Repubblica giacobina napoletana. 38° puntata. 1-20 febbraio 1800. “Impiccagioni e condanne”

Cronologia della Repubblica giacobina napoletana. Trentottesima puntata. 1 -20 febbraio 1800. “Impiccagioni e condanne si susseguono”.

 

Comincio a scrivere, in molte puntate, una cronologia dettagliata degli avvenimenti che –giorno dopo giorno- caratterizzarono l’esperienza della Repubblica giacobina napoletana e meridionale del 1799. Ai fatti intreccerò le opinioni e i commenti dei cronisti di quei giorni e degli storici otto-novecenteschi per far convivere la cronaca in presa diretta con uno sguardo panoramico in posizione arretrata: costruendo così una struttura alla quale appendere una serie immensa di fatti, delitti, eroismi, pensieri, avventure, sacrifici, ideali.

Voglio rivivere io e far rivivere ai lettori –nei limiti del possibile- le esaltazioni e le sofferenze di quelle giornate, gli entusiasmi e i fanatismi, le contraddizioni e le illuminazioni, così che risulti più chiaro, o meno oscuro, l’avvilupparsi contrastato degli episodi. “La storia è il corpo” –ha scritto Alexander Ross- “ma la cronologia è l’anima della scienza storica”, anche se (aggiungo io) la linea del tempo non spiega il Tempo, ma questo lo sappiamo da sempre senza riuscire bene a spiegarlo. Bisogna sempre tenere a mente un pensiero di George Santillana: “Quelli che non hanno familiarità con la storia sono condannati a ripeterla senza nessun senso di ironica futilità. Ci sediamo a guardare, e la storia si ripete. Non abbiamo imparato niente? No, non abbiamo imparato niente”.

Tanti anni fa, ero studente di liceo, lessi per la prima volta le cronache di quella rivoluzione. Mi colpirono, in modo vivissimo, il martirologio finale, l’eroismo civile dei patrioti impiccati e decapitati, i tanti morti ammazzati negli scontri, la furia selvaggia della plebe, la ferocia vile della monarchia borbonica. Fui indotto a riflettere sulla separazione drammatica che i tragici fatti di quei mesi avevano prodotto, nel Sud dell’Italia, tra il ceto colto e illuminato e la grande massa della popolazione, un dato che era già stato anticipato –sia pure in misura minore- nella guerra antifeudale del 1647-’48.

“Alla fine del Settecento la situazione nelle regioni meridionali italiane si presentava in modo gravemente sbilanciato: da un lato la popolazione era aumentata, la produzione pure, il prezzo dei cereali ed altre derrate era salito moltissimo, il commercio si era intensificato, le terre comunali erano state divise, le proprietà nobiliari e borghesi si erano moltiplicate; dall’altro il lavoro scarseggiava ed erano cresciuti i disoccupati, i salari erano rimasti quelli di mezzo secolo prima, la piccola proprietà contadina era in crisi, dilagavano pauperismo e brigantaggio, c’era una fuga costante dai villaggi rurali verso le città. Non si erano sviluppati nuovi moderni rapporti di lavoro nelle campagne, non si erano visti massicci investimenti di capitali, sviluppo di manifatture, una riorganizzazione finanziaria e creditizia. Le continue usurpazioni a danno delle proprietà comunali prima, la quotizzazione dei demani poi a vantaggio dei proprietari borghesi avevano accelerato un generale processo di proletarizzazione contadina e diminuito le già scarse possibilità di sopravvivenza delle grandi masse popolari. A ciò si aggiungeva che l’attacco ai beni ecclesiastici e la soppressione di parecchi conventi avevano peggiorato la situazione dei contadini inaridendo l’unica possibilità per essi di avere piccoli prestiti ad un tasso modico di interesse ed esponendoli al ricatto delle speculazioni usuraie dei mercanti (la Chiesa, infatti, esercitava da sempre un prestito di denaro ai piccoli coltivatori, allevatori ed artigiani ad un basso saggio di profitto per venire incontro alle loro esigenze immediate). Le poche e contrastate riforme che s’erano fatte avevano colpito, in ultima analisi, le forze socialmente più deboli (i contadini) o politicamente più scoperte (il clero), aumentando anzi il potere dei gruppi più potenti: da ciò uno squilibrio sociale, una tensione e un’inquietudine popolari crescenti”. (Questo avevo scritto in un mio libro nel 1975, Cucciniello, p. 9). Questa mia analisi era stata confermata, qualche anno dopo, dal giudizio di G. Galasso: “Complessa, pluridimensionale e contraddittoria era l’articolazione nazionale del popolo meridionale, con la difficoltà obiettiva di stringere in un unico nesso le molte e discordi fila di una storia singolare. Diversi i gradi di differenziazione e di mobilità sociale, diversi la natura e il ritmo di sviluppo delle attività economiche, diversi il folklore e gli usi e i costumi, forti i caratteri di disgregazione sociale e di debolezza dello spirito pubblico”.  In un contesto di questo genere si collocano i fatti di cui qui si narra. Senza sottovalutare un dato: l’illuminismo armato di Bonaparte frantumerà anche nel Sud Italia le illusioni delle élites liberali e patriottiche.

