Sul plebeismo

Lettera scritta in occasione delle mie dimissioni dal Comitato Scientifico-didattico dell’Istituto

Al Comitato scientifico-didattico dell’Istituto “Stefanini”

Voglio motivare la mia decisione di dimettermi dal CSD.

Ritengo un fatto molto positivo che la contestazione nei riguardi del Comitato sia stata espressa finalmente con tanta nettezza, chiarezza e -mi sembra, anche- assunzione di responsabilità. Finora erano stati o proteste individuali e atomizzate o gratuiti sberleffi anti-istituzionali. Che le critiche più taglienti siano state elaborate in un’assemblea sindacale e non nel collegio dei docenti è per me un aggravante: noi siamo sempre stati espressione di orientamenti democratici e culturali ben definiti e abbiamo assunto responsabilità nel governo della scuola su mandato e con giustificazione precisi. Ora mi sento almeno delegittimato e non più rappresentativo soprattutto di quell’area cui ho sempre fatto riferimento.

 

SUL PLEBEISMO.

Nel nostro collegio docenti non di rado, in tutti gli anni passati, si sono elaborate ed evidenziate posizioni che poco si curavano di un orizzonte strategico chiaramente definito, che si piegavano quasi esclusivamente sul quotidiano e sul privato. Ma negli ultimi due anni si sono infittite le occasioni di un atteggiamento che definirei a volte incoerente a volte apertamente provocatorio. Ho l’impressione che non si sappia né si voglia più assumere responsabilità né sulle deleghe né sui delegati. Cosa si vuole?

– O nella scuola c’è una direzione efficientista, anche autoritaria, del Preside, tipo staff d’azienda, con rigida divisione dei ruoli e con i docenti in subalterna esecutività.

– O c’è un progetto culturale e organizzativo che coinvolga ed esalti l’intera professionalità dei docenti e l’iniziativa degli studenti, un sistema di responsabilità diffuse e coordinate che nascano e crescano dal basso. Un sistema di governo di tal genere valorizza i coordinatori di classe, abbisogna di un CSD articolato per saperi disciplinari, organizza il collegio docenti in commissioni non fisse di lavoro su temi mirati, pretende un raccordo tra gli organi collegiali di direzione. In questo quadro la rotazione delle persone nei ruoli, la loro sostituzione eventuale non è un problema critico, è una risorsa positiva.

Invece la situazione reale che viviamo mi sembra ben riassunta da un sonetto di G. G. Belli ambientato nella Roma papalina dell’aprile 1835:

Incontrai jermatina a Via Leccosa

un Cardinale drento a un carrozzino,

che, si non fussi stato l’ombrellino,

lo pijavi p’er leggno d’una sposa.

Ar vedemmelo lì, pe ffà una cosa,

je vorzi dunque dedicà un inchino,

e méssame la mano ar berettino

piegai er collo e caricai la dosa.

E acciò la conveggnenza nun ze sperda

in smorfie, ciaggiontai cusì a la lesta:

“Je piace, Eminentissimo, la merda?”

Appena Su’ Eminenza se fu accorta

der comprimento mio, cacciò la testa

e me fece de sì ppiù d’una vorta.

Il popolano romano, si sa, è straordinariamente propenso al motto di spirito, alla satira mordace ma -murato in un orizzonte di non storia- rappresenta un’immobilità senza speranze, un’indifferente passività, un’oppressione accettata, una sofferenza diventata abitudine, una protesta che si ostina a restare sfogo, bestemmia, parolaccia. E’ una rappresentazione vera, non populistica, del reale e distrugge ogni prospettiva progressista illuminata e troppo facilmente ottimistica.

Se nel nostro collegio sono diventate maggioritarie posizioni di orientamento sanfedista bisogna prenderne atto: a rappresentarle devono andare i cardinali Ruffo e gli ammiragli Nelson, non chi teorizza un giacobinismo debole e inefficace.

DAL PROGETTO AUTONOMO AL “BROCCA”.

A me sembra che -in questa fase- uno, e uno solo, sia il progetto centrale dell’Istituto: la verifica seria del Progetto Brocca., della correttezza e fattibilità dei suoi obiettivi intenzionali, della qualità delle sue metodologie, dei suoi difetti. A questo sono state finalizzate le iniziative del Comitato. Abbiamo lavorato tanto, pur fra mille contrarietà e contraddizioni; ci siamo spesi con determinazione e sagacia; abbiamo anche sbagliato, non c’è dubbio, ma vale la saggezza popolare: solo chi non fa non sbaglia mai.

