Patria Europa: il viaggio, la scoperta, il naufragio

Patria Europa: il viaggio, la scoperta, il naufragio.

I nazionalismi producono vuote retoriche o razzismi miserabili. Andare oltre i confini, includere, accogliere: questo è stato ed è il suo destino storico. L’Europa, non definita da radici e dimore, qualificata dalla curiosità, è in navigazione o non è.

 

Nei giorni che precedono le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo “L’Espresso” ha pubblicato questo articolo di Massimo Cacciari, 19 maggio 2019, pp. 10-13.

 

Un merito occorre riconoscerlo a populisti e sovranisti: avere imposto la questione “può essere Patria l’Europa?”. Poiché non basta spiegare razionalmente come la costruzione di un’autentica sovranità europea che comprenda in sé, in un assetto federalistico, quelle nazionali sia necessaria per la difesa dei nostri interessi economici, del nostro (sempre più relativo) benessere, per non ridursi a nani impotenti nei confronti dei grandi Imperi contemporanei. Piaccia o no, l’agire politico si è sempre mosso e sempre si muoverà anche su altre basi e per altri fini. La politica non si ridurrà mai a un’arte del calcolemus, fondata su una disincantata razionalità allo scopo. Grandi miti hanno sempre vissuto all’interno dei grandi disegni o progetti politici. Miti che stanno a fondamento di etiche nel senso più profondo e radicale del termine: non qualche massima morale, ma insieme di consuetudini, costumi, forme di vita, che sembrano quasi affondare in passati immemorabili, dentro ai quali abitiamo. Certo, ormai secolari processi di secolarizzazione e le grandi tragedie del ‘900 hanno portato a un profondo disincanto nei loro confronti. E tuttavia il loro valore, nel senso più reale, materiale del termine, è ancora ben riconoscibile in America come in Russia, in Cina come in India. L’ethos di una Patria non viene sradicato dalle tempeste che la sconvolgono, ma sembra quasi –a volte- rigenerarsi attraverso di esse. Così valeva per Roma e così varrà sempre per ogni potenza imperiale.

Vi è un mito per la Patria Europa? Sappiamo narrare l’Europa? Lo spirito europeo si è certo narrato attraverso figure indimenticabili, che per stellari amicizie e, insieme, insanabili conflitti ne hanno segnato la storia. Gli europei si riconoscono in esse: dai viaggi di Ulisse a quelli di Enea, dal pellegrino Dante all’altro pellegrino Don Chisciotte, dall’avventura di Don Giovanni a quella del dottor Faust, dall’Amleto e Re Lear al Processo e al Castello di Kafka. E così l’Europa si narra nella metamorfosi inarrestabile della sua musica, della sua pittura, scultura e architettura. Un generarsi continuo di maschere e persone che non forma alcun mito. Anzi, sono narrazioni che in modi diversi contestano ogni mitologia. Sono una critica del mito. Essi dicono l’insicurezza d’Europa, la sua inquietudine. Non possono indicare alcuna radice.

Nel loro insieme costituiscono piuttosto il paradossale mito della sradicatezza. Ma ethos significa essenzialmente radice. Forse la sola narrazione che davvero intendesse costruire un grande mito per l’Europa è quella dell’itinerario dantesco. Proprio questo carattere ne fa un unicum nelle nostre culture. Tuttavia, esso rimane troppo  indistricabilmente connesso a una visione dell’Europa o Cristianità, all’istanza che tale visione possa assumere valore egemonico, per poter resistere all’assalto degli altri miti, amletici nella loro stessa essenza.

D’altra parte, le mitologie nazionalistiche non possono produrre, in Europa, che egoistiche chiusure identitarie, vuote retoriche, se non miserabili razzismi. Testimonianza di null’altro che dell’impotenza ad affrontare le trasformazioni del proprio ambiente. I miti europei sono soltanto quelli del viaggio, della scoperta, della curiosità per l’altro spinta magari fino al naufragio. Ma non sono miti, ecco il punto. Sono grandi opere dello spirito, della critica, della ragione. Sono creazioni, artifici. Non definiscono né radici, né confini, né dimore dove poter essere in pace. La loro Europa è una patria che fugge. Non si sa dove inizi, né dove finisca. E’ suo destino il farsi mondo. Come una strada che si compia proprio nell’andare, nulla di predeterminato o precisamente predeterminabile. Pericle si rivolgeva ai suoi concittadini ateniesi incitandoli a ritenere Patria le loro navi. L’Europa è in navigazione o non è. Per dominare, certo, anche, violentemente anche –così è avvenuto nella sua storia-, ma altrettanto per conoscere, per scoprire, per assimilare e accogliere. Senza questa fede nella potenza assimilatrice delle proprie idee l’Europa diventa il passato del mondo contemporaneo, il suo centro storico.

E’ possibile ancora per l’Europa narrarsi in questa chiave? E’ possibile un simile mito, costruito attraverso l’interrogazione, il dubbio, la ricerca e ormai, per necessità, alieno da ogni prepotenza economica, politica, militare? E’ possibile su di esso concepire una Patria europea? Una Patria che, come è bene ripetere, custodisca in sé le diverse nazioni e le loro lingue, altrettanto che la sovranità dei diversi Stati. Davvero sembra un’opera impossibile, eppure necessaria, poiché altrimenti la nostalgia per arcaiche appartenenze, per consolidati pre-giudizi (quel senso comune nemico del buon senso, di cui parlava Manzoni), per domestici rifugi –con tutto l’armamentario dei loro barbari miti-, potrebbe rafforzare bandiere e tristi passioni di populismi e sovranismi, esattamente come, su un piano più direttamente politico, il fallimento nella costruzione di una sovranità europea.

Si può vincere una elezione grazie a propaganda, meglio se grazie a qualche programma ragionevole. Ma non si vince una grande battaglia politica e ideale come l’unione federale dell’Europa senza un’idea intorno ai suoi fini, e cioèal cammino che ha di fronte, ovvero alla sua missione o destinazione. Possiamo narrare tutto ciò non mitologicamente? Possiamo rappresentarlo come un ethos senza radici? Errante radice, intitolai un mio saggio trent’anni fa… Ebbene, penso di sì. L’Europa è filosofia o scienza, non c’è dubbio. Ma guai alla scienza che mitologizza se stessa, la propria potenza, che non si interroga continuamente sui propri limiti, magari proprio riflettendosi sullo specchio degli Amleto e dei Faust. Il grande Fine dello spirito europeo non è lo sviluppo di scienza, tecnica, economia in se stesse, il mero incrementum scientiarum, bensì la sua connessione con il sistema della libertà. La fede nella loro prestabilita armonia è finita per sempre. Era un mito. Abbiamo bisogno di un ethos che gli si contrapponga, un ethos che può esprimersi soltanto nella forma del dovere, della responsabilità: misurare e giudicare ogni potenza economica, scientifica, tecnica in base alla coscienza che dimostra nel voler liberare. La libertà che la ricerca per sé invoca vale solo se libera; nessuno può dirsi libero se la sua prassi non è liberante. E’ una potente idea che percorre lo spirito d’Europa, non una invenzione né un’astratta utopia. Forse un valido “mito” per la sua rifondazione.

 

                                                        Massimo Cacciari