Liberté, Egalité, Fraternité, Animalité. Un tema della Rivoluzione francese.

Liberté, Egalité, Fraternité, Animalité.

Vietare la caccia? Imporre a tutti di diventare vegetariani? L’illuminismo francese si interrogò anche sui diritti degli animali.

 

Nel “Venerdì di Repubblica” del 15 settembre 2017, alle pp. 94-97, Daria Galateria commenta in un suo articolo il saggio di Pierre Serna, uno storico che ha ricostruito in un libro un dibattito originalissimo e rivoluzionario sui diritti degli animali.

                                                        Gennaro Cucciniello

 

Come mai questo libro non è stato concepito prima? Se lo chiede Pierre Serna, l’autore di “Comme des betes” (Fayard, pp. 440, € 25), ponderoso, pioneristico, splendido saggio sulla Storia politica dell’animale in Rivoluzione (1750-1840)”, come recita il sottotitolo. Eppure sono molte le tracce che riconducono a quel periodo la genesi del diritto degli animali.

Fin dai primi mesi della Rivoluzione francese, il 20 agosto 1790, l’Assemblea nazionale dibatte sul destino del Jardin des Plantes, l’orto botanico del re; si stabilisce che debba accogliere anche gli animali, “monumenti viventi della natura”. Tre anni dopo, lo scrittore Bernardin de Saint-Pierre, intendente del Jardin, invia una lettera patetica al ministero degli Interni per “salvare il rinoceronte di Versailles”, inducendo la Convenzione a fondare a Parigi il Museo di storia naturale, e a unirvi una Ménagerie – lo zoo. I parigini accorrono; ma i responsabili si confrontano con la malinconia delle bestie in cattività. Una tigre soccombe alla polmonite, un elefante si rompe le zanne contro le sbarre per raggiungere la femmina; madri di lupi e leoni uccidono i piccoli appena nati; un aguti si lascia deperire dopo l’allontanamento della compagna, che assaliva con violenza pericolosa. Frédéric Cuvier, lo zoologo curatore del Museo dal 1804, riconosce la natura anche psicologica dell’ecatombe. Per favorire gli accoppiamenti servono gabbie sempre più grandi, ma l’arrivo di una coppia di elefanti, Hans e Marguerite, trova tutti impreparati; in confronto all’esibizionismo delle scimmie, i pachidermi sono riservatissimi. Si consulta la “Storia naturale” di Buffon (naturale mica tanto, diceva Voltaire, perché classificava una linea ininterrotta delle specie, dalla cellula alla scimmia all’uomo: per non finire alla Bastiglia, l’autore aveva badato a sistemare da qualche parte nell’introduzione di ogni volume la parola Dio). Per gli elefanti, Buffon escludeva che adottassero la posizione del missionario (con l’argomento che i pachidermi non possono stare sulla schiena); ma le testimonianze dei viaggiatori erano contraddittorie, bisognava forse creare un apposito avvallamento. Per favorire gli amori dei nuovi venuti, si tentò perfino un concerto; ma né Gluck né Rameau (né la proboscide amorosa della femmina sulle parti sensibili di Hans) ebbero effetto; il “Ca ira! Ca ira” provocò un’eccitazione civica, ma era un fuoco di paglia. Due leoni acquistati in Tunisia generarono invece, nel novembre 1800, tre cuccioli, subito chiamati Jemappes, Marengo e Fleurus, le vittorie della Rivoluzione.

Il 3 novembre 1793 il Comune di Parigi prese l’iniziativa di requisire (indennizzando beninteso i proprietari) tutti gli animali viventi che da sempre venivano esposti alle fiere: animali sapienti, capre letterate, gatti musicisti e cani acrobati, sirene e animali esotici. Ciarlatani e domatori vantavano scimmie danzanti sulla corda, cavallini turchi capaci di contare il numero dei bottoni degli spettatori, canarini che rispondevano alle domande prendendo le lettere da un tavolo. Giravano serragli di 45 animali esotici; in un’apposita arena detta Combats des animaux, al nord di Parigi si assisteva, per 25 soldi, a spettacoli di sangue: tori attaccati dai cani, combattimenti di leoni e lupi. Ora, sotto il famigerato Comitato di Salute Pubblica, 16.000 lire vengono assegnate a tal Louzardi in cambio di un orso bianco, due mandrilli e altre bestie curiose, che esponeva nel suo carrozzone: spesso maltrattate e in dubbie condizioni di pulizia. Tutte sono spedite al Museo di Storia naturale, appena costituito in un quartiere povero di Parigi.

