Un Ernesto Che Guevara nascosto

Ernesto Che Guevara nascosto

Eroe romantico e repressore. Uomo d’azione e intellettuale. Tipo schivo diventato icona globale nell’epoca delle immagini.

A 50 anni dalla morte, mito e realtà di un emblema del Novecento nel racconto del suo maggiore biografo. In questo numero del “Venerdì di Repubblica” del 15 settembre 2017, alle pp. 16-20 Omero Ciai intervista Jon Lee Anderson.

 

Dopo la monumentale biografia “Che. Una vita rivoluzionaria”, pubblicata per la prima volta nel 1997 e ora riedita da Feltrinelli, Anderson riuscì quasi per caso a svelare, con l’imprevista confessione di un generale che poi venne arrestato, il luogo segreto dove i ranger boliviani avevano sepolto il guerrigliero argentino. E grazie a quella rivelazione oggi le spoglie del Che riposano nella città di Santa Clara, a Cuba. Jon Lee Anderson, californiano, classe 1957, giornalista del “New Yorker”, è uno dei più importanti studiosi di Ernesto Che Guevara. Nel suo libro rivelò anche che la data di nascita ufficiale del Che era sbagliata. “Nacque il 14 maggio 1928 e non il 14 giugno, come ancora sostiene Wikipedia”.

 

A cinquant’anni dalla morte, il 9 ottobre del 1967, cosa resta del Che? E’ solo un volto spavaldo su una maglietta?

La popolarità di Che Guevara ha avuto i suoi andirivieni, le sue oscillazioni in questo mezzo secolo. Dopo la sua morte divenne una figura pop e un simbolo di rivolta in tutto il mondo fino all’inizio degli anni Ottanta. Negli anni Sessanta e Settanta era un cliché, in America il suo poster stava nei dormitori dei campus. Poi la sua fama si affievolì. Tornò in gran voga alla fine del secolo scorso quando venne recuperato il suo cadavere a Vallegrande, in Bolivia, e poi con l’inizio del boom turistico di Cuba, e l’arrivo al potere di Hugo Chavez in Venezuela. Negli ultimi sei-sette anni è iniziata una nuova stagione di oblio ma credo che il Che, al di là dei coefficienti di vendita dei suoi gadget, sia ormai un archetipo universale come Icaro, è l’archetipo della ribellione e rimarrà il mito del guerrigliero universale per sempre.

 

Cosa pensa della relazione tra la verità storica e l’icona? Nel mito di Guevara emerge soprattutto la sua sfaccettatura più romantica, eroica, ma la sua personalità fu molto più complessa. Oggi, per esempio, c’è chi ricorda il suo ruolo nei processi sommari e nelle fucilazioni dopo la vittoria della rivoluzione a Cuba.

Per me non c’è nessun lato oscuro. Guevara era un guerrigliero. Cosa vi aspettate da un guerrigliero? Per caso un guerrigliero è soltanto un poster? Una bella faccia? Che Guevara non era né Mandela, né Madre Teresa di Calcutta. E qui c’è il paradosso del mondo consumista nel quale viviamo. L’iconografia del Che è molto superficiale, nell’immaginario è rimasto come un bel volto di eroe drammatico, ma lui visse in un mondo reale. Non in un mondo iPhone, dove la protesta attuale è un clic, un “like” o un “I don’t like”. Non era un mondo Facebook, era un mondo vero. E adesso si scopre che Guevara ordinò esecuzioni sommarie, che fucilò i suoi avversari.

Con la vittoria della rivoluzione a Cuba nel 1959 vennero arrestati militari dell’esercito di Batista, funzionari dei servizi segreti, torturatori. Persone che, mentre Castro e Guevara erano sulla Sierra Maestra, si erano dedicati alla caccia dei simpatizzanti della guerriglia nelle città. E cosa facevano a questi simpatizzanti? Gli offrivano una Coca-Cola? No, li sgozzavano e li appendevano agli alberi. Che Guevara nel Forte della Cabana guidò i tribunali speciali che condannarono a morte i funzionari del regime sconfitto.

 

Un aspetto controverso per un mito romantico.

Certo. Ma va giudicato nel suo contesto. D’altra parte Che Guevara predicava l’uso della lotta armata per la conquista dell’utopia sociale sulla Terra, quindi nel mondo di oggi è certamente una figura controversa. Ma stiamo parlando del mondo della Guerra Fredda. Quello fu il suo tempo.

 

Vent’anni fa si giudicava diversamente?

Sì. Quando raccontai delle fucilazioni sommarie nella biografia nessuno alzò un sopracciglio. Oggi invece i mesi sanguinari di Guevara nella Cabana sono una preoccupazione. E’ molto interessante secondo me perché rivela come ogni generazione osservi la Storia precedente con i suoi codici e tenda a giudicarli fuori dai contesti. Faccio un altro esempio: adesso si discute se Fidel Castro fosse omofobo e si ricordano le campagne contro gli omosessuali nei primi anni della Cuba rivoluzionaria. Ma in quell’epoca questo non era un tema. Tutti erano omofobi, tranne gli omosessuali ovviamente. La società occidentale si evolve, per fortuna, e noi oggi accettiamo come normali, giusti e sacrosanti i matrimoni gay. Ma da quanto tempo? Ancora dieci anni fa era inconcepibile. E’ inevitabile giudicare i personaggi del passato con le nostre percezioni di oggi. Ma è anche ingiusto e rischia di essere deformante.

 

Come descriverebbe il rapporto tra Che Guevara e Fidel Castro?

