L’identità europea è l’esito di una vicenda complessa

L’identità europea è l’esito d’una vicenda complessa

Omero, Platone e Socrate sono stati usati per giustificare il colonialismo e il razzismo, ma anche per difendere i valori umani

 

Ne “La Lettura”, inserto culturale del Corriere della Sera del 20 febbraio 2022, è stato pubblicato questo articolo di Mauro Bonazzi alle pp. 8-9.

 

Ormai signore incontrastato della scena intellettuale tedesca, e presto europea, George Wilhelm Friedrich Hegel era solito iniziare il suo corso a Berlino con un’affermazione lapidaria: “Al nome della Grecia l’uomo colto in Europa, soprattutto noi tedeschi, si sente come a casa propria”. Heimatlich: il termine non era scelto a caso, ed era gravido di conseguenze. Heim non è banalmente la casa (Haus), ma il focolare, l’ambiente familiare in cui ci si sente nel proprio posto. Heimat, la patria. Non male, quanto a chiarezza, per un filosofo notoriamente oscuro. In un momento epocale, mentre il nuovo mondo uscito dalla Rivoluzione francese si stava lentamente assestando, Hegel mostrava cosa ci fosse veramente in gioco. Era la creazione, ma forse sarebbe meglio dire l’invenzione dell’Europa e dell’Occidente, e della sua tradizione.

A pensare così non è Hegel soltanto: “Noi siamo tutti greci”, scrive Percy Bysshe Shelley, “le nostre leggi, la nostra letteratura, la nostra religione hanno le loro radici in Grecia”. Idee simili corrono da una parte all’altra del continente, mentre lord Elgin sta faticosamente organizzando il trasporto (forse sarebbe meglio dire il furto) dei fregi del Partenone in Inghilterra, inseguito dalle truppe napoleoniche che vorrebbero portare questi reperti al Louvre. “It’s coming home” (sta tornando a casa): a Londra, Berlino, Parigi. Possedere questi capolavori, esibirli, significa mostrare a tutti chi è l’erede legittimo di quella civiltà, e dunque chi più degli altri ha il diritto di fregiarsi del titolo di nuova Atene, al centro dell’Europa. “Il miracolo greco”, scrive ispirato Ernest Renan in visita nella vera Atene, “una cosa che è esistita una sola volta, che non si era mai vista, che non si vedrà più, ma il cui effetto durerà eternamente”. La Grecia, l’Europa, noi.

Che cos’è in effetti l’Europa, dove è la sua cifra distintiva? Lo spiegava appunto Hegel: nella ragione. La nostra immagine dell’Occidente è intrinsecamente legata al concetto di razionalità. Qui è il tratto distintivo che fa la grandezza di questa tradizione rispetto alle altre civiltà, i cinesi laboriosi, i mistici indiani, gli islamici dominati dai sensi e dalle passioni. E dove nasce tutto questo? In Grecia, ovviamente: è in Grecia che per la prima volta la ragione (il logos) ha conquistato il suo spazio d’azione, permettendoci di avanzare nella comprensione del mondo, disperdendo le nebbie della superstizione, della magia, delle religioni.

La Grecia è la sua filosofia, insomma, è Platone e Aristotele. “In Platone è il germe di questa Europa che conosciamo così bene”, scrive Ralph Waldo Emerson (in America). Lì è l’Europa: dall’altra parte, tutto il resto. E’ l’eterna divisione tra Occidente e Oriente, tra noi e gli altri: la divisione è così familiare da sembrare scontata, quasi naturale. Non lo è. E’ il risultato di una storia, che conviene conoscere, se vogliamo davvero capire la complessità della tradizione europea. Perché questa è solo una riconfigurazione possibile del nostro rapporto con la Grecia. Di questo si occupa il lavoro più recente di Giuseppe Cambiano, “Filosofia greca e identità dell’Occidente” (il Mulino). Perché poi, che cos’è la Grecia, davvero?

E’ tutta colpa di Platone! E’ lui la più grande rovina d’Europa!”. L’attacco più duro viene dalla penna di un professore di Filologia, una giovane promessa che avrebbe presto tradito il suo campo. Nel 1870, a Sedan, l’esercito tedesco trionfa sulle truppe francesi, la Germania si conferma potenza europea. L’avventura di Friedrich Nietzsche a fronte dura poco, perché si ammala subito. La sua battaglia, del resto, si svolge altrove: nel 1872 pubblica “La nascita della tragedia”, e tutto cambia.

Perché ciò che questo libro astruso dimostra è che l’immagine di una Grecia serena, armonica e razionale, un modello di perfezione, è una finzione. “Giudicare i Greci dai loro filosofi!”. La vera Grecia è altro: è dolore, caos, disordine; è il coraggio di guardare all’assurdità della condizione umana senza cercare facili consolazioni, come se ci fosse sempre una spiegazione morale per tutto. E’ Dioniso e Omero, non Socrate o Platone; la vera Grecia non ha nulla a che spartire con quella sterile esaltazione della ragione, in cui l’Europa borghese si rispecchia compiaciuta, timorosa di scrutare le proprie malattie.

