Anche le donne erano Sapiens

Anche le donne erano Sapiens

La paleontologa Marylène Patou-Mathis ha dedicato un libro all’altra metà del Paleolitico. E afferma: artiste e cacciatrici, le nostre antenate erano meno sottomesse di quanto si creda.

 

Non chiamateli cavernicoli. I nostri progenitori del Paleolitico erano più avanzati di quanto si creda; e ci sono ottimi motivi per pensare che le nostre antenate, Sapiens e Neanderhal, fossero molto meno sottomesse delle donne dell’era storica.

E’ il quadro tracciato dalla paleontologa francese Marylène Patou-Mathis in “L’homme prehistorique est aussi une femme”, “L’uomo preistorico è anche una donna”, (Allary Editions). 65 anni, una lunga carriera di studiosa e docente, direttrice di ricerca al Cnrs (Centro nazionale per la ricerca scientifica) e insignita con la Legion d’Onore, ha all’attivo altri dieci volumi: dedicati alla preistoria in Europa e soprattutto al bistrattato Neanderthal, presente da 200mila anni sul continente dove circa 40mila anni fa arrivò Homo sapiens. Su questo incontro-scontro Patou-Mathis ha scritto anche un divertente romanzo –firmato con la giornalista scrittrice ed editrice Pascale Leroy, “Madame De Néanderthal. Journal intime”, “Il diario intimo della signora Neanderthal”. E qui i Sapiens non fanno una gran figura, sexy ma arroganti e distruttori della natura.

“Quando dicevo che i Neanderthal non erano bruti come si credeva, e che non si possono attribuire tutti gli avanzamenti ai Sapiens, mi prendevano per pazza”, racconta. Ora più di uno le dà ragione. Ma adesso lei vuole smontare un altro pregiudizio: appunto quello sulle donne primitive.

Partiamo dalle tombe.

Che le nostre antenate andassero a caccia ormai è acclarato, anche grazie allo studio pubblicato nel novembre scorso su una tomba andina di 9mila anni fa, con la “rivelazione” che il corpo, attorniato da armi da caccia in pietra, era di una donna (la chiamavano Wilamaya Patjixa, aveva meno di 19 anni). Ma le paleolitiche, con tutta probabilità, erano anche pittrici e artigiane. Ipotesi che non dovrebbe stupire. Eppure l’ultimo volume di Patou-Mathis ha fatto scalpore, producendo interviste all’autrice sulla stampa francese ma anche belga e canadese, in tv e alla radio, e un articolo a sua firma su Le Monde Diplomatique.

Ma quali sono le prove di questa antichissima parità? “Anzitutto le sepolture: nel Paleolitico non ci sono grandi differenze tra gli arredi funebri di uomini e donne, incluse le ricche acconciature. Oggi poi abbiamo tecniche che ci permettono di fare indagini precise, come il Dna; così si scopre per esempio che alcuni scheletri sono di donne, anche se appaiono robusti. Possiamo capire persino che tipo di attività fisica facessero le nostre antenate, perché i traumi ripetuti sui punti d’inserzione dei tendini, come quelli prodotti dal lancio di proiettili pesanti e, nel Neolitico, anche dall’uso di attrezzi agricoli, lasciano tracce nelle ossa. Si può inoltre scoprire che tipo di alimenti venivano consumati, e si è visto che non c’era alcuna differenza tra uomini e donne, mentre in alcune società, a partire dal Neolitico e in particolare dal 5000 a.C., le donne cominciarono a mangiare meno carne e più cereali. Infine, c’è l’arte… In Francia le prime pitture risalgono a 35mila anni fa, in Spagna sono più antiche, il che le porrebbe in epoca Neanderthal, solo che ci sono ancora forti resistenze all’idea che i cavernicoli sapessero dipingere…”. In quasi tutte le pitture parietali ci sono impronte di mani: forse firme, di sicuro, dice Patou-Mathis, attestati di presenze femminili.

Silhouette e mani femminili.

