Lettera aperta a studenti e docenti delle classi quinte sperimentali. Febbraio 1993

Qualche giorno fa, scartabellando tra le mie carte, ho trovato questo documento. E’ una lettera aperta, scritta nel febbraio 1993, indirizzata agli studenti e ai docenti delle classi quinte dei corsi sperimentali dell’Istituto “L. Stefanini” di Venezia-Mestre. Erano in corso in quei mesi agitazioni studentesche che esprimevano il consueto disagio adolescenziale che in quegli anni aveva trovato la forma delle “occupazioni autunnali” delle scuole ma anche, nel nostro caso, una generosa –anche se velleitaria- volontà di partecipazione nella gestione dell’Istituto e di ridefinizione delle Linee Programmatiche dei curricula disciplinari. Il documento è interessante perché rivelatore di una crisi progressiva dell’esperienza sperimentale dello “Stefanini”, crisi iniziata nel 1986-’87, proseguita tra alti e bassi negli anni successivi e conclusasi definitivamente nel 1996 con la fine della sperimentazione autonoma.

 

Lettera aperta agli studenti e ai docenti delle classi quinte sperimentali dell’Istituto “Stefanini” di Venezia-Mestre

 

Negli ultimi otto giorni ho partecipato –in due assemblee organizzate dagli studenti- ad alcune ore di discussione sui temi del clima educativo della nostra scuola, dell’intero progetto di sperimentazione, del disagio esistenziale e culturale vissuto dagli studenti. E’ stata un’esperienza interessante ma anche inquietante della quale sottolineerei due aspetti.

Da una parte ho molto apprezzato la vivacità critica degli studenti, la loro passione morale, la sincerità della denuncia, il tentativo di ricerca culturale, l’esigenza pur contraddittoria di uno studio insieme più soggettivo e rigoroso, più rassicurante e problematico (esigenza di uno, di taluni o di tanti?).

Dall’altra ho colto, accanto ad ingenui volontarismi e generosi ed inevitabili velleitarismi, il persistere di un’atmosfera che in assemblea ho definito “strana e preoccupante”: un clima di sospetti, di esibizionismi, di sfiducie, mescolato improvvidamente ad esercizi di pericolosa approssimazione culturale, inaccettabili ed addirittura cialtroneschi in un Istituto come il nostro che è autorizzato per legge dal Parlamento e dal Ministero della P. I. a definire non solo progetti di struttura curriculare ma anche autonome Linee Programmatiche delle discipline di studio.

Queste operazioni non sono giustificabili, pur se comprensibili, anche quando a farle sono gli studenti perché a nessuno è consentito –pur con l’attenuante dell’età e dell’ingenuità- di giocare con gli statuti culturali, le metodologie di ricerca, le letterature dei saperi, le grammatiche dei linguaggi. Soprattutto i professori devono essere ben consapevoli che sono necessarie le indispensabili mediazioni culturali e di codice linguistico quando si trasferiscono i contenuti e le modalità delle discussioni che si effettuano e delle decisioni che si adottano nelle riunioni dei docenti alle assemblee studentesche. Se gli studenti pensano di poter avanzare serie proposte di modifica programmatica prima di tutto le devono scrivere argomentatamente, e poi inoltrarle ai Consigli di classe o direttamente al Collegio dei docenti. Il Collegio, unico organismo autorizzato, le approfondirà e discuterà; se le troverà convincenti le farà proprie e ne chiederà l’autorizzazione al Ministero della Pubblica Istruzione.

Ci sono vari insegnamenti da trarre, mi sembra, da questa esperienza. Propongo perciò a tutti alcuni punti di riflessione:

          Mantenere una linea costante di dialogo franco e approfondito tra docenti e studenti, un confronto serio e anche aspro, se occorre, tra esigenze sentite e possibilità realizzabili, tra diritti e doveri di tutti.

          Chiudere per sempre l’esperienza aperta dal DPR 419 del 1974. Nelle condizioni in cui ci troviamo di degrado strutturale e organizzativo, di gigantismo demografico del tutto inadatto ad una sperimentazione seria, di organizzazione del lavoro inadeguata e funzionale solo ad un artigianato intellettuale individualistico e ad un controllo puramente burocratico, di sostanziale inverificabilità del processo formativo, è impossibile continuare con la finzione –a questo punto di insopportabile ipocrisia- di un Collegio Docenti abilitato a sostituirsi al Parlamento nazionale in fatto di sperimentazione autonoma di ordinamenti e strutture.

          In questa fase di transizione occorre essere ben consapevoli che una scuola democratica deve salvare il diritto alla diversità, riequilibrare gli svantaggi culturali e i ritardi linguistici e logici, tentare di raggiungere rigorosi livelli di qualità, per consentire serie possibilità di studi universitari e/o di intelligente professionalità.

La nostra scuola è una cosa mediocre forse ma preziosa, che può sopportare viltà e disaffezioni ma deve mantenere aperte le possibilità di correzione, un processo di continuo apprendimento e di ricerca, senza tentazioni vandeane e ribellismi anarcoidi.

                                                           prof.  Gennaro  Cucciniello

 Mestre, 13 febbraio 1993