Demografia: l’Italia rischia l’estinzione

L’Italia rischia l’estinzione

La popolazione italiana potrebbe dimezzarsi alla fine del secolo per la mancanza di ricambio. Il tempo del rimedio sta scadendo.

 

Qualche spirito ingenuo immaginava, visti i balconi festanti, le schitarrate, gli “andrà tutto bene” rimbalzanti da un lato all’altro delle strade deserte, che il lockdown ci avrebbe regalato tanti bei frugoletti in più. E invece.

E invece i bei frugoletti sono diminuiti. Parecchio. Se si confrontano i dati di gennaio-ottobre 2020 con quelli di gennaio-ottobre 2019 scopriamo che i nati sono diminuiti del 2,7%. Ma se si confrontano i dati di novembre-dicembre 2020 con quelli di novembre-dicembre 2019 scopriamo che la perdita schizza al 9,1%, tre volte e mezzo. Ora, siccome i mesi di novembre-dicembre 2020 corrispondono ai concepimenti dei mesi di marzo-aprile, i mesi del lockdown duro, e siccome la pandemia è ancora in corso, c’è da sudare freddo nell’attesa dei prossimi dati delle nascite. Invece di dare una spinta in avanti alla popolazione italiana, e Dio sa se ne avrebbe bisogno, la pandemia potrebbe rifilargliene una all’indietro tale da rappresentare ilo colpo di grazia.

Si trattasse del campionato di Formula Uno non potremmo che diagnosticare che all’Italia fanno difetto: la macchina, il pilota, la scuderia, anche soltanto per pensare di tenere il passo degli ultimi. Degli ultimi, non dei primi.

Cominciamo dalla macchina. La sostanza sta nel motore, vale a dire nella proporzione di donne in età feconda sul totale. Più donne in età di fare figli ci sono in una popolazione, più figli potenzialmente si possono fare. E viceversa. In Italia la proporzione di donne di 15-49 anni non arriva al 40% della popolazione femminile, mentre è di poco inferiore al 50% nel mondo e del 42,5% in Europa. Lasciando stare il mondo, fuori portata, resta un divario non indifferente con la pur depressa, demograficamente parlando, Europa. E’ come se ogni 100 chilometri che deve percorrere la macchina Italia, la macchina Europa ne dovesse coprire soltanto 93,8. Come la riagganciamo, un’Europa che pure di abitanti in futuro non farà che perderne?

E’ però vero che a volte la differenza, macchina a parte, la fa il pilota. Le sole donne in età feconda non bastano per fare figli, occorrono le coppie. Sono le coppie il pilota della macchina. Più le coppie sono numerose, più se ne formano di anno in anno, più nascite sono da attendersi. Ma in Italia le coppie sono ancora più deficitarie delle donne in età feconda, il pilota è più scarso del motore. Gli ultimi dati dei matrimoni danno l’Italia abbondantemente ultima in Europa per tasso di nuzialità, con una quota di 3,1 matrimoni annui ogni mille abitanti, lontanissima dalla media UE di 4,3. In soldoni: rispetto alla nuzialità media dell’Unione mancano all’Italia la bellezza di 70mila coppie unite in matrimonio all’anno, migliaio più migliaio meno. Recuperiamo forse con le coppie di fatto? Nient’affatto. Ancora oggi in Italia le coppie di fatto non arrivano a rappresentare il 10% del totale. Non bastasse, il pilota taglia il traguardo del primo figlio, quando pure lo taglia, con un ritardo di due anni rispetto al pilota medio europeo: a 31,3 anni la donna italiana, a 29,4 la donna europea.

In queste condizioni di motore e pilota non può destare meraviglia l’incapacità/ritardo dell’Italia nei fondamentali: siamo staccati dall’Unione Europea sia come numero medio di figli per donna, che in Italia è di 1,27 contro il pur modesto 1,53 europeo, che a maggior ragione per il quoziente di natalità, sceso da noi a 6,8 nati annui per mille abitanti, mentre nell’Ue sta a 9,3. Un distacco meritevole di una doppia sottolineatura con la matita rossa, perché significa che di nascite ce ne mancano 150mila l’anno soltanto per pareggiare i conti con la pur mediocre natalità europea. Insomma, non c’è corsa. O meglio, la nostra è una corsa a perdere. Anzi, a sbattere.

E la scuderia? La scuderia è il governo. I governi. Casa Italia. Dire che non abbiamo brillato è farci tanto di regalo. Avremmo dovuto mettere in atto organiche politiche nataliste da quel dì e invece possiamo segnalare solo oggi una misura importante che va in questo senso: l’assegno unico fino a 250 euro al mese per figlio fino all’età di 18 anni, prorogabile nell’eventualità di prosecuzione degli studi.