Uno studio sulle grotte francesi e spagnole dimostra che parecchie mani sono di donne, per le loro dimensioni e per il rapporto fra il medio e le altre dita, e tra queste e la larghezza del palmo. E perché queste donne non potrebbero essere anche le autrici di pitture e graffiti? Le pitture parietali per lo più sono di animali, ma fra le rappresentazioni antropomorfe l’80-90% sono figure femminili, con silhouette e numerosi graffiti di vulve. Poi ci sono le molte statuine dette Veneri o Dee Madri, ritrovate in tutta l’Europa fino in Siberia e a Malta, datate a partire da 35-30mila anni fa. Hanno grande varietà di stili e di forme, e alcune sono forate, come ciondoli o talismani. Più che una dea penso che rappresentino uno spirito protettivo legato alla fecondità; nel paleolitico la gestazione era un mondo di donne, e il parto doveva essere un momento terribile. In un piccolo clan perdere un membro o un neonato era una disgrazia collettiva. Ora, è stupefacente che le analisi –di uomini- fino a tempi recenti abbiano dato per scontato che scultori e pittori fossero maschi. La verità è che non lo sappiamo, ma secondo un pregiudizio, ancorato agli studi del diciannovesimo secolo, tutto ciò che riguarda la creatività è maschile. Ci è stata imposta la visione di una dicotomia di ruoli che a mio parere nel Paleolitico non esisteva: era un altro mondo, fatto di cacciatori e raccoglitori, ed è possibile che fosse composto da società matrilineari. La differenza sessuale si è accentuata più tardi. Nel Neolitico non troviamo più vulve dipinte sulle pareti. Probabilmente emersero culti di dee- come ce ne furono presso i Greci e gli Egizi- che poco alla volta vennero sostituiti da dei, e poi da un unico Dio”.

A cambiare il modo di vivere delle donne sarebbe stato un intreccio di cause. A partire dal maggior numero di maternità. Spiega Patou-Mathis: “Anche ora nei popoli nomadi e cacciatori, l’età dello svezzamento arriva a tre, persino a cinque anni; è più facile nutrire i figli col latte, e finché si allatta la prolattina ostacola il concepimento. Le donne preistoriche avevano relativamente pochi figli. E’ possibile anche che nel Paleolitico la nascita fosse un mistero tutto femminile, che non si conoscesse il ruolo del padre nella procreazione, mentre di sicuro era chiaro all’epoca in cui iniziarono l’allevamento e l’agricoltura: 12mila anni fa in Asia, 6mila in Europa. Nelle società sedentarizzate si assiste a un’esplosione demografica ed emerge un’élite maschile. Credo che a poco a poco, sulla spinta di questi fattori, sia cresciuto il numero delle società patrilineari e sia nato un vero patriarcato.

Poi arrivarono le guerre.

Del resto, il Neolitico vede anche un’altra triste novità, la guerra, anche questa tema di un libro di Patou-Mathis. “Non abbiamo prove che nel Paleolitico ci fossero guerre vere e proprie. Solo dall’inizio del Neolitico nelle pitture parietali vediamo cacciatori con l’arco e guerrieri che si combattono: è la risposta alla necessità di difendere le terre da coltivare e dove immagazzinare cibo”.

E ora che strada prende la ricerca? “Vorrei vedere fra i miei dottorandi qualche tesi di archeologia di genere, sui metodi necessari per capire se certe attività nel Paleolitico fossero maschili o femminili. Purtroppo ci viene sempre chiesto di provare che le nostre antenate sapessero fare certe cose. Se si dà per scontato che le cose non siano possibili, non si comincia neanche a cercare. Se si allarga la visuale, le prove si accumulano: lo abbiamo visto negli ultimi anni. Quando c’è una domanda, si crea un metodo per rispondere: e arrivano anche le risposte”.               

 

                                                                  Alessandra Quattrocchi

 

Questo articolo di Alessandra Quattrocchi è stato pubblicato nel “Venerdì di Repubblica” dell’8 gennaio 2021, alle pp. 60-63.