Certo, c’è un rischio in questo lavoro ed è quello che si arranchi dietro agli avvenimenti alla ricerca di una contemporaneità coi fatti che giorno dietro giorno vediamo svolgersi sotto gli occhi, fatti dei quali afferriamo solo il senso ristretto e localistico, sfuggendoci la dimensione universale di cose che in quegli anni stavano trasformando l’Europa. Già Huizinga nel 1919, in “L’autunno del Medioevo”, sosteneva che i passaggi storici erano un lento declinare della vecchia epoca unita all’incubazione di una nuova età: e proprio il nostro 1799, paradigmaticamente, è un intrecciarsi terribile di perduranze –anche superstiziose- e di utopie innovative.  Si può anche restare affascinati dal gioco dei “si dice”: un gioco vario, imprevedibile, che riesce quasi a darci il respiro intimo del tempo, la voce pubblica nel suo dinamico e contrastato formarsi. I “si dice” riflettono il tessuto mutante delle opinioni e permettono quasi di vedere l’avvenimento prima ancora che sia accaduto, nei mutamenti anche psicologici che lo preparano e lo determinano. Si sa, una cronaca puntigliosa, infinita può essere insensata e inutile. Se essa è legata, invece, ad una storiografia che è ricerca mirata, orientata da problemi e da valori, interpretazione documentata, può favorire l’abitudine al giudizio informato, il possesso di un metodo, la conoscenza strutturata di nozioni, il confronto con una varietà di analisi, distinte con chiarezza nelle loro premesse e nelle loro conseguenze.

Non scrivo di più. Ho usato un metodo di ricerca attento alla decodifica delle informazioni e alla validazione delle fonti. Lascio ai lettori l’interpretazione dei dati e le conclusioni che vorranno trarne.

 

                                                                       Gennaro Cucciniello

 

 

6 Febbraio. Giovedì. Napoli. La Giunta di Stato condanna all’esilio a vita, col sequestro dei beni, Gennaro Miele, Antonio Bielli; all’esilio per quindici anni Diego Genoyno, tenente di vascello, Carlo Guise (per aver denunciato al Governo vari pescivendoli che si rallegravano dell’avvicinamento dell’armi reali), Felice Lombardo, maggiore del Reggimento Terra di Lavoro, Clemente Notarangelo (per aver composto e dato alle stampe un piccolo libretto intitolato: “Il Genio democratico”), Felice Saponara già incarcerato per tre anni dal 1794; de mandato all’esportazione dal Regno Antonino Amatucci di anni 12, Domenico Matino, Baldassare De Santis, padre Serafino Catuccio, Felice Pastore, Antonio Guadagno (Filiazione dei rei di Stato, pp. 322-4).

