Così i cristiani misero una croce sul mondo politeista pagano

Così i cristiani misero una croce sul mondo pagano

Opere d’arte distrutte, libri bruciati, dissenso represso. In nome della lotta all’idolatria. Ricorda qualcosa? Una storica inglese paragona i primi cristiani all’Isis. In un libro controverso.

 

Che questo libro sia controverso lo ammette la stessa autrice fin dalle sue prime pagine quando scrive che la sua ricerca “non equivale a dire che la Chiesa non si attrezzò per conservare gli artefatti e i prodotti culturali delle epoche precedenti”; questa parte della storia è stata raccontata ed elogiata più volte. La nostra autrice, commenta Corrado Augias in una sua nota, vuole rivelare l’altro aspetto della nuova fede, quello distruttivo, soprattutto dopo che nel 380, con l’editto di Tessalonica, l’imperatore Teodosio aveva fatto del cristianesimo la religione unica e obbligatoria dell’impero. E’ rivelata la dinamica della nascita di ogni fanatismo, con la bugiarda, semplificatoria e moralistica “reductio ad unum” della complessità del reale, l’inevitabile avvitarsi del fanatismo in violenza irrazionale. Una furia che distruggeva come demoni, o simulacri di demoni, le opere d’arte delle città e dei santuari pagani, che si accaniva su quanti provavano a rimanere fedeli alla millenaria spiritualità politeistica o anche solo a quella libertà interiore che la filosofia proponeva e invitava a praticare.

                                                                      Gennaro Cucciniello

 

C’è una manciata di secoli che turba ancora il sonno degli storici: è il periodo che va dalla conversione di Costantino, passa per la dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente e arriva alle soglie dell’età feudale. Si tratta di un’epoca cruciale, perché nell’arco di quei pochi secoli la civiltà greco-romana passa dai sacrifici a Giove al culto di Cristo. Il passaggio, però, non è dei più chiari. E lascia non del tutto risolta un’importante questione: cosa facevano i pagani quando ormai i cristiani si accapigliavano su temi quali la consustanzialità col Padre e l’unione ipostatica col Verbo incarnato?

Un libro che ha ricevuto grande attenzione in Gran Bretagna, ora pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri, spezza ogni riserva: i pagani furono vittime di un genocidio culturale. “Nel nome della croce. La distruzione cristiana del mondo classico” è l’esordio di Catherine Nixey, giornalista d’arte del Times, classicista di formazione, nata in Galles –l’informazione non è futile- da un ex monaco e da un’ex suora. La storia merita una piccola digressione visto che l’autrice ha deciso di raccontarla in un lungo articolo. Suo padre, un frate servita, esercitava il ministero in una parrocchia di Cardiff quando venne a sapere che nella scuola locale c’era una nuova insegnante di religione; una ex suora, gli dissero, che aveva da poco abbandonato il convento. Volle incontrarla subito: negli anni ’70 molti giovani religiosi vivevano con delusione l’occasione mancata dal Concilio Vaticano II di mettere in atto riforme più radicali. Lei era tra i delusi. Lui cominciava a interrogarsi su “nuove forme di comunità religiosa nel mondo moderno”. A poco a poco divennero amici. Finché, in una piovosa giornata del 1974, il frate trovò il coraggio di dichiararsi. Si sposarono nel 1976. “Mia madre smise di credere in Dio quando nacque mio fratello”, racconta oggi Nixey. “Ma per una ragione che ancora oggi non comprendo a pieno siamo stati allevati nell’osservanza cattolica. Tra le altre cose, sono cresciuta pensando che, nel confronto con i cristiani, i romani si fossero comportati da brutali oppressori. Credevo anche la cristianità avesse lottato per preservare tutte le opere del mondo antico. Poi sono andata all’università e ho scoperto i classici. L’erotismo di Catullo. Lo spirito critico di Aristotele. E improvvisamente mi sono trovata a pensare: Aristotele non sarebbe mai andato d’accordo con sant’Agostino. Doveva pur esserci qualche tipo di conflitto tra quei due mondi. E infatti c’era stato, eccome”. (Ma questa storica non ha letto “Il nome della rosa”? E sa nulla della lotta cattolica contro l’iconoclastia dei cristiani ortodossi? –ndr-).

