’archivio di Giulio Andreotti, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, si trova l’appunto di un informatore che invita a chercher la femme: il gesuita avrebbe avuto una tresca con una donna sposata. Ma a distanza di tanti decenni la verità appare più complessa, per non dire più torbida: da ormai più di un anno padre Tondi era un’efficientissima spia comunista nel cuore pulsante della politica vaticana. Per lui quello intrapreso era stato un itinerario verso la luce, che gli aveva rivelato come “il comunismo fosse l’unica verità dimostrata alla luce della scienza più rigorosa”. Ma il partito di Togliatti era piuttosto refrattario a simili trasporti. Già nel 1951 Tondi sogna segretamente un porto sicuro dove far ripartire vita e carriera, ma il Migliore e i suoi rispondono senza fretta, rimandando il momento dell’iscrizione al PCI. Nel frattempo chiedono prove, ovvero informazioni: negli ultimi suoi mesi da gesuita, padre Tondi partecipa attivamente al tentativo dell’Azione Cattolica di Luigi Gedda di spingere De Gasperi all’abbraccio con i neofascisti. E il Pci ne è informato in tempo reale.

Si può chiamarla lotta politica, sennonché il gioco si fa più duro e più sporco quando le veline di Tondi toccano la rete clandestina del Vaticano nei Paesi dell’Est: in questo caso le sue informative da Botteghe Oscure prendevano direttamente la via di Mosca.

Dopo un anno di confidenze, Alighiero Tondi fece il grande salto: fu chiamato Giuda, impostore, traditore, provocatore bolscevico. Rispose con una serie di seguitissimi articoli in prima pagina sull’Unità, e un paio di libri sul potere vaticano che il solito Andreotti riuscì a impedire che venissero pubblicati da Einaudi: “Si è tentato un passo presso l’omonima Altissima autorità dello Stato, benché siano noti i rapporti tesi con il figlio”, recita un appunto dell’archivio del sette volte presidente del Consiglio. Ma agli attacchi personali Tondi rispose soprattutto con una fortunatissima serie di comizi che, non potendo riempire le piazze per i niet delle Questure, si limitarono a far ribollire di entusiasmo anticlericale teatri e Camere del Lavoro dal Piemonte alla Puglia.

Fu una breve stagione. L’ex gesuita sposò una stimata compagna, ma il Partito si dimenticò presto di lui. Probabilmente perché i tempi erano cambiati, e la sua vicenda s’intonava poco al nuovo dialogo tra fede e ideologia. Ma alla luce delle scoperte di Manfredini è lecito pensare che l’imbarazzo non fosse solo politico o culturale: questa vicenda di spie doveva restare sigillata nel forziere degli anni ’50. Nei decenni seguenti l’isolamento e l’amarezza portarono Tondi a riscoprire prima la fede, poi addirittura il sacerdozio. Morì nel 1984, l’anno della morte di Berlinguer, a Reggio Emilia.

Cresciuto in una famiglia anticlericale si fece prete, da prete diventò comunista, da comunista tornò a servire messa. Troppe abiure ne fanno una figura fuori scala anche per le montagne russe della nostra storia nazionale. Eppure “Il gesuita comunista” racconta di una vita autentica. Estrema, incerta, confusa. Ma senza un giorno d’indifferenza.

 

                                                        Raffaele Oriani

 

Questo articolo di Raffaele Oriani è stato pubblicato ne “Il Venerdì di Repubblica” del 25 settembre 2020, alle pp. 98-99.