8 Febbraio. Sabato. Napoli. E’ impiccato padre Crisanto da Marigliano. E’ impiccato Luigi De La Granelais, 47 anni, ufficiale della Marina borbonica, comandante della fregata Aretusa, capitano nella Marina repubblicana, membro del Consiglio di Guerra. “Granalais dal palco del patibolo guardò la folla spettatrice: “Vi ci riconosco –disse- molti miei amici: vendicatemi” (Cuoco, p. 205). E’ impiccato Andrea Mazzitelli, pilota della Marina, già incarcerato nel 1794, tenente di vascello nella Repubblica, capitano del Porto dell’isola di Ponza. E’ impiccato Raffaele Montemajor, tenente di vascello nella Marina borbonica sulla fregata Cerere, nella Repubblica capitano e capo dei movimenti d’artiglieria. E’ impiccato Giovan Battista De Simone, tenente di vascello nella Marina borbonica, nella Repubblica capo di fregata, membro del Consiglio di Guerra. E’ impiccato Emmanuele Borga, tenente di vascello nella Marina borbonica, nella Repubblica capitano di fregata e aiutante generale.

9 Febbraio. Domenica. Trani. “I galantuomini hanno preso le armi. Correva voce che popolo e marinai volevano far man bassa sopra benestanti e preti”.

11 Febbraio. Martedì. Napoli. La Giunta di Stato condanna all’esilio per venti anni padre Andrea Carafa, frate Celestino (caratterizzato per vero debosciato); all’esilio per quindici anni Francesco Zampino, prete Francesco Tedesco, Filippo Gaudiosi, prete Domenico Golino, Saverio Coscia; de mandato all’esportazione dal Regno Gennaro Delise (sparlatore delle Sacre Persone, esagerando la democrazia), Giuseppe Basile (vantavasi di essersi mandata la semenza dei patrioti in Palermo e sparlava del sacerdozio), Federico Schierer svedese (tornato a Napoli il 12 giugno, due giorni prima dell’armi reali), i frati domenicani D. Giacinto Cardilli, D. Giuseppe Certa, D. Giacinto Quartulli (arrestarono il falegname del loro convento per saper da lui chi dei monaci li avea chiamati giacobini), Giovanni Battista Mazziotti (Filiazione dei rei di Stato, pp. 324-6).

12 Febbraio. Mercoledì. Napoli. La Giunta di Stato condanna all’esilio a vita, col sequestro dei beni, Francesco De Simone, fratello del giustiziato Giovanni Battista, capitano di fregata nella Marina borbonica, nella Repubblica ammiraglio e membro del Consiglio di Marina, comandante del porto di Castellammare; Giovanni Bausan tenente di vascello nella Marina borbonica, Giovanni Battista des Roches alfiere di marina nel Servizio Reale, Pietro Ulloa tenente di vascello nella Marina borbonica, Francesco Gutther alfiere di vascello nella Marina borbonica, Vito Netti, Antonio Grillo, Luigi Grimaldi, Saverio Spagnuolo di Monteforte; all’esilio per venti anni Oronzio di Donno, già inquisito nel 1796; all’esilio per quindici anni Ignazio Tranfo tenente di vascello nella marina borbonica; all’esilio per dieci anni Giovanni Battista Mastellone capitano di fregata nella marina borbonica; all’esilio per sette anni Gabriele Maurizio comandante di fregata nella marina borbonica; assolve Alessandro de Medici (Filiazione dei rei di Stato, pp. 326-34).

13 Febbraio. Giovedì. Napoli. La Giunta di Stato condanna all’esilio a vita, col sequestro dei beni, Carlo Dumarteau, capitano del Reggimento Borgogna di S. M., nella Repubblica capitano nella Legione Campana; all’esilio per quindici anni Francesco Maria Paschel, tenente dei granatieri al servizio di S. M., e Gennaro Capaldo; all’esilio per cinque anni Salvatore Tartaglia; all’esportazione dal Regno de mandato Serafino Gomar e Gaetano Lanzetta (Filiazione dei rei di Stato, 334-5)

Riferisce il cronista. “Il consigliere Speciale fu chiamato dal principe del Cassero (luogotenente generale del Regno), il quale gli rimproverò la sua ferocia ed asprezza nell’interrogare i testimoni e gli disse che s’ingannava se così credeva di fare il servizio del re” (De Nicola, in Croce, p. 241).