Stando alle fonti, nel 385 circa un’orda di monaci armati di sbarre di ferro cominciò a imperversare nelle campagne siriane con l’intento di abbattere i segni dell’idolatria pagana. Il tempio di Palmira fu distrutto. Una magnifica statua di Atena fu atterrata e mutilata (i suoi resti, ricoverati dagli archeologi, nel 2015 sono stati nuovamente attaccati –con la medesima motivazione- dai militanti dello Stato islamico). Era l’inizio “della più grande distruzione d’arte nella storia dell’umanità”. Tra IV e V secolo molti altri templi furono rasi al suolo; la stessa sorte subirono le opere d’arte, comprese diverse sculture del Partenone, e i resti della più grande biblioteca del mondo, quella di Alessandria. Un numero incalcolabile di libri fu bruciato. Le opere dei filosofi censurate. I lavori di Democrito, il padre della teoria dell’atomo, andarono totalmente perduti.

Secondo Nixey, solo l’uno per cento della letteratura latina ha varcato indenne quei secoli. Gli amanuensi nei monasteri benedettini, ammette, riuscirono a copiare molte opere. La Regola li obbligava al silenzio, ma potevano richiedere i libri attraverso gesti specifici: tendere i palmi e mimare lo sfogliare delle pagine indicava un Salterio; per chiedere testi pagani si mimava un conato di vomito. Questo dà l’idea di quanto fosse aspra la battaglia culturale contro il mondo antico. E infatti, dice Nixey, “ancora più triste della distruzione del patrimonio artistico fu la soppressione del dissenso in ogni sua forma”. All’epoca della conversione di Costantino, intorno al 312, solo il 10% della popolazione dell’impero era cristiana; il resto fu convertito nel giro di soli cento anni. Così almeno sostengono le fonti sopravvissute, praticamente tutte di parte cristiana: in ogni caso il processo fu straordinariamente rapido. Troppo, dice Nixey, perché le cose siano andate come dice la storiografia.

La tesi dominante è che il mondo greco-romano, disunito, corrotto, sempre più laicizzante e nichilista, si sia arreso poco a poco –quasi per inerzia- all’energia evangelizzatrice dei seguaci di Cristo. Ma chi erano quei primi cristiani? “Gente di ogni sorta”, spiega l’autrice. “Con una preponderanza di individui della classe media e mercantile. Forse perché i mercanti, viaggiando parecchio, entravano più facilmente in contatto con nuove idee. Le uniche a resistere furono le classi elevate. Agostino le definiva la “fortezza”, l’ultimo baluardo contro la cristianità”. Per Celso, intellettuale greco, le credenze cristiane erano “racconti da ninnananna che una donna ubriaca si vergognerebbe di ripetere”. Porfirio li accusava di professare una “fede irragionevole”. Ma il punto era proprio questo: la fede, nel significato inedito che le diede il Cristianesimo, era un dono che permetteva all’uomo di liberarsi dalla finitezza della ragione. Nixey non dissimula la propria disapprovazione per questo approccio conoscitivo, al punto che, in controtendenza rispetto al linguaggio scientifico, nel suo libro accusa più volte i cristiani di stupidità. “In realtà”, spiega lei, “quando uso quella parola non voglio descrivere i miei sentimenti, ma quelli dei romani. A loro certamente i cristiani apparivano stupidi. Molto stupidi. Può questo termine comparire in un libro di storia? Certamente sì. Il passato non sapeva di essere storia mentre accadeva”.

Stupidi o meno, neanche un secolo dopo l’avvento di Costantino il panorama intellettuale era cambiato: se nel III secolo a Roma c’erano ventotto biblioteche pubbliche e altrettante private, alla fine del IV secolo, come osservava lo storico Ammiano Marcellino, le biblioteche erano diventate “come tombe, perennemente chiuse”. In quegli stessi anni un fedele mandava una lettera a Sant’Agostino ponendogli alcune questioni di teologia quotidiana: un cristiano può accedere ai bagni pubblici, se i pagani sono ancora presenti? Può un cristiano sedersi in una portantina se un pagano si è seduto sullo stesso posto durante i giorni di celebrazioni pagane? Se un cristiano stesse morendo di fame e vedesse del cibo in un tempio degli idolatri, potrebbe mangiarne? Agostino replica: se il solo cibo è contaminato da sacrifici pagani, “meglio rifiutarlo con coraggio cristiano”.

Assetati di martirio, distaccati dal mondo, questi uomini semplici erano sorti per “rapire il cielo”, e ci riuscirono a furia di demolizioni, conversioni forzate e persecuzioni statali. Questa la posizione dell’autrice, che non lascia minimo spazio ad altre interpretazioni: e questo è sia il limite che il fascino di queste pagine.

 

Giulia Villoresi, in “Il Venerdì di Repubblica” del 24 agosto 2018, pp. 92-95