Al momento non sembra, l’Europa è all’apice della sua potenza, ma presto la crisi diventerà evidente, e non per le ragioni preconizzate da Nietzsche. Senza quasi rendersene conto, in effetti, l’esaltazione dei Greci antichi contribuisce alla diffusione di un’ideologia colonialista. I Greci non sono come gli altri: i francesi sono francesi, i cinesi sono cinesi, i Greci sono l’idea stessa di cosa è un essere umano nella sue perfezione. Il compito per tutti è quello di imitare le loro verità eterne e universali, diffonderle è responsabilità delle potenze europee, impegnate nella loro missione civilizzatrice.

Qualche anno ancora e la situazione degenererà, con l’avvento dei totalitarismi –con l’Italia fascista che si proclama erede dell’impero romano e Hitler che si proclama erede dei Greci, la razza delle bestie bionde (un’espressione che Nietzsche aveva ricavato da Platone, rendendola celebre). Gli ideologi nazisti non si stancano di ripeterlo: i tedeschi sono gli eredi, spirituali e biologici (non è forse vero che i Dori arrivavano dal Nord?), della Grecia, e dunque i guardiani e i salvatori dell’Europa. La casa di Hegel diventa la Fortezza Europa. E’ questa la nostra tradizione?

Non sorprende che siano proprio i filosofi i primi a rimettere in discussione. Perché è appunto nel confronto con la filosofia che si comprende il destino dell’Europa. Il primo, tanto per cambiare, è Nietzsche: il buon europeo, così si definisce, si rivela nella lotta contro il Platone, contro il cristianesimo (che altro non è che platonismo per il popolo), contro questa illusione che la ragione possa spiegare tutto. Il problema è cosa resta, dopo aver reciso i contatti con la propria tradizione. Poco, secondo Nietzsche: “Uno non si trova più a casa da nessuna parte (heimisch); perché c’è un solo posto in cui ci si sentirebbe a casa, dove si desidera essere: il mondo greco! Ma i ponti sono rotti….

Dalle coste della California, dove è dovuto riparare in fuga dalle orde hitleriane, gli farà eco Theodor Adorno. La crisi dell’Europa è la crisi della razionalità, di questa pretesa di poter controllare tutto grazie alla ragione. Perché questa fiducia nel logos era un’illusione, un mito che nascondeva un desiderio di sopraffazione e di violenza che colonialismo e nazismo hanno ormai portato alla luce. Il viaggio verso la patria greca termina così in un naufragio, come nel folle volo dell’Ulisse dantesco. La Grecia sfugge come acqua dalle mani, e con lei l’idea stessa d’Europa. Quella che resta è la nostalgia, non si sa più neppure di che cosa. “Europeo: colui che ha nostalgia dell’Europa”, scriverà a tal proposito Milan Kundera.

Ma questa è solo una parte, piuttosto ridotta, di una storia molto più ricca e promettente. Cambiano lo spiega bene, sono tante altre le riconfigurazioni possibili della Grecia nel corso dei secoli. Se l’Europa moderna sembra ossessionata da un’ansia isolazionista, ben diversamente erano andate le cose in precedenza. Nel 1400, ad esempio, mentre a Firenze arrivavano i dotti bizantini in fuga da Costantinopoli. Il Rinascimento, che fa la gloria dell’Italia, è sì la riscoperta del mondo antico, ma in un senso completamente differente rispetto alla modernità. Per i grandi autori rinascimentali, come Pico della Mirandola o Marsilio Ficino, il mondo greco (o meglio: la filosofia platonica) è il ponte che ci avvicina alla sapienza delle tradizioni orientali –dell’antico Egitto e della Persia, o della cabala giudaica. La riscoperta del mondo greco serve insomma a risvegliare la consapevolezza di una storia comune, fatta di scambi e di incontri (e anche scontri, certo), che unisce, non che divide.

E’ interessante questa idea della Grecia come ponte. Ci ricorda che l’identità europea è l’esito di una vicenda complessa, e in continuo movimento, pronta al dialogo e non alla chiusura. Del resto, quegli stessi testi che erano stati usati a supporto del colonialismo si sarebbero poi prestati a letture ben diverse: come per esempio l’Apologia di Socrate di Platone, sempre lui, l’idolo nei nazisti, capace di ispirare Gandhi e Martin Luther King nella battaglia contro le ingiustizie del razzismo. O, più sorprendentemente ancora forse, come l’Iliade, il poema della forza, in cui Simone Weil aveva trovato l’esatto opposto di quello che tanto piaceva ai cultori della violenza invaghiti di Achille: un canto alla solidarietà degli uomini uniti nel dolore.

Anche questa è la Grecia, senza miracoli, ma più umana. E se avessero ragione proprio loro, i Pico, i Gandhi e le Simone Weil? Di certo è impossibile fare a meno di occuparci di questo piccolo popolo presuntuoso (Nietzsche): perché parlare di loro significa parlare di noi, e di quello che vogliamo essere.

 

                                                                  Mauro  Bonazzi