15 Febbraio. Sabato. Napoli. La Giunta di Stato condanna all’esilio a vita, col sequestro dei beni, Gaetano Garzia, Giuseppe Castaldo dell’Afragola, Antonio Colamussi di Rutigliano, Gabriele Pepe di Civita Campo Marano, Leonardo Romano di Laurenzana, Giuseppe Miccoli; all’esilio per quindici anni i frati domenicani padre Raffaele Accoto e padre Antonio Cassitti, Antonio Pondari (confessi di essere ascritti all’elenco della Società Popolare); all’esilio per due anni Lorenzina Carlino, moglie del condannato Giovan Battista Cupola (sparlatrice delle Sacre Persone, ed insinuava a molti di non avere timore perché a favore dei ribelli stava per venire l’armata Gallispana per mare, ed un’altra francese per terra, e mostrava tutto il godimento e il genio per la Repubblica); all’esportazione dal Regno de mandato Bartolomeo Cici, Domenico Pertice, Giuseppe De Marco (intervenne ai pranzi in casa del principe Strongoli con altri, cantando l’inno marsigliese) (Filiazione dei rei di Stato, pp. 335-6).

17 Febbraio. Lunedì. Napoli. La Giunta di Stato condanna all’esilio a vita, col sequestro dei beni, Pietro Corni, tenente d’artiglieria al servizio di S. M., nella Repubblica con lo stesso impiego (per aver mostrata tutta la premura ed impegno nella costruzione del fortino alla Riviera di Chiaia ed obbligato la gente a lavorare in quello) (Filiazione dei rei di Stato, p. 336).

Molfetta. “Galantuomini e mercanti hanno chiamato soldati di cavalleria perché il popolo di campagna minacciava”.

18 Febbraio. Martedì. Napoli. La Giunta di Stato condanna all’esilio a vita, col sequestro dei beni, Michelangelo Novi di Grumo, 33 anni, prima dell’anarchia segretario del Tribunale di Campagna; il re muta la sentenza nella detenzione nel castello di S. Caterina di Favignana. “Michelangiolo Novi era stato condannato all’esilio; la sentenza era stata già eseguita, si era già imbarcato, il legno era per far vela: giunge un ordine da Palermo, e fu condannato al carcere perpetuo nella Favignana” (Cuoco, p. 201); Antonio Nardò, già inquisito nel 1796; all’esportazione dal Regno de mandato Sebastiano Novi e prete Francesco Novi (fratelli dell’anzidetto Michelangelo), Francesco e Luigi Marescalchi (fratelli bolognesi) (per aver cacciato copie in musica, come copisti dell’inno Marsigliese patriottico per il Teatro del Fondo, ove fu cantato), padre Alessandro Bossi, Nicola Stammati, Giuseppe Montagna (Filiazione dei rei di Stato, pp. 337-8).

20 Febbraio. Giovedì. Napoli. La Giunta di Stato condanna all’esilio a vita, col sequestro dei beni, Giovanni Antoniani; all’esilio per cinque anni Carmine Salvati, Domenico Esposito alias Chiattone; all’esportazione fuori dal regno de mandato padre Reginaldo di Napoli (osservante, a tempo dei ribelli predicava pubblicamente per la Repubblica), Fortunato Cantalupo (aiutava a caricare gli schioppi che il giustiziato Tocco scaricava contro il popolo e lo assistiva, e calò col medesimo in strada a complimentare i francesi); allo sfratto dal Regno Francesco Feni, spagnolo, estero (Filiazione dei rei di Stato, pp. 338-9).

Nota bibliografica

  1. Croce, “La riconquista del regno di Napoli nel 1799”, Laterza, Bari, 1943
  2. Cucciniello, “Politica e cultura negli Illuministi meridionali”, Principato, Milano, 1975
  3. Cuoco, “Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799”, Laterza, Bari, 1976

Carlo De Nicola, “Diario napoletano (1798-1825)”, Napoli, 1906, vol. I

Filiazioni dei Rei di Stato condannati dalla Suprema Giunta etc. ad essere asportati da’ Reali Dominij”, Napoli, 1800