Il lungo medioevo delle donne

Il lungo Medioevo delle donne

La storica Chiara Frugoni racconta cinque protagoniste dell’età di mezzo. E ne discute con la filosofa Franca D’Agostini. Suggestivi parallelismi.

Questo dialogo è pubblicato ne “La Lettura”, supplemento culturale del “Corriere della Sera” del 19 settembre 2021.

 

Chiarisce subito Chiara Frugoni: “Nell’undicesimo secolo papa Gregorio VII proibisce ai preti di sposarsi: da quel momento la compagna del sacerdote diventa origine di peccato, dunque nemica. Eva, non ne parliamo neanche, è un concentrato di vizi e debolezze. Maddalena va bene solo perché si è pentita. Poi ci sono i modelli inarrivabili come Maria: è vergine prima, durante e dopo il parto…”. Aggiunge Franca D’Agostini: “Di fronte alla misoginia medievale, come oggi di fronte al burqa, o all’esclusione delle donne dal sacerdozio nella Chiesa cattolica, ci chiediamo sempre: perché? Quali ragioni hanno giustificato la tendenza a considerare le donne membri di una sotto-umanità, o un’umanità diversa?”.

Alla risposta arriveremo presto in questa conversazione tra Chiara Frugoni, la storica che nei suoi libri ci ha raccontato il Medioevo per immagini e che prosegue con “Donne medievali” (il Mulino), avvincente percorso che mette in luce, con rigore scientifico, cinque figure emblematiche dell’epoca di mezzo, e Franca D’Agostini, filosofa, docente di Logica e Argomentazione all’Università di Milano. Il libro della Frugoni è l’occasione per discutere di femminismo, di storia, di attualità.

Dunque la misoginia è un’invenzione del medioevo?

Frugoni. “Decisamente sì. Le donne devono solo procreare. Nelle classi sociali elevate sono pedine che smuovono patrimoni, anche perché fino a metà del XII° secolo il matrimonio non è un sacramento, ma un contratto facilmente rescindibile. Abbiamo notizia di una bimba inglese, Grazia, che a 11 anni, nel 1205, è già stata sposata quattro volte. Alla Chiesa, che non è in grado di proporre modelli condivisibili –non ci si può identificare con la Madonna- si aggiungono pedagoghi e autori pronti a raccomandare che le donne rimangano analfabete. Solo se destinate al monastero, un’isola felice dove non si muore di parto, possono imparare a leggere. Sono donne in ombra. Ma da questa folla –la metà sprecata, mi viene da dire- emergono donne speciali e notevoli, che possiamo sentire vicine”.

Anche se così lontane nel tempo?

Frugoni. Sì, mi sarebbe piaciuto incontrarle. Radegonda –guardiamo le date, 518-587- lascia suo marito re Clotario I che le ha ucciso padre e fratello e si fa monaca. La conosciamo più da vicino grazie a un poeta, Venanzio Fortunato, che la avvolge in un’aura ascetica; nello stesso tempo, abbiamo notizia delle poesie, alcune molto divertenti, che i due si scambiavano. Di Radegonda, però, ci è arrivata un’altra biografia, scritta dalla consorella Baudonivia: ci mostra una donna che non dimentica di essere stata regina e imprime una forte azione politica sulla brutalità di quel tempo. Radegonda non è la donna che Venanzio descrive.

L’uomo percepisce la donna in modo diverso dalla realtà?

D’Agostini. No, io credo che la percepisca benissimo. Un conto però è come la vede e un altro come ne parla. Frugoni mette in luce il dualismo delle biografie: Venanzio racconta Radegonda come una santa, Baudonivia descrive una donna reale, che ama mangiare e giocare a dadi, capace di conversare alla pari con i potenti. L’idea medievale del femminile emerge da queste pagine in modo vivido. Mi ha colpito l’analisi dell’arazzo di Bayeux, che celebra la conquista normanna dell’Inghilterra: lungo una striscia di 70 metri sono ricamate 632 figure maschili e solo 6 femminili, figurate come piccole e marginali, prese a schiaffi o vittime di stupro. A testimonianza che l’altra guerra, quella tra i sessi, è stata indiscutibilmente vinta dagli uomini.

