Piero della Francesca, “Resurrezione di Cristo”, 1467

Cristo risorge come un re vittorioso e liberatore

Piero della Francesca, “Resurrezione di Cristo”, affresco e tempera, 1467. Borgo San Sepolcro (Arezzo). Palazzo Residenza.

 

L’essere che sorge dalla tomba sotto i nostri occhi assomiglia più ad un eroe di Plutarco che non ad un Cristo della religione convenzionale. Il corpo è perfettamente sviluppato, come quello di un atleta greco, così formidabilmente forte che la ferita sul costato appare un graffio irrilevante. Il volto è severo e pensieroso, e tutta la figura esprime potere fisico e intellettuale. E’ la resurrezione dell’ideale classico, incredibilmente più grandioso e più bello della stessa realtà classica, dal sepolcro in cui era stato a giacere per così tanti secoli”. Sono le parole ispiratissime del diario del viaggio italiano di Aldous Huxley (1924), il quale era arrivato a Borgo San Sepolcro dopo sette ore di corriera da Urbino, “caracollando sui crinali appenninici”: trovandoci, scrisse, “la pittura più bella del mondo”. Vent’anni dopo, nell’estate del 1944, questo giudizio iperbolico tornò in mente al giovane capitano inglese che comandava la squadra che doveva liberare Borgo dai tedeschi: e fu la memoria del quadro più bello del mondo a indurre Anthony Clarke a fermare i cannoni, salvando così Piero e la sua città.

Oggi anche noi vediamo meglio quell’opera cruciale: grazie a un restauro esemplare, e alla ricerca non meno esemplare che l’ha accompagnato (per iniziativa della Soprintendenza territoriale e dell’Opificio delle pietre dure di Firenze). Oggi sappiamo con certezza che la Resurrezione non fu dipinta da Piero dove la vediamo. Essa fu staccata a massello e trasportata lì nel 1518-19. Nacque invece forse per l’arengario di quello stesso Palazzo della Residenza: lo spazio all’aperto in cui le magistrature civiche si rivolgevano al popolo, radunato nella piazza di allora. E’ verosimile che Piero, cittadino cospicuo e agiato, dipingesse questo palladio civico nel 1467, quando la dominante Firenze riconobbe a Borgo il diritto ad avere un Gonfaloniere scelto tra i suoi cittadini.

Così, il re vittorioso –vestito non del bianco sudario, ma della porpora, e capace di far rigermogliare gli alberi della vita- che si leva dal Santo Sepolcro che alla città dà il nome, nacque come il simbolo di una dignità civile e di una libertà che nel 1944 fu riconquistata con la Resistenza e la Liberazione, e che oggi –contro il senso comune e una politica nemica- difendiamo con la ricerca e lo studio. Insorgendo, per risorgere.

                                                                  Tomaso Montanari

 

(articolo pubblicato nel “Venerdì di Repubblica” del 15 giugno 2018)

 

Fin qui la rubrica di Montanari. Cerco di aggiungere una accurata descrizione del quadro. Vi si rappresenta Cristo che esce dalla tomba marmorea poggiando il piede sinistro sull’arca e reggendo in mano il vessillo della Resurrezione, mentre in primo piano si vedono quattro soldati; non sono addormentati tutti, due soli dormono, quello di destra guarda sdraiato e come estatico l’immagine del Risorto e un altro a sinistra, abbagliato, si copre gli occhi con le mani. Quindi anche i soldati sono coinvolti nell’evento. Il Cristo guarda davanti a sé e il volto ha una potenza magnetica. Il paesaggio non è omogeneo. Mentre la parte sinistra presenta alberi spogli, in riposo invernale, nella parte destra gli alberi sono tutti coperti da fogliame verde. La Resurrezione ridà vita a un mondo addormentato. La straordinaria efficacia e la suprema bellezza del dipinto sono dovute a questa immobilità iconica in cui tutto sembra immobile ma insieme cela un profondo movimento, sia nelle figure –Cristo che sale, l’uomo abbagliato- sia nella natura che sta rinverdendo. Le guardie hanno insegne militari. Quella in primo piano ha la spada e un elmo decorato; l’altra tiene stretta la lancia e imbraccia lo scudo su cui spiccano le lettere SP, iniziali della sigla SPQR, il dominio di Roma.

Gesù regge in mano il vessillo con la croce rossa in campo bianco, simbolo della Resurrezione. Piero sceglie per la scena una versione statica, silenziosa e solitaria, senza alcuna apparizione di figure celesti, con Gesù frontale e immobile: la Resurrezione è un punto fermo della storia dell’uomo; divide due epoche. Il sarcofago è in evidenza: il pittore ha infatti realizzato l’affresco per la sua cittadina natale che ha il sepolcro di Gesù nel nome e nello stemma. Il Risorto è evocato come protettore del borgo, sentinella in allerta per proteggere la città sprofondata nel sonno. E’ efficace il critico d’arte Caroli quando scrive che, alla fine, ogni emozione e palpito si concentrano lì, sul volto di Gesù. Volto calmo ma a modo suo feroce. Volto di chi è stato insultato e ha subito la più terribile delle pene. Volto di chi guarda il divenire del mondo, per proiettare la luce del suo sguardo sul futuro degli uomini.

 

                                                                           Gennaro  Cucciniello