Voltairine, un’anarchica americana di fine Ottocento

Voltairine, che doveva essere anarchica

Nell’America a cavallo tra ‘800 e ‘900 Voltairine de Cleyre (1866-1912) lottò fin da ragazza contro ogni Autorità. A cominciare da quella maschile. Il suo autoritratto ora esce in Italia. Finalmente.

Nel “Venerdì di Repubblica” del 30 giugno 2017, alle pp. 104-105, Vittorio Giacopini scrive un commento alla raccolta “Un’anarchica americana” (Eleuthera, pp. 184, traduzione di Lorenzo Molfese). Il padre l’aveva chiamata così in omaggio a Voltaire ma poi l’aveva spedita a scuola dalle suore.

Gennaro Cucciniello

Su ogni cosa vivente è tracciata la linea d’ombra di un’idea” e, a volte e spesso, le idee morte, il conformismo, l’arrendevolezza al senso comune, l’ipocrisia, queste ombre ineluttabili e stremate, sono più forti dei lampi della passione, o della ragione, e uno si ritrova schiavo delle norme sociali, e non se ne accorge, e vivere, invece, vorrebbe dire lottare e ribellarsi. Voltairine de Cleyre (1866-1912) di saltar fuori da questa palude di stasi, e dal cinismo, ne aveva fatto un principio o una vocazione. La linea d’ombra –scriveva- la valichi con un atto di fede e di volontà. Alexander Berkman, un anarchico che la conosceva bene, e l’ammirava, la descrisse così: “Tutta la sua vita è stata una protesta contro le finzioni, una sfida lanciata a tutte le ipocrisie e una forza che incita alla rivolta sociale”. Ineccepibile. Gli scritti di quest’anarchica e femminista americana mezza francese in Italia li scopriamo soltanto adesso e sono splendidi. A partire da “Nascita di un’anarchica (il saggio-confessione che apre il volume) Voltairine de Cleyre, un’anarchica americana”, Eleuthera, a cura di Lorenzo Molfese), Voltairine parla molto tranquillamente di sé, in prima persona, e intreccia storia e biografia, privato e pubblico: il suo lascito nel pensiero femminista può essere ritrovato proprio qui, in questo connubio. In origine, racconta, sei quello che gli altri vogliono da te, o che pensano sia giusto, raccomandabile per te. Bella trappola. “Basandomi sulle mie prime influenze e sulla mia educazione, sarei dovuta diventare una suora, passando il resto della mia vita a celebrare l’Autorità nella sua forma più manifesta”. Lottava contro i suoi demoni, o contro le idee ricevute, e col destino.

La vita, evidentemente, le aveva giocato uno scherzo beffardo. Nel nome –Voltairine- si portava dietro un bagaglio impegnativo, ma inaffidabile. Suo padre, un esule francese, l’aveva chiamata così in omaggio al santo patrono dei Lumi, però a conti fatti non ce la faceva a sostenere la parte, aveva le sue resistenze e i suoi dubbi, era incoerente. Da Leslie, nell’entroterra del Michigan, i De Cleyre si erano trasferiti a Port Huron, sui Grandi Laghi, e Hector, che pure era comunista (o lo era stato) aveva iscritto la figlia in una scuola di suore a Sarnia, sulla sponda canadese. Per la ragazza era una sorta di condanna alla morte mentale, e una via crucis, ma –tipico suo- aveva trasformato anche questo incidente in un’occasione: “L’antico e ancestrale spirito di ribellione si è risvegliato in me quando avevo quattordici anni ed ero soltanto una scolaretta”. Se più avanti scrive “provo pena per me stessa quando ripenso a quei giorni” non è del tutto sincera, non dice tutto. Aveva bisogno anche di quelle pastoie per crescere e diventare se stessa, per liberarsi: nel suo pensiero l’influenza del trascendentalismo di Emerson e del suo “Diventa chi sei” è trasparente. A lei, per diventare chi era, potevano servire persino quelle suore nere e bigotte, la superstizione. Intanto apprendeva un mestiere, studiava. Francese, matematica, musica e pianoforte: in tutta la sua (breve) carriera di agitatrice anarchica e oratrice femminista, Voltairine camperà dando lezioni di piano e francese o insegnando inglese agli immigrati, arrabattandosi (da anarchica, era molto lontana dall’idea del “rivoluzionario di professione” o del funzionario di partito, del burocrate).