Porre le premesse serie, documentate, discusse di un confronto non subalterno e acritico con le fondazioni teoriche, le ipotesi di metodo e i suggerimenti operativi del Progetto Nazionale; realizzare procedure di analisi, di verifica, di elaborazione. La pubblicazione del libro, l’ipotesi del convegno, il corso di auto-aggiornamento, il PEI, l’Area di Progetto, le modifiche alla scheda di valutazione e l’omogeneizzazione dei registri personali…

Su questo la scuola è in grave ritardo. Noi, a oggi, non siamo in grado seriamente di documentare i percorsi reali del nostro sperimentare. Non ci sono documenti scritti dei Consigli di classe. Non ci sono valutazioni scritte e firmate dai docenti delle discipline. Su questo, lo ripeto ancora una volta, siamo in pericolo di negata autorizzazione. Se avvenisse, non avremmo armi per opporci.

L’IDENTITA’ DELL’ISTITUTO.

Ridefinirla è un’operazione strettamente correlata al punto precedente. Una fase della sperimentazione è finita. Abbiamo cercato in ogni modo -ma senza successo, sembra- di delucidare e controllare la transizione dal progetto autonomo al Brocca. La maggioranza del collegio è rimasta almeno indifferente, se non ostile.

Siamo consapevoli che in città è cresciuta la diffidenza nei nostri confronti. Non disponiamo di dati certi sull’interpretazione che la città elabora e formalizza della nostra linea educativa, della nostra produzione e/o riproduzione culturale, delle nostre deprivazioni-disfunzioni e scadimenti.Verifichiamo l’abbassamento significativo dei livelli d’ingresso, un progressivo e accentuato squilibrio tra gli Indirizzi ora che non c’è più il pluri-indirizzo ma abbiamo mantenuto risultati decorosi nei livelli d’uscita (sulla linea degli ultimi 8 anni). Questo processo va contrastato e governato o neghittosamente assecondato?

Azzardo un’ipotesi interpretativa. Stiamo in parte diventando collettori di insuccessi dei licei tradizionali (nella mia IV-scientifico ci sono 4 studenti su 18 che sono stati bocciati in 1° al Bruno e al Morin e che ora sono su un discreto livello di rendimento). Se ci specializzassimo nell’accogliere, rimotivare e attrezzare metodologicamente i drop-out, e riuscissimo a portarli a livelli soddisfacenti, dimostreremmo sul serio una efficacissima produttività, saremmo davvero una buona scuola, culturalmente qualificata, didatticamente dotatissima, socialmente preziosa.

Anche l’incontro con i politici è stato un tentativo di capire in anticipo il destino del Brocca.

Se questo progetto venisse azzerato non ci sarebbe più sicurezza per la nostra sperimentazione. Con la Riforma si avvia una sperimentazione generalizzata, potrebbero non esserci concessi gli Indirizzi diversi dal Pedagogico.

Se a questo si unisse una perdita di credibilità dell’Istituto il crollo delle iscrizioni sarebbe veloce realtà. Questo evento, se si realizzasse, in verità non mi spaventerebbe: è da tempo che auspico una riduzione a 4 sezioni dei corsi sperimentali. Sono sempre stato convinto che sarebbe l’unica struttura a misura di controllo, di comparazione e di verifica più seri. Ma, paradossalmente, ora è il collegio che mi sembra inconsapevole di queste eventualità.

CONCLUSIONE.

Mi è stato detto: “sei incline a un deteriore apocalissismo”. La realtà sarà più tranquilla e normale, in linea con le tradizioni italiche di sopravvivenza.

Ma chiunque si assuma responsabilità di condirezione dell’Istituto queste cose deve saperle e deve prevederne anche molte altre.

L’ipotesi che si profila, che è stata confermata dal voto che ha abrogato la “mozione Zane” e che probabilmente sarà confortata dal prossimo orientamento sul salario accessorio, sarebbe questa (se sono riuscito a capirla): una scuola molto meno rigida e imbragata, senza un progetto nazionale da sottoporre a seria verifica, senza un CDS pletorico, senza coordinatori e scheda di valutazione, senza l’obbligo del PEI, con molte attività integrative effervescenti, una miriade di corsi d’aggiornamento, alcuni assi progettuali da definire, un collegio docenti da vivacizzare e di cui preoccuparsi d’inseguire gli umori altalenanti.

Un saluto amichevole

Gennaro Cucciniello

li 7 dicembre 1996