Come e quando potrebbe finire la guerra in Ucraina e chi la sta vincendo

Come e quando potrebbe finire la guerra in Ucraina e chi la sta vincendo.

 

Lo storico Andrea Graziosi, uno dei più importanti conoscitori italiani dell’Est europeo e della Russia: “In questo conflitto l’esercito russo è stato sconfitto quattro volte e la Federazione ne uscirà a pezzi”.

 

L’articolo-intervista è stato pubblicato nel quotidiano “La Repubblica” il 22 aprile 2023.

 

Andrea Graziosi, 69 anni, ha insegnato all’Università di Mosca, a Yale e a Harvard, dove è stato docente di Storia sovietica. Oggi è ordinario di Storia contemporanea alla Federico II di Napoli ed è considerato uno dei maggiori esperti italiani di cose dell’Est Europa, Russia e Ucraina innanzitutto.

Professore, partiamo dalla previsione che tutti chiedono. Quando e come finirà questa guerra?

Temo non presto, purtroppo. Le guerre finiscono per due motivi: o ci sono un vinto e un vincitore palesi, o per esaurimento, militare, economico, delle coscienze. In questo caso serve un compromesso che cristallizzi la situazione. La guerra in Ucraina potrebbe finire per questa seconda ragione. Putin, va ricordato, ha già perso, sul campo di battaglia e sul piano internazionale. La Russia, pur pagando un prezzo altissimo, continua tuttavia a trattenere alcuni territori dell’Ucraina. E detiene migliaia di bombe termonucleari.

Perché Vladimir Putin ha perso?

Sul campo il suo esercito è stato sconfitto quattro volte. Con la ritirata da Kiev, la perdita della regione del Kharkhiv a Est, l’abbandono di Kherson al Sud e, infine, con lo stallo di Bakhmut. E’ uno stallo sanguinoso, ma il fatto che con un impiego così voluminoso di forze dall’estate scorsa Mosca non sia ancora riuscita a prendere una piccola città, fa annoverare il tritacarne di Bakhmut tra le sconfitte. Di fatto, l’offensiva invernale russa è fallita. E poi Putin ha perso sul piano interno e delle relazioni esterne.

Dettagliamo.

Nei primi dieci anni di governo Putin ha ricostruito lo Stato russo, ma nelle prossime stagioni lo consegnerà in pessime condizioni. Il danno che Putin ha fatto alla Russia è gigantesco. Sul piano internazionale, pur di allontanarsi dall’Europa con la quale condivide molto, si è accontentato di diventare un vassallo della Cina. In Russia ha vinto l’élite anti-europea, e per molti russi questo rappresenta un disastro.

Dove ha sbagliato Putin?

Ha sbagliato a invadere una nazione indipendente, intanto.

E dopo l’invasione?

Dico la verità, ero convinto che Putin, dopo che l’Armata russa si era ritirata dal centro dell’Ucraina, avrebbe dichiarato la sua vittoria: “Abbiamo mantenuto il Donbass e preso una parte del Sud”. E lì avrebbe fermato i bombardamenti. Non sarebbe stata neppure quella una vittoria, ma avrebbe potuto spacciarla per tale. Invece no, ha continuato nella campagna militare e si è cacciato in un vicolo cieco annettendo a forza quattro regioni che, di fatto, oggi non controlla, o controlla parzialmente. Ha obbligato ad allestire in quelle regioni referendum farsa, ha inserito le quattro annessioni in Costituzione. Da quel momento è diventato tutto più difficile. L’Ucraina non potrà mai accettare questa amputazioni e potrà immaginare una tregua solo se avrà la Nato sul territorio, non può fidarsi. (Non dimentichiamo che nel 1991 l’Ucraina aveva ceduto le sue numerose bombe nucleari in cambio dell’impegno a garantire la sua indipendenza, impegno che è stato impunemente violato). Putin, d’altro canto, non può cedere qualcosa che è già nella Costituzione della Federazione russa e, certo, non può vedere la Nato ai confini, una delle ragioni che gli hanno fatto scatenare il conflitto. Credo che Putin abbia fatto questo errore per supponenza e perché, fondamentalmente, è un leader ideologico.

L’esaurimento che potrebbe portare a un armistizio a che punto sta?

Vedo maggiori segnali di logoramento russo rispetto a prima. Ho letto così la richiesta di aiuto alla Cina, le ultime dichiarazioni del ministro Lavrov.

Diceva, supponenza. Putin era davvero convinto di prendere Kiev in tre giorni?

Nelle valigie dei primi soldati russi uccisi nei sobborghi di Kiev hanno trovato i paramenti per la sfilata della vittoria dell’esercito russo. No, Putin non aveva un piano B, era convinto che quello ucraino fosse uno Stato fantoccio. Non credo sia stato mal consigliato, piuttosto che si sia costruito una realtà immaginaria, abbia trasformato le sue convinzioni in fatti. Accade nei regimi dittatoriali.