Frugoni. E guardate la storia della Comare di Bath (dai Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer, a sinistra a cavallo come un uomo in una miniatura del 1400-1410, nel mio libro): uno stupratore in prima istanza condannato, viene poi graziato dalla regina Ginevra per avere risposto in modo appropriato alla domanda: “Cos’è che le donne desiderano di più?”. E lui: “Quel che desiderano di più è potere dominare il loro marito o innamorato ed essere, nel comando, superiori a lui”.

D’Agostini. Questo ovviamente non è ciò che le donne desiderano, ma quello che gli uomini pensano, o anzi temono, che le donne desiderino. Bisogna ricordare che chi scrive è un uomo: la comare è l’autore dei Canterbury. Qui troviamo la prima risposta alla domanda sul perché: le donne rappresentano una minaccia, sono le nemiche in casa. Devono essere combattute e vinte.

Come rappresentano le donne gli uomini che ne parlano?

Frugoni. Prendiamo Matilde di Canossa, terribilmente infelice, sacrificata al potere tanto da accettare a 42 anni di sposare un quindicenne pingue e impotente. Si rivela fondamentale nel portare avanti la causa di papa Gregorio VII. Eppure nelle miniature in cui l’imperatore Enrico IV si umilia a Canossa e per la mediazione di Matilde ottiene il perdono, lei è rappresentata così piccola… Aggiungiamo che prediche e saggi propagandavano l’inferiorità naturale delle donne, introiettata in famiglia, nelle stesse ragazze, e poi giunta fino a noi. Come? Quando ero piccola ci si fidava più del chirurgo uomo che del chirurgo donna. Mi è capitato spesso di essere intervistata con colleghi maschi: loro professori, io dottoressa…

Avete parlato di donne medievali abituate a sentirsi inferiori, convinte davvero di essere subalterne al maschio. Credete che sia ancora così, nonostante le conquiste della donna, almeno nella società occidentale?

D’Agostini. Sì, molte donne non sono guarite affatto dalla loro insicurezza, nonostante il grande movimento di auto-chiarimento avviato dal femminismo del secondo ‘900. Ma forse l’asse si sta spostando, la nostra sicurezza cresce. In molti settori le donne sono più brave degli uomini. Per esempio, in politica di solito sono più oneste e meno narcisiste: qualità essenziali.

Frugoni. Un esempio medievale è Christine de Pizan, donna colta (nata a Venezia nel 1364), ironica, che rimane vedova e trova nella scrittura il mezzo per risollevarsi, anche economicamente, con una prodigiosa produzione. In “La città delle dame” racconta di avere avuto una visione: vedova disperata, fa naufragio e perde l’anello nuziale, ma arriva la Fortuna e allora: “Mi sentii molto più agile del solito, il mio volto era mutato e indurito e la mia voce era diventata profonda e il corpo più forte e snello, ma dal dito era caduto l’anello che Imeneo mi aveva donato (…) Mi ritrovai con un animo forte e ardito, in cui mi stupivo, ma capii di essere diventata un vero uomo”. Sta dicendo che non sente più il bisogno di essere protetta da un uomo, perché ora è lei il capofamiglia. Non ha paura. Avvia un’impresa editoriale. E diventa un brand: si fa ritrarre sempre allo stesso modo, vestita di blu.

D’Agostini. Christine è la vera eroina del libro. Mi ha colpito un dettaglio: sulla sua scrivania, accanto ai libri e agli scritti, c’è uno specchio. A cosa serve? La risposta la dà la Ragione: lo specchio spinge a guardarsi in faccia, ci ricorda che fare un lavoro intellettuale significa essere consapevoli dei propri limiti. Molti intellettuali di oggi dovrebbero adottare il suo metodo.

Frugoni. E poi c’è Margherita Datini (1360-1423), altra donna straordinaria, sterile e con un marito odioso e sempre lontano. Impara a scrivere da sola, a occuparsi degli affari di famiglia, a tenere testa agli uomini, consapevole dei propri meriti: “Ma d’ogni chosa mi darei pace, pure che fosi chognosciuto la metà di quello ch’io fo”. Almeno la metà.

Coraggiose, utili alla causa, fedeli. Allora perché discriminare le donne?