Nel 1802, tredici anni dopo la proclamazione dei Diritti dell’Uomo, viene lanciato un concorso per conoscere il parere illuminato dei cittadini sul seguente tema: “Fino a che punto i trattamenti barbari praticati sugli animali interessano la morale pubblica? E converrebbe fare delle leggi al riguardo?”. La Repubblica aveva ereditato dall’Antico Regime l’uso di queste consultazioni pubbliche; e si sa quali effetti rivoluzionari aveva generato il testo vincitore di un innocuo tema sulla perfettibilità generata dalle scienze e dalle arti, firmato Jean-Jacques Rousseau. Per il tema sugli animali, il premio consisteva in una medaglia d’oro di cinque etti: ma la giuria, il 24 marzo 1804, stabilì che nessuno dei testi pervenuti in buon numero (28) era degno del premio, pur segnalandone quattro, peraltro di tesi opposte. In effetti molte cose erano accadute in quei due anni: lanciato, durante il Direttorio, dalla sezione delle Scienze morali e politiche dell’Institut (risorta Académie), il concorso si conclude quando Napoleone Primo Console ha soppresso la sezione, e 15 giorni dopo che il suo Codice Civile ha stabilito all’articolo 528 che gli animali sono beni mobili, “acquistabili e rivendibili come ogni altra proprietà”. Al concorso lo stesso Pierre Serna, professore alla Sorbona e direttore dell’Istituto di storia della Rivoluzione francese, aveva dedicato il libro “L’Animal en République (1789-1802)”, pubblicato nel 2016 da Anacharsis (pp. 250, euro 22). Gli elaborati –opera di abati, militari, nullatenenti, chirurghi e funzionari (Bourguignon, giurista, sarà per 27 giorni capo della polizia; Salaville è giornalista)- sono oggi in rete. Molti citano i “Quattro stadi della crudeltà”, la serie di stampe del 1751 in cui William Hogarth mostra un personaggio che sodomizza un cane e bastona un cavallo sfinito; o le tesi di Condillac sulla sensibilità di tutti gli esseri, contro l’animale-macchina di Cartesio; diffusi, negli anni del Concordato tra Napoleone e la Chiesa, gli argomenti cattolici o contro l’economia dello sfruttamento delle bestie. Undici dissertazioni s’interrogano sul “privilegio imbecille” della caccia e sulla liceità di mangiare gli animali: sprovvisto di artigli e di possenti canini, l’uomo sarebbe anatomicamente inadatto. Salaville invece considera impolitico e anticivico rifiutare al buon repubblicano la carne; il suo testo sarà tra quelli segnalati dalla giuria.

Tra i personaggi e le mille storie di “Comme des betes”, il più ecologico è il progetto di Costituzione del cittadino Boissel, estremista vicino agli Enragés (Arrabbiati). Nel 1793 Boissel propone di abolire il matrimonio, mettere sotto sorveglianza stretta i rappresentanti della nazione, ripensare l’urbanistica. Per lui la città si distingue per uno spreco immondo: mescola l’urina con la materia fecale, rendendola inutilizzabile per l’agricoltura. Bisognerà invece far seccare lo sterco su carta pulita e in ambienti areati, ottenendo così, in uno scambio virtuoso con i contadini, la frutta e le insalate più fresche. Il progetto, letto in pieno comitato di Costituzione, preconizzava nel preambolo il diritto degli animali: “la politica è l’associazione di tutti gli esseri che compongono la natura”: impensabile sgozzare le bestie, “la Repubblica sarà vegetariana o non sarà”.

Solo nel 1850, la seconda Repubblica voterà la legge Grammont, che puniva con un’ammenda da 5 a 15 franchi, e fino a 5 giorni di prigione, chi si era reso colpevole di “pubblici e abusivi maltrattamenti di animali domestici”.

 

                                                        Daria Galateria