Credeva che il popolo ucraino non avrebbe combattuto contro gli invasori?

Guardi, c’è un episodio che racconta bene lo stato d’animo da una parte e dall’altra. Alla vigilia dell’invasione, il 23 febbraio 2022, alti ufficiali dell’esercito russo chiamarono alcuni dirigenti del partito di Viktor Janukovic, il presidente filorusso cacciato dalla rivolta popolare del 2014. I militari anticiparono loro: “Domani veniamo a liberarvi”. E gli ucraini, seppure filorussi, risposero: “E noi vi prendiamo a fucilate”.

Putin ha fatto bombardare tutte le città dell’Ucraina, anche quelle a maggioranza russofona.

Odessa e Mariupol, per esempio. Putin si è inimicato, per lungo tempo, un intero Paese. Diceva di voler difendere i russofoni, gli ha distrutto le case e la vita.

A proposito di Janukovic. Proviamo, con lei, a dare alcune spiegazioni su questioni che in una parte del nostro Paese sono diventate certezze granitiche per manifestare ostilità nei confronti dell’Ucraina, la sua politica, la sua gente. Iniziamo: Piazza Maidan è stato un golpe americano?

Questo è ciò che ha detto Putin quando ha perso l’Ucraina, la sua prima sconfitta, ma non ci sono evidenze in questo senso. Non è stato un colpo di Stato, né americano né occidentale. Piazza Maidan e tutti i moti del 2014 hanno le stimmate della rivolta popolare e del confronto, appunto in piazza, tra due Ucraine. In quella stagione Janukovic era il Lukashenko di Kiev, si rifiutò di firmare un atto del Parlamento in favore dell’Unione europea per avvicinarsi a Mosca e all’Unione euroasiatica. L’origine dello scontro è qui, con Putin presente a Sochi, alle Olimpiadi invernali dove stava celebrando il suo trionfo. Per lui la cacciata del suo uomo fu un colpo terribile e la risposta che ne derivò fu immediata: dare esecuzione alla presa della Crimea. Gli è riuscita, senza vittime, e la popolarità del presidente arrivò al picco.

Gli anti-Zelensky italiani sostengono che la guerra del Donbass ha mostrato la ferocia dell’esercito ucraino e dei gruppi nazionalisti alla Azov.

La guerra del Donbass, intanto, è un altro lascito di Putin. Le repubbliche autoproclamate che avevano preso i palazzi delle regioni dell’Est stavano per essere sconfitte dalle forze ucraine, ma intervenne l’esercito russo, mascherato e meno, per sostenerle. Nei primi due anni ci furono migliaia di morti, poi nei successivi sette il conflitto locale si è trasformato in una forte tensione anche grazie all’arrivo di centinaia di osservatori Osce. Il numero delle vittime è crollato. Chiariamolo, Putin non ha fatto la guerra del 2022 per il Donbass, ma per riprendersi l’Ucraina: infatti ha attaccato la capitale Kiev.

Continuiamo con il debuking dei luoghi comuni. Sostenere che l’Ucraina è un Paese di matrice nazista e con una forte componente di estrema destra tutt’oggi, è una sciocchezza, un’offesa o c’è un nocciolo di verità?

Le prime due, una sciocchezza e un’offesa. L’Ucraina ha avuto una forte componente etno-nazionalista, che non è quella oggi di Volodymyr Zelensky, presidente di origine ebraica. I suoi conti con quelle radici, diciamo riconducibili all’esperienza di Stepan Bandera, l’Ucraina li ha comunque fatti. Nel 1991. Quando è diventato indipendente, il Paese è andato alla ricerca delle sue radici legittimanti e le ha naturalmente trovate nell’Holodomor, la grande carestia indotta da Iosif Stalin che, a partire dal 1932, uccise quattro milioni di ucraini in cinque mesi. Con l’indipendenza, le statue alzate al collaborazionista Bandera sono state pochissime e il movimento politico legato al banderismo è diventato residuale anche sul piano elettorale.

L’Ucraina, in funzione anti-sovietica, ha però collaborato con il nazismo.

Una parte dell’Ucraina occidentale sì, ma non credo che dall’Italia possano arrivare intemerate storiche di questo tipo. Noi abbiamo collaborato molto di più con il nazismo. Diciamo che ci hanno collaborato nazionalisti palestinesi, indiani, croati, slovacchi, tutti i delusi dagli accordi di Versailles.

L’invasione della Russia non potrà che rinfocolare un nuovo nazionalismo ucraino. Per avvicinare il Paese all’Europa questo atteggiamento, anche se non ha a che fare con derive di destra, dovrà essere comunque affrontato e superato.

L’aggressione russa sta ravvivando un nazionalismo di tipo nuovo, in una guerra per tenere bisogna anche odiare. L’Ucraina, quando tornerà in pace, dovrà misurarsi anche con il suo nuovo nazionalismo. Li potremo aiutare facendoli entrare nell’Unione europea.

Quando è successo che gli ucraini hanno capito che i russi non gli piacevano, che non volevano Mosca come destino?