Chi si illudesse che una misura come questa basti da sola a colmare ilo gap accumulato dall’accoppiata motore-pilota in decenni di prestazioni inguardabili sbaglia di grosso. Per ridare slancio alle nascite in un Paese strutturalmente, economicamente e culturalmente votato alle non nascite come il nostro, ce ne vogliono di misure, a cominciare da uno stravolgimento del mercato del lavoro e delle abitazioni a smaccato vantaggio dei giovani in generale e di quelli che intendono sposarsi in particolare. Ma intanto il passo in avanti va segnalato. Non foss’altro per stimolarne altri e di ancora più decisivi, perché tutte le previsioni danno l’Italia destinata in futuro, nel futuro che è già oggi, a un autentico tracollo di abitanti.

Tra l’inizio del 2015, punta del massimo popolamento, e l’inizio del 2021 l’Italia è passata da 60 milioni e 796mila a 59 milioni e 258mila abitanti, perdendo un milione e 538mila abitanti, il 2,53% in sei anni. E che sarà mai, viene da sbottare, oltretutto pensando che più di centomila almeno di quella perdita sono morti dovuti alla pandemia da Covid. Massimo Livi Bacci, un’autorità indiscussa in campo demografico, dice di credere che “il Paese potrebbe funzionare benissimo con dieci milioni di abitanti in meno”. Salvo aggiungere subito dopo che il problema è in quali condizioni arrivarci. Con questa natalità, e con un saldo del movimento migratorio che ormai compensa assai poco il divario crescente tra nati e morti, il disastro è servito, perché in quei 50 milioni di italiani ci sarebbero sempre meno giovani e sempre più vecchi, e tanto il motore quanto il pilota sarebbero ancora più imbrocchiti, incapaci di una pur minima reazione.

Ma non ci fermeremo a 50 milioni. Scenderemo a 40. Forse sprofonderemo a 30. Forse per la fine del secolo non arriveremo a essere neppure la metà di quelli che siamo oggi. Con il Giappone saremo tra i grandi ammalati del futuro. Pericolosamente moribondi. Ci sono due elementi che letteralmente sgomentano, se guardiamo alle differenze strutturali tra la popolazione italiana di oggi e quella del censimento del 2011, solo dieci anni fa, quando il numero di abitanti era analogo a quello di oggi: gli ultraottantenni fanno un balzo di quasi 800mila unità e di oltre il 21% della loro consistenza, arrivando a superare 4,4 milioni; la popolazione di 25-49 anni, la fascia più vitale produttivamente e riproduttivamente parlando, arretra di quasi 2,3 milioni e dell’11%, scendendo da 21,2 a 18,9 milioni. La divergenza abissale tra le due dinamiche ci dice che cosa può succedere in 30 e 50 anni a una popolazione, qual è la nostra, che abbia infilato a tutta velocità questa china discendente.

Succede che in provincia di Biella nel 2020 ci sono stati 366 morti ogni 100 nati. In provincia di Savona 318. Sembravano impossibilità nude e crude. La pandemia ha pesato sui dati, ma negli anni precedenti i valori erano pur sempre largamente sopra i 250 morti ogni 100 nati. Ce ne sono un bel po’, di province così, peggio che stremate. Enormi case di riposo. Dalle province alle città: Torino, Genova, Firenze, Taranto, Reggio Calabria, Palermo, Messina, Catania, Cagliari, molte delle nostre più grandi città hanno perso dalla fine del 2014, in sei anni, poco meno o poco più del 6% degli abitanti, a una media dell’1% all’anno, che suggerisce l’orizzonte di un secolo di vita. Cagliari, capitale di un’isola dove le italiane non arrivano a un figlio in media per donna, il top dell’autoannientamento, è stata capace di una natalità di 4,8 nascite annue per mille abitanti, per trovare la quale occorre scendere da una natalità di 10,6 a livello mondiale a una di 9,3 a livello europeo a una di 6,8 a livello italiano. E continuare a scendere.

E poi? E poi si può aggiungere che 23 donne su 100 nate nel 1976 restano senza figli, percentuale doppia di quella delle donne nate nel 1950, loro madri. Cosicché c’è da aspettarsi che le figlie delle donne nate nel 1976 resteranno senza figli in una quota tra il 30 e il 40% …

Segni. Sommati assieme prefigurano il disastro. Tempo per rimediare? Nessuno. E sia, diciamo che siamo agli sgoccioli.

 

                                                                  Roberto Volpi

 

 

Ne “La Lettura”, supplemento culturale del Corriere della Sera dell’11 aprile 2021, è stato pubblicato questo articolo di Roberto Volpi, a pag. 10. E’ un allarme ormai ripetuto tante volte. C’è da pensare e da agire.

                                                        Gennaro Cucciniello