D’Agostini. Il libro ci dà nuovi materiali per rispondere. E troviamo le tre grandi paure del maschio. La prima è la paura della seduzione esercitata dal corpo femminile, radice di ogni segregazione; la seconda deriva dalla capacità di cura delle donne, un fortissimo argomento alla base della caccia alle streghe; la terza è quella primordiale, messa bene in luce dall’antropologia femminista: le donne danno la vita, mettono al mondo il mondo, questo dà a loro il potere della natura e della divinità allo stesso tempo. Sappiamo che queste paure sono insensate, ma la nostra cultura si è modellata su di esse.

Frugoni. Nel Medioevo l’uomo era più potente anche per un primato fisico evidente. Questa forza ora non serve più e l’uomo sente di avere meno argomenti da vantare. Infine c’è un altro elemento: il terrore che la donna si avvicini al sacro. La storia della papessa Giovanna, mai esistita ma creduta reale per secoli, donna colta che si traveste da uomo e per due anni è papa finché non rimane incinta e viene uccisa brutalmente, ci porta dal medioevo ai nostri tempi. Anche oggi, nonostante l’apertura di papa Francesco, le donne non possono neanche diventare diacono. Ma che senso ha? Perché no? Perché Cristo non aveva discepole?

D’Agostini. D’altra parte, non aveva nemmeno discepoli asiatici o afroamericani.

Frugoni. E perché le suore devono portare il velo?

Allora se parliamo di velo parliamo anche di Afghanistan. I talebani rappresentano il nuovo medioevo?

Frugoni. I talebani sono uomini che dimostrano dove portano il fanatismo religioso e la mancanza di cultura. Ma quel fanatismo lo ritroviamo anche nel telegiornale, quando vediamo uomini uccidere donne, convinti che esse siano una proprietà da cui non ci si può separare, o nell’irrazionalità dei No Vax. No, il Medioevo è altro: è un periodo lungo mille anni a cui dobbiamo tutto, la definizione secoli bui è molto bella, ma non significa niente.

D’Agostini. Non dimentichiamo che gli arabi hanno prodotto una parte importante della nostra cultura. Ma è un’eredità dimenticata e dispersa da buona parte della cultura araba attuale. Diceva Stuart Mill: per capire il grado di civiltà di un Paese bisogna guardare la condizione delle donne, e non v’è dubbio che la sofferenza del mondo arabo cominci dall’umiliazione delle donne.

Gioco delle attribuzioni: se le cinque protagoniste del libro fossero personaggi odierni, quali sarebbero?

Frugoni. Di ognuna di loro scelgo un tratto del carattere e/o della biografia. Radegonda, l’ex regina che da monaca non dimentica il potere cercando di influire beneficamente per il suo Paese, la paragono ad Angela Merkel nel suo imminente futuro: mi immagino che continuerà a interessarsi di politica pur non avendo più un potere ufficiale. Matilde di Canossa, che ha avuto una vita privata schiacciata dalla politica e dal servizio alla Chiesa, la accosto a Diana d’Inghilterra, che scelse di entrare nella famiglia reale e ne fu umanamente travolta.

D’Agostini. Anche per me Radegonda è vicina ad Angela Merkel, una donna che non esiterei a definire santa, di una santità tutta politica. Matilde non è santa, ma quanto a potere forse può avvicinarsi a Christine Lagarde, la presidente della BCE.

Frugoni. La papessa Giovanna la metto in parallelo alla giovane pakistana Saman Abbas, uccisa dallo zio Danish Hasnain perché agli occhi dei familiari aveva osato entrare in un mondo a lei proibito, abbandonando anche l’abito che avrebbe dovuto indossare. Christine de Pizan, che ha scoperto di poter mantenere sé e la famiglia con i suoi scritti, creando un indotto per copisti e miniatori, la paragono a Elvira Sellerio, che dopo la separazione dal marito ha ampliato la fama della sua casa editrice dando lavoro a tanti collaboratori, vendendo parole. Margherita Datini, moglie del grande mercante Franco Datini, maltrattata da un marito difficile e infedele, ma al quale tiene testa e negli anni diviene sempre più consapevole della sua bravura e intelligenza, la paragono a Tina Turner, che dopo essere stata a lungo bistrattata e umiliata dal marito Ike, passato un periodo di crisi, separatasi da lui, dagli anni Ottanta ha avuto una grande ripresa come artista solista.

 

         Chiara Frugoni    Franca D’Agostini  Annachiara Sacchi