I fatti che vogliamo sentire

I fatti che vogliamo sentire

 

Nel “Corriere del Veneto” di mercoledì 22 aprile 2020, cominciando dalla prima pagina e continuando a p. 7, è pubblicato questo articolo di Stefano Allievi, professore di Sociologia all’Università di Padova. Un severo, concreto richiamo alla serietà e alla semplicità dei fatti. Il procrastinare e il “cercare ancora di capire” è una locuzione insopportabile quando si tramuta in indecisione e confusa comunicazione, come quasi sempre è accaduto.

I virologi vedono solo il virus. Gli imprenditori solo le fabbriche. C’è necessità di una mediazione superiore. Bisogna garantire che il sistema economico e sociale resti solido. Se le risorse dovessero scarseggiare sul serio verrebbero meno anche quelle necessarie alla sanità (quante stupidaggini criminali dicono quelli che si oppongono al Mes), la morte allora colpirebbe qua e là, dove vuole, perfino con più violenza. Evitiamo l’isteria, cerchiamo di avere una visione, guardiamo dove stiamo andando, orientiamoci, diamoci un senso, una direzione. Non diamo spazio a quelli che dicono: “dàmmiti, prendimi, oggi il significato del mondo è un cuccurucù”.

                                                                  Gennaro Cucciniello

 

Saremmo anche stanchi di conferenze stampa quotidiane, di numeri spesso inservibili (come quelli –presuntissimi- sui contagiati, e persino sui morti, discutibili nelle modalità di rilevazione e totalmente inutili nelle comparazioni interne e internazionali) mostrati con i cartellini come al lotto o al bingo (nelle conferenze-stampa del governatore del veneto Zaia), di superesperti esposti come oracoli a cui si chiede di tutto tranne il come, di iniziative estemporanee su aspetti materiali tipo le grigliate o quelli che corrono, di polemiche inutili tra tizio e caio cui si prestano anche leader (di governo o di regioni) che non hanno mai avuto così tanto potere incontrastato e così tanta visibilità e voglia di ostentazione, di ricostruzioni faziose di quanto avvenuto provenienti da tutte le parti, di autoproclamate rivendicazioni di eccellenza (io, o noi: sempre i migliori), di fantasiosi volontarismi senza azioni a supporto (riapriremo le scuole), di scaricabarile istituzionali (noi vorremmo: è il governo che non ci autorizza – o viceversa, le regioni che non fanno), di verbalismi tracimanti e incontrollati, di dichiarazioni d’intenti, di terrorismi psicologici e minacce nei confronti dei cittadini che non si comportano abbastanza bene, di furori ideologici sul Mes e sui rapporti strategici con l’Europa, di confusioni sulle applicazioni per il tracciamento.

Di fuffa, insomma. Vorremmo cose, non parole. Umilissimi, ordinarissimi, banalissimi fatti. Ci accontenteremmo, per esempio, di poche, pragmatiche, austere indicazioni. Si riapre? Bene. Siamo più che d’accordo. Sono obbligatorie le mascherine? Bene. Chi le produce, chi le distribuisce alle imprese e ai cittadini, con quali tempistiche, gratuite o a prezzi politici o a carico di chi, a partire da quando (giorno, ora, luogo, organismo incaricato): con quali penali se non lo fa. Sono obbligatori i guanti? Bene. Chi li produce, chi li distribuisce, a carico di chi, a partire da… (ah, già, l’ho già detto). Servono i tamponi per autorizzare al lavoro? Bene, chi li effettua, dove, in quali presidi temporanei, organizzati da chi, da che ora a che ora (come sopra), come è coinvolto il privato, quali obblighi ha, quali diritti ha il cittadino di chiederli, se le imprese possono organizzarsi in proprio, a proprie spese, dove, come.

E ancora. Chi li analizza, con quali tempistiche, chi e in che forma e con quali tempi dà gli esiti (come sopra). Chi controlla che tutto ciò avvenga. Le attività progressivamente riprendono? Andiamo sul difficile: chi organizza i trasporti, e come? Si va in vacanza? Non ci si va? Cosa è stato organizzato sul territorio (regioni, comuni) per tenere i bambini, per fargli fare attività all’aperto, per recuperare la scuola perduta. Si vivrà online? Cosa si fa per dotare chi non ce li ha degli strumenti necessari, per educare chi li ha a usarli meglio (o proprio a usarli), per fornire tutti quanti di una banda decente.

Non bastano le indicazioni di massima, ancor meno gli auspici. Non servono casi eccezionali. Nemmeno esempi edificanti. Soprattutto, non solo divieti. Vorremmo ordinaria amministrazione. Un banale, umile, decente tentativo di presa in carico, nel concreto. E una sola dichiarazione: tutto ciò che non è espressamente vietato è consentito. Veniteci una volta alla settimana, in tv. Ma, per favore, diteci questo.

 

     Stefano Allievi