Con la crisi economica seguita alla dissoluzione dell’Urss, il 1991, molti ucraini adulti andarono a lavorare in Russia e, quindi, nel primo decennio del Duemila, iniziarono a venire verso l’Europa. Anche in Italia. Hanno visto i due territori, le due prospettive, e gli è piaciuto di più quello che raccontava chi aveva lavorato a Berlino, a Parigi, a Roma e Napoli.

Un’altra puntualizzazione, l’Ucraina è una nazione esistente o solo un pezzo di Russia strappata al suo Paese originario?

L’Ucraina è l’Ucraina, con la sua storia, la sua lingua e le sue scelte contemporanee. Che l’entità statuale della Rus’, non quindi la Russia, nasca a Kiev alla fine del nono secolo è un dato storico accertato, ma poi ci sono milleduecento anni, ci sono evoluzioni del linguaggio, delle patrie. Il ragionamento di Putin è molto rozzo e negare l’esistenza del popolo ucraino è un atteggiamento culturalmente genocidario. Non lo fece neppure Stalin, che pure si rese autore del genocidio dei contadini ucraini di cui abbiamo parlato. D’altro canto, va ricordato, soprattutto alla Sinistra italiana, che Putin non è un comunista. E’ legato all’anticomunismo tradizionale russo e non riconosce agli ucraini un’identità, li ritiene piccoli russi. Stalin era un georgiano marxista e ha sempre pensato che l’identità nazionale fosse importante. Fu genocida perché voleva piegare quel popolo; l’idea di Putin è, tuttavia, più pienamente genocidaria: per lui gli ucraini non ci sono, sta dicendo loro che non esistono. E a proposito dell’identità di un popolo…

Dica.

La lingua italiana, francese, spagnola sono il Latino di oggi, ma questi tre popoli nel ventunesimo secolo sono diversi tra loro. Non siamo nati tutti nell’antica Roma e non torniamo a essere Romani. Il linguaggio è un elemento costitutivo di una nazione, ma la lingua russa e quella ucraina sono nate entrambe tra il ‘700 e l’800, in tempi piuttosto recenti e a distanza di trent’anni una dall’altra. Fino al 1905 l’ucraino è stato represso perché categorizzato come dialetto, ma era già una lingua vera e propria. Il resto è propaganda.

Sempre in Italia c’è chi sostiene che l’Ucraina non è una democrazia perché il 20 marzo 2022 il presidente Zelensky ha annunciato la soppressione, poi avvenuta, di undici partiti collaborativi con la Russia. Tra gli undici c’erano classiche formazioni socialiste e altre più vicine all’estremismo di destra.

Direi che oggi, mentre il Paese è aggredito dalla Russia, sia fisiologico mettere al bando un partito filorusso. Le guerre hanno un prezzo e l’Ucraina dovrà superare il sedimento che questa le sta lasciando. Vorrei segnalare che dopo quattordici mesi di conflitto non si vede una minoranza, anche piccola, formata da chi sia scontento della leadership di Zelensky. Non ci sono i filorussi repressi, la guerra ha spazzato via quel sentimento.

Perché Putin si è deciso a fare questa guerra?

Perché credeva in una debolezza occidentale molto acuta. Dal 2008 si è via via convinto che era possibile avviare una riunificazione delle terre russe partendo con l’Ucraina e proseguendo con la Moldavia. Putin guarda a una grande unione euroasiatica governata da Mosca, ma oggi l’Asia centrale è terrorizzata dalla Russia, il Kazakhistan per primo.

Ritiene, come dice il sindaco di Kiev, Vitalij Klitschko, che Putin se vince in Donbass è pronto a marciare di nuovo sul resto dell’Ucraina?

Sì, anche se forse toglierei da questi appetiti l’Ovest e Leopoli. Putin è un politico che scrive molto, dobbiamo iniziare a leggerlo e a prenderlo sul serio. Non dobbiamo spaventarci, ma fare i conti con le sue parole. Ogni dichiarazione estrema di Dmitrj Medvedev, per dire, è sempre autorizzata dal presidente.

Esiste una classe dirigente in Russia pronta a ribellarsi al dittatore?

Putin è il rifondatore dello Stato russo, è al potere da 23 anni, per quindici ha ricevuto soldi e solidarietà dal mondo e per altrettante stagioni ha nominato tutte le persone che oggi governano il Paese. Gli devono carriera e denaro. Penso che più della metà dell’élite russa, anche quella a lui vicina, premerebbe il bottone per farlo scomparire, ma nessuno ha la forza per farlo. E’ già successo con Stalin, negli ultimi tre anni i suoi collaboratori lo volevano morto. Berija si vantava che l’avrebbe avvelenato, difficile credere che sia successo. Putin ha costruito una rete di presa forte, ma oggi ha portato la Russia alla catastrofe. Ha perso anche lui. Il giudizio storico lo seppellirà.

 

                                                                  Andrea  Graziosi