Se non erano giorni felici, importava poco. La scuola, le suore, le gabbie della religione, del maschilismo: Voltairine quando ricorda quei lunghi momenti di stasi diventa lirica: “Fu come attraversare la biblica valle dell’ombra e della morte, e ancora oggi porto le bianche cicatrici sulla mia anima”. Il fatto è che la figlia del sarto itinerante (il padre cuciva vestiti, di casa in casa) trasforma la litania delle messe cantate in ribellione e dal convento delle tristi sorelle invece che monachella esce da libera pensatrice, donna ribelle: “Paragonate alle lotte di quando ero ragazzina, tutte le future battaglie che ho affrontato mi sono sembrate semplici, giacché indipendentemente dalle circostanze esterne, imparai a seguire sempre la mia Volontà e la mia Volontà non ha mai giurato fedeltà a nessuno e mai lo farà”.

La parola Volontà, Voltairine la scrive con la maiuscola (lo faceva anche Errico Malatesta, e forse i due si incontrarono al tempo del breve passaggio a New York e a Philadelphia dell’italiano), ma a quei tempi ancora non era anarchica, si stava cercando. Sulla sua personalissima via di Damasco, inciampa nei fatti di Haymarket, a Chicago (1886): l’infame condanna a morte di cinque disgraziati per un attentato che non avevano commesso le apre gli occhi. “Fino a quel momento credevo ancora nell’assoluta giustizia della legge americana. Ma dopo quegli eventi non ci credetti mai più”. Disillusa e arrabbiata, questa suora mancata casualmente incontra prima il socialismo, poi l’anarchia. E’ l’inizio di un’avventura e di una battaglia. Contro una “società con gli occhi chiusi e le orecchie tappate decisa a non vedere nulla se non la pura rabbia e la vendetta”, Voltairine capisce che è il momento di agire e si dà da fare. I suoi legami con il movimento anarchico americano iniziano in quei giorni tremendi e non si interromperanno mai, sino alla morte. Voltairine sarà amica-rivale di Emma Goldman, di Alexander Berkman e di Benjamin Tucker, incontrerà Kropotkin e Sébastien Faure, sarà compagna e amante di T. Hamilton Garside, di James B. Elliot (il padre di suo figlio), di Dyer D. Lum (l’uomo che aveva procurato a uno dei condannati di Chicago il sigaro-bomba con cui questi si sarebbe suicidato per sfuggire all’impiccagione).

Oratrice straordinaria, inizia a girare l’America e l’Europa. I temi della sua (laica) predicazione saranno la lotta contro ogni tipo di Potere e di oppressione, l’importanza della “libera sperimentazione” sociale e la condizione delle donne, da ribaltare. In modo più radicale della Goldman, l’anarco-femminismo di Voltairine De Cleyre va alla radice del male, e parla esplicitamente di “schiavitù sessuale, la più vile delle tirannie”. Era un tema scabroso (del resto lo è ancora). Anche tra compagni, anche tra anarchici. “Una parte degli anarchici nega che ci sia una questione femminile ma questa affermazione è principalmente fatta da uomini e, si sa, gli uomini non sono certo le persone più adatte a comprendere la schiavitù della donna”. L’ultimo saggio del libro (Il caso delle donne contro l’ortodossia) è un omaggio commosso e ribelle a tutte quelle donne come Mary Wollestonecraft, Harriet Martineau o Lucy N. Coleman “che con le loro vite hanno trasmesso all’intero genere femminile ciò che le loro parole andavano esprimendo”. E chiudeva così, arrabbiata, solenne: “E noi oggi vogliamo proclamare con loro la nostra Resurrezione”.

Vittorio Giacopini