Iniziò come una relazione di ammirazione assoluta da parte di Guevara. Si mise al suo servizio. Ed è molto chiaro, anche da tutto quel che scrisse, che non ci fu mai competitività da parte del Che. Sempre riconobbe e rispettò il ruolo di Fidel Castro come lider màximo della rivoluzione, come leader nazionale cubano. Quello che invece accadde, più o meno a partire dalla crisi dei missili del 1962, fu che Guevara si rese conto che Castro era costretto ad accettare per pragmatismo le posizioni dei sovietici, mentre lui diventava ogni giorno di più un fustigatore del doppio imperialismo, quello di Washington e quello di Mosca. Vedeva i sovietici come decadenti e corrotti, per nulla socialisti. E non lo sopportava. E cercò sempre di tornare sul terreno della guerriglia dove sentiva realizzarsi la sua teoria dell’uomo nuovo.

 

Perché lasciò Cuba?

Perché era stanco, perché pensava di aver già fatto quel che doveva fare, perché non era la sua rivoluzione. Guevara aveva già inviato amici e compagni, come Jorge Masetti, a morire cercando di accendere un foco guerrillero nel suo Paese natale, l’Argentina. E sentiva il peso psicologico di quelle morti. Andando in Bolivia voleva aprire un fronte che lo avrebbe poi portato in Argentina. Non penso che ci sia stata una rottura fra Castro e Guevara. Più semplicemente credo che si resero conto che le loro strade si dividevano. Il Che non era per niente diplomatico. I sovietici non lo sopportavano e rimproveravano Fidel Castro perché lo proteggeva.

 

Però Raùl Castro ruppe con il Che. Ci fu tutta la polemica su Guevara anti-sovietico e filo-cinese. Raùl lo prendeva in giro raccontando barzellette…

Sì ma è stata anche sopravvalutata. Raùl, il più filo-sovietico fra i dirigenti cubani, era d’accordo con lo status quo che suo fratello aveva negoziato con i sovietici? Questo è certo. Come è certo anche che Guevara, al contrario di Mosca, volesse aprire fronti guerriglieri anti-imperialisti dovunque fosse possibile: l’idea dei cento Vietnam. Ma non ci fu mai una rottura aperta fra loro due. Guevara poteva diventare un personaggio scomodo per la Cuba che aveva stretto un’alleanza draconiana con l’Urss ma in realtà era lui in primo luogo a sentirsi scomodo, fuori posto. Non ruppero, se ne andò per la sua strada. Guevara sognava con la sua utopia, con la purezza rivoluzionaria che aveva idealizzato nella guerriglia della Sierra Maestra.

 

Scegliere la Bolivia fu un’avventura suicida fin dall’inizio?

Non direi. Alcuni dei guerriglieri di quella missione sopravvissero. Avrebbe potuto sopravvivere anche il Che. Ma nel momento stesso in cui inizi un’azione di guerriglia convivi con la morte. Con la tua e con quella dei tuoi compagni. Guevara sapeva che aveva moltissime possibilità di morire. Fin dall’inizio la scommessa della guerriglia in Bolivia fu molto rischiosa ma non necessariamente suicida. Oggi possiamo dire che fu una scommessa sbagliata. Ma lo era stata anche quella della guerriglia a Cuba prima che avesse successo. La Bolivia fu una missione molto temeraria ma la vittoria a Cuba era diventata il paradigma da replicare. Nella concezione di Guevara partecipare alla lotta armata era già l’ideale realizzato. Lo scrisse: “Dovunque ci sorprenda, che la morte sia benvenuta”. Perché la morte avrebbe fatto nascere nuove guerriglie. D’altra parte, morendo, il Che si trasformò in una figura mitologica, in una fenice.

 

Restano misteri sulla sua morte?

Che Guevara venne catturato l’8 ottobre del 1967. La mattina del 9 venne giustiziato su ordine del presidente boliviano René Barrientos. Penso che la versione della Cia sul fatto che gli americani avrebbero preferito portarlo via vivo sia vera. Volevano interrogarlo, avere informazioni. Pensavano di poterlo usare come merce di scambio con Castro. Ma alla fine, in realtà, assassinarlo rappresentò un sollievo per tutti.

Facciamo un bilancio: le idee rivoluzionarie degli anni Sessanta non hanno lasciato realtà molto incoraggianti. Cuba è un regime familiare. In Nicaragua Daniel Ortega è diventato un satrapo. Il Venezuela è il disastro che abbiamo sotto gli occhi…

D’accordo ma se è vero che in molti casi le rivoluzioni di sinistra sono finite male è anche vero che l’America latina, nel suo insieme, è un emisfero con una problematica specifica e nel quale anche la destra, appoggiata dagli Usa, ha fallito. Non è possibile misurare il successo di una politica soltanto con gli indici economici. Perché, esclusa Cuba, l’America latina ha gli indici di violenza più alti del mondo? Perché non c’è uno Stato di diritto? Perché il narcotraffico in alcuni Paesi è una cisti maligna come l’Isis in Siria? Direi che in America latina hanno sbagliato tutti.

 

Come ha scoperto l’errore nella data di nascita di Ernesto Che Guevara?

Me lo raccontò un’amica di sua madre Celia. E poi lo confermarono altri della sua famiglia. Celia mentì sulla data di nascita perché Ernesto era stato concepito prima del matrimonio. E a quell’epoca era una cosa di cui vergognarsi. Il tutto venne svelato da una chiromante quando gli fece il quadro astrale. Non poteva essere un Cancro. Era per forza del segno del Toro e Celia crollò con le sue amiche ammettendo che Ernesto non era nato a giugno ma un mese prima, il 14 maggio del 1928.

 

                                                                       Omero Ciai