E un giorno l’uomo si prese il comando

E un giorno l’uomo si prese il comando

Il patriarcato ha solo cinquemila anni (sui 200mila del Sapiens) e non ha nulla a che fare col cervello.

 

Nel “Venerdì” di Repubblica del 17 dicembre 2021, alle pp. 70-73, Alex Saragosa commenta il saggio del biochimico Charles Pasternak, presidente dell’Oxford International Biomedical Centre.

 

“Donna, sei intelligente come una scimmia” (frase di uno scriba accadico di 4500 anni fa). “E’ meglio che le donne restino ignoranti” (frase del filosofo Confucio, 2400 anni fa). “Le donne sono uomini mal riusciti” (frase del vescovo Alberto Magno), 850 anni fa. “L’ingegno dell’uomo raggiunge vette a cui la donna non può aspirare” (frase di Charles Darwin, 130 anni fa. Queste espressioni racchiudono la parabola di quella strana allucinazione che per millenni ha fatto ritenere ai maschi di essere più intelligenti, forti di carattere e creativi delle femmine.

Il biochimico Charles Pasternak, 81 anni, nipote dell’autore del “Dottor Zivago”, nel titolo del suo ultimo libro ha dato un nome a questo fenomeno psicologico: “Androcentrism” (World Scientific, pp. 202, € 29). “Visto che oggi tante donne primeggiano nelle scienze, arti o politica, e ci rendiamo tutti conto di quanto assurda fosse quella idea, mi è venuta la curiosità di indagare su come e perché possa essere nata”, spiega Pasternak. Per prima cosa l’autore cerca di capire se per caso gli androcentrici non avessero una qualche ragione: magari il cervello maschile è davvero superiore a quello femminile.

Capacità cognitive.

Ma la risposta è no: il cervello, di base, non ha sesso. Sono decenni che i neuro scienziati lo esaminano cercando differenze che possano far riconoscere a prima vita l’organo cerebrale come maschile o femminile, ma senza esito. Sì, ci sono alcune strutture che, secondo alcuni scienziati, ma non tutti, differiscono un po’: per esempio recentemente Siyuan Liu del National Institute of Mental Health ha scoperto che certe parti della corteccia cerebrale sono più sviluppate nelle donne e altre negli uomini. Ma sono differenze che appaiono soltanto dopo complessi calcoli statistici, compiuti su campioni molto vasti, perché i cervelli variano in media più fra gli individui che fra i due generi”.

Nonostante abbiano cervelli identici, o quasi, la diversa funzione riproduttiva fra maschi e femmine dei mammiferi, con le seconde che si devono accollare gravidanza, allattamento e protezione dei piccoli, ha comunque indotto differenze nel comportamento. “Diverse ricerche, per esempio quelle del neuropsicologo inglese Simon Baron Cohen, hanno rivelato che in media le donne tendono ad essere più empatiche degli uomini, una qualità in effetti indispensabile per la cura della prole. Io credo, con molti colleghi, che sia la differente esposizione agli ormoni nei due sessi a cambiare un po’ connessioni e struttura nei rispettivi cervelli, rendendoli più adatti ai propri compiti riproduttivi. Ma tutto ciò non influisce sulle capacità cognitive: lo psicologo Roberto Colom, dell’Università Autonoma di Madrid, dopo aver esaminato i risultati di diecimila test per il QI, ha concluso che l’intelligenza generale in uomini e donne è la stessa”.

La mancanza di basi reali della presunta superiorità cognitiva maschile, però, non ha certo impedito all’androcentrismo di prosperare per millenni.

La parità originaria.

Per meno tempo di quello che si potrebbe pensare, però: probabilmente esiste solo da circa 5mila anni, sui 200mila di esistenza di Homo Sapiens. Per gran parte di quel periodo –continua Pasternak- gli umani hanno vissuto di caccia e raccolta organizzati in piccole tribù, e nelle attuali popolazioni che vivono in quel modo, come gli Hadza in Tanzania o i Boscimani del Kalahari, maschi e femmine svolgono compiti diversi, ma non sembrano ritenersi superiori all’altro genere. Non possiamo sapere se fosse lo stesso nel Paleolitico, ma le numerose raffigurazioni femminili di quel periodo e la scoperta di tombe di donne con ricchi corredi sembrano indicare che le donne allora non fossero certo il “secondo sesso”. Recentemente, l’esame del Dna sui resti di 27 cacciatori preistorici nelle Americhe ha rivelato che il 41% di loro erano in realtà cacciatrici, a dimostrazione che neanche quella prestigiosa attività era esclusiva maschile”.

Casta guerriera.

“Neppure le prime civiltà agricole sembrano caratterizzate da grandi differenze di status fra i generi. Queste –dice sempre Pasternak- appaiono piuttosto con la comparsa dell’allevamento, come ipotizzava del resto anche Friedrich Engels. Allevare animali vuol dire possedere cose di notevole valore, che possono essere facilmente rubate. Questo portò alla nascita di caste di individui specializzati nel prendersi o difendere dai rivali mandrie, pascoli e sorgenti d’acqua, attività che, richiedendo forza fisica e aggressività, privilegiavano i maschi, conferendo loro uno status sociale sempre maggiore. Da quelle caste guerriere emersero poi i primi “capi”, i predecessori di re e imperatori. La civiltà più antica conosciuta a venerare Dei maschi guerrieri è quella degli allevatori Kurgan, apparsa intorno al 5mila a.C. nelle steppe fra Caspio e Mar Nero. Questi bellicosi popoli delle steppe hanno poi invaso le terre a Est e Ovest, diffondendo innovazioni come l’uso dei cavalli e la ruota, ma forse anche il senso di superiorità maschile”.

L’esaltazione delle virtù guerriere è stato però solo il primo passo: nelle tribù di caccia e raccolta il numero dei bambini andava limitato per non eccedere la capacità produttiva del territorio, mentre nelle civiltà agricolo-pastorali più braccia c’erano per coltivare i campi e combattere e meglio era. E visto che la mortalità infantile era altissima, ecco che il compito primario delle donne diventò quello di fare figli a ripetizione, e le femmine fertili un bene da rubarsi a vicenda fra le popolazioni.

“Non solo, i maschi volevano anche essere certi che i figli fossero i loro, perché ne avrebbero ereditato i beni: da questo derivò un sempre più ossessivo controllo sulla sessualità femminile che portò al culto della verginità e persino, talvolta, a mutilazioni genitali per assicurarla. C’erano certo grandi differenze fra una civiltà antica e l’altra, per esempio i vichinghi avevano donne guerriere, cosa che avrebbe inorridito gli ateniesi di Pericle, ma in generale l’orizzonte concesso alle femmine in passato si restrinse sempre di più alla sola casa e poco più, attraverso l’esclusione dalla vita pubblica, il divieto di lavoro e istruzione e uno status giuridico subordinato a padri o mariti”.

Da Ipazia a Giovanni D’Arco.

E dopo che le donne furono costrette a passare la vita a badare a casa e bambini, senza istruzione e addette a lavori semplici e ripetitivi, ecco nascere la giustificazione che non potessero che vivere così perché “intellettualmente deboli” e bisognose di tutela maschile. “Nonostante ciò, tante donne riuscirono a emergere nell’antichità: guerriere, come Boadicea, che resistette all’invasione romana della Britannia, artiste come Saffo, o filosofe come Ipazia di Alessandria. I “secoli bui” del medioevo europeo si rivelarono invece meno opprimenti per le donne, grazie anche all’istituzione del monachesimo, che legittimava il non avere figli e l’educazione femminile. Non a caso fiorirono allora tante straordinarie figure femminili: da Ildegarda di Bingen, teologa e proto scienziata, alla guerriera mistica Giovanna d’Arco, fino a Cristina di Pizzano, prima scrittrice professionista e femminista”.

La svolta dei diritti universali.

Se il patriarcato forse nacque con l’allevamento, più certo è che la sua fine iniziò con le rivoluzioni borghesi in America e Francia: da quel momento la contraddizione fra gli appena proclamati diritti dell’uomo e la condizione della donna si fece sempre più insostenibile. “Ed è allora infatti che si alzano voci come quella di Mary Wollstonecraft, che a fine XVIII secolo scrisse “Sui diritti delle donne”, uno dei primi libri femministi. Da allora la progressiva frana dell’androcentrismo non si è più fermata”.

A completarla sono state scienza e tecnologia: i progressi della medicina, abbattendo la mortalità infantile e fornendo anti-concezionali efficaci, hanno permesso alle donne di uscire dalla condizione di macchine per fare figli, mentre l’invenzione degli elettrodomestici ha permesso di dedicare più tempo alla propria educazione e carriera. “E così alla fine, sia pure con sconcertanti rigurgiti del passato (vedi Afghanistan, ma non solo), l’androcentrismo è stato sepolto, almeno nel pensiero pubblico e nelle leggi, anche se, forse, non nel cuore di molti uomini”, conclude Pasternak. Non è un caso forse se i Paesi guidati da donne sembrano aver affrontato meglio il Covid-19, e se i rivoluzionari vaccini a mRna nascono dal lavoro di scienziate come l’ungherese Katalin Karikò, che ne aveva individuato le potenzialità negli anni ’90, ma non era stata ascoltata dai dirigenti degli Istituti dove lavorava, maschi naturalmente.

 

                                                        